“Made in Paradise” sarà fra gli spettacoli protagonisti del Festival di Polverigi, mitica rassegna marchigiana nata come Festival Internazionale nel 1977, che associa Provincia di Ancona e i Comuni di Polverigi e Jesi in un’operazione culturale importante di produzione, formazione, ospitalità e promozione delle arti performative contemporanee che dura tutto l’anno. Un’apertura internazionale e una vocazione alla contaminazione fra le arti che quest’anno, pur nella breve tre giorni in programmazione da oggi a sabato, non manca di proporre lavori interessanti.
Fra il parco di Villa Nappi e il Teatro della Luna, si alterneranno artisti di ogni continente, come il duo Jacob Wren – Pieter De Buysser (Montreal – Bruxelles) e la loro “Antologia dell’Ottimismo”, o l’altro duo composto da Yan Duyvendak e Omar Ghayatt (Ginevra – Il Cairo) proprio con “Made in Paradise”.
Li abbiamo incontrati in anteprima nel corso della loro performance a Lugano, in occasione di Incontriteatrali, e li abbiamo intervistati in previsione delle loro date in Italia.
Ci è sembrato interessante che uno spettacolo così aperto, scomposto, deframmentato, teatrale e antiteatrale allo stesso tempo, potesse essere ospitato in maniera emblematica in un festival da sempre orientato al confronto tra le culture.
Yan Duyvendak e Omar Ghayatt sono due performer che si sono conosciuti circa un anno e mezzo fa al Cairo, per poi proseguire il loro discorso artistico in Svizzera: indagare il mondo gli uni degli altri, quello che hanno definito l’incontro fra “Just do it” e “Inch Allah”.
Yan e Omar hanno deciso, man mano che il lavoro andava avanti, che era impossibile raccontare tutto in forma unitaria, e che parte importante della dialettica fra Occidente e Islam era anche il sentimento della gente comune.
Lo spettacolo fa di questo un punto di forza divertito e divertente, apre come in un bazar, in cui ciascuno dei due prova a vendere al pubblico frammenti di uno spettacolo. Si voterà e i cinque/sei spezzoni che avranno preso più voti saranno messi in scena.
Ma anche qui nulla sarà come sembra, proprio come in questa guerra di preconcetti e odi che sta dilaniando i nostri mondi. I frammenti proposti, fra sguardi, urla, forzature, finti doppiatori e terroristi con le pistole ad acqua danno al pubblico il compito di “fare” ogni sera un proprio spettacolo, sapendo che sarà impossibile vedere tutto e che l’opera che prenderà forma quella sera sarà unica.
La drammaturgia di Nicole Borgeat, insieme alla semplice ma efficace scenografia realizzata in collaborazione con Sylvie Kleiber e il graphic design di Nicolas Robel, costringe lo spettatore, anche fisicamente, a cambiare continuamente punto di osservazione.
Una scelta non casuale. Una scelta che Inteatro fa da oltre trent’anni.