“Sapete quali sono le prime parole nella Bibbia? Me lo chiese un giorno mio padre”.
“No”.
“Le prime parole della Bibbia sono i soldi. Prima. Di tutto”.
Dietro ad ogni cosa che noi viviamo ci sono i soldi, dietro alla bellezza, al paradiso, a Dio, e persino dietro al padre ci sono i soldi. Ecco l’assioma da cui parte “Shopping & Fucking”, sit-com cruda e crudele sulla società moderna capitalistica, dove quattro giovani allo sbando cercano una collocazione nel mondo, tesi tra affetti cercati e non trovati e piccole gioie effimere, da godere, anche quelle, con qualche spicciolo in tasca.
“Shopping & Fucking” è un testo di Mark Ravenhill del ’96 fatto di dialoghi essenziali, che vanno all’osso e arrivano allo stomaco senza passare per la bocca, che nell’adattamento di Ferdinando Bruni i bravi attori ci porgono con una semplicità estrema.
Vincenzo Giordano (Mark) impressiona fin dall’inizio: mentre il pubblico prende posto lo vediamo scosso dai tremori tipici di un tossicodipendente, che ci fanno immediatamente entrare nell’atmosfera da piccolo appartamento londinese, dove la tv è sempre accesa in sottofondo e si consumano forzatamente porzioni singole di cibi da fast food. Cibi che hanno una grande attrattiva per Lulu (Camilla Semino Favro), che così può mangiare cose che vengono da tutto il mondo, Lulu che non riesce proprio a dividere la sua porzione con nessuno, perché è pensata per una persona sola, come lei.
Lulu e Robbie (Alessandro Rugnone) hanno vissuto una relazione, trasformatasi in triangolo amoroso dopo l’incontro con Mark in un supermercato, che ha stabilito con loro un rapporto che alterna momenti di pura sessualità alla disperata ricerca d’amore. L’unico adulto della pièce è Brian (Ferdinando Bruni), che porta in sé il vessillo di tutto il lavoro dimostrando come solo i soldi possano fare la felicità.
Tutti i giovani personaggi dello spettacolo sono alla ricerca di valori perduti, sospesi in un “non passato, non presente e non futuro”, vittime perfette del primo orco di passaggio, vulnerabili, timorosi, pieni di aspettative mai soddisfatte.
Lo sviluppo drammaturgico viene sottolineato dalla presentazione delle stanze, la cui collocazione spaziale e temporale resta sospesa: 1 – appartamento, 2 – stanza dei colloqui, 3 – appartamento, 4 – monolocale… basta un tratto di gesso sul muro ed ecco lo svolgersi dell’azione di fronte ai nostri occhi.
Certo “Shopping&Fucking” è uno spettacolo sulla libertà, quella che i protagonisti non riescono ad avere, libertà dal conformismo, dalle proprie debolezze, dall’essere umani, troppo umani, in ogni situazione. Come quando ci si ritrova ad assistere ad una rapina in mezzo a fiumi di sangue e l’unico pensiero è che, in quel modo, si potrà non pagare la tavoletta di cioccolato tanto agognata. E ci si stupisce, subito dopo, di aver formulato quel pensiero.
Gli attori sono tutti molto efficaci e bravi, una lode speciale va però a Gabriele Portoghese che riesce a sostenere il ruolo di un tormentato quattordicenne (che si farà violentare in un gioco morboso, dove i soldi sono l’unica cosa che conta, ancora una volta) con la semplicità e la leggerezza (e quindi la cattiveria) di un giovane abusato che non cerca altro che un po’ d’amore.
Un po’ deludente, invece, il finale, che sembra sottolineare con le parole ciò che si è visto, spezzando il momento di tensione precedente, così carico di suggestioni ed immagini, già evocativo di per sé senza bisogno di spiegazioni. Stona poi, in uno spettacolo così essenziale, la scenografia un po’ troppo descrittiva. Il forno a microonde, con i suoi odori di cibo che arrivano al pubblico in un realismo esasperato ma interessante, il divano Ikea e gli altri oggetti di scena avrebbero potuto benissimo non esserci, perché la potenza espressiva del testo di Ravenhill e di tutti gli attori è già ampiamente efficace a trasmettere le atmosfere rarefatte e potenti di un vuoto esistenziale, quello del consumismo senza possibilità di scampo.
Shopping & Fucking
di: Mark Ravenhill
regia: Ferdinando Bruni
con: Ferdinando Bruni, Alessandro Rugnone, Camilla Semino Favro, Vincenzo Giordano, Gabriele Portoghese
durata: 1h 50′
applausi del pubblico: 3′
Visto a Milano, Teatro Elfo Puccini, il 16 maggio 2010
Io ho trovato la messa in scena piuttosto insignificante. A parte che il testo di Ravenhill è già datato, nel senso che quegli argomenti non ci feriscono più come poteva avvenire negli anni ’90, il teatro in-yer-face è ancora vivo (vedi ricci/forte), ma deve essere ricercato nel mondo dell’oggi, non in uno scenario già vecchio, sennò che significato ha mettere in scena quell’opera oggi? Gli attori inoltre, pur bravi, spesso cadono in una mera e superficiale isteria. per me è un 2 e mezzo.