Gli esiti delle residenze. Diario dalle Ville Matte – Atto IV

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Segmento infinito. Un pugno tiene fermo un gessetto nero in fondo ad un foglio bianco. La mano di una donna arriva ad imprimere la spinta necessaria affinché il pugno cominci a muoversi. Il gessetto procede calmo tracciando una linea che sale lungo la carta. Ad un tratto la linea nera si ferma, sembra bloccarsi quando, in un attimo, inizia a deflagrare. Il gessetto prende direzioni opposte, deviazioni, procede in un senso per poi tornare indietro, cerca di cancellare le tracce che non ama, gira su stesso fino a cadere, steso, immobile. Il pugno allora lo solleva dal foglio lasciandolo per qualche istante lassù, sospeso a guardare le linee che ha tracciato. Il foglio è inciso da una moltitudine di forme che si intersecano, affiorano, scompaiono; in alcuni punti è quasi lacerato. Il pugno riporta sulla carta il gesso che riprende a incidere lungo la linea iniziale ma secondo una forma nuova, affascinante, appena affiorata dal delirante caos. Prosegue così fino all’arrivo in cima alla pagina, dove il segmento infinito si chiude.

Ecco come disegnerei questo mese di residenza appena concluso. La mano che imprime la spinta per mettere in moto il pugno affinché scriva, che segna i confini del percorso, che si rende disponibile offrendo consigli, stimoli, ragionamenti, problemi, riflessioni è la mano di Claudia Castellucci.
Ed ecco che scopro che è quasi più interessante la traccia lasciata dalla scrittura sulla carta che il reale significato delle parole scritte.
Questa residenza ha avuto un forte lato seminariale, è vero, eppure spesso non era quasi possibile segnare una linea di confine, di passaggio, tra il momento ‘scolastico’ e quello personale. Tutto è avvenuto a livello di stimolazione, con piccole o grandi scosse, per incuriosire, per far riflettere e mai sotto l’assoluta, violenta, chiusa forma morta della lezione. C’è stata sicuramente una precisa organizzazione di come condurci, e anche di dove condurci, a volte, ma mai invasiva o didascalica; nessuna rivelazione da seguire ma solo un flusso continuo di immagini, suoni, racconti, ragionamenti e a volte esercizi pratici come quelli, fondamentali, di psicologia della durata.

Ai fini della presentazione conclusiva del mio scritto, o meglio di parte di esso, tutto ciò mi ha permesso di capire almeno due cose fondamentali: innanzitutto che la messa in scena del breve estratto da presentare poteva funzionare solo con una durata specifica ben precisa, che il lavoro aveva una sua propria durata che dovevo riconoscere e accettare e che ogni tentativo di ampliarla o ridurla avrebbe distrutto tutto.
Inoltre ho capito che questo studio aveva un’altra caratteristica specifica da cui non dovevo prescindere e a cui, ancora una volta, dovevo andare incontro. Il problema di come ‘gestire’ un pubblico mi si è posto nel momento in cui ho scelto di lavorare di giorno sfruttando la luce e le ombre del tramonto, senza ad esempio la possibilità di fare bui conclusivi. Alla fine ho capito questo: io non potevo fare altro che ‘porre’ l’immagine che avevo creato davanti al pubblico. E basta. Dunque si trattava di porre gli spettatori dinnanzi alla scena così come di toglierli da essa, proprio come ci si pone davanti a un quadro o a un fatto di cui non si devono dare per forza giudizi o trarre precise conclusioni. Si arriva, si guarda, si percepisce ciò che si vuole e si va via.

Dunque un flusso. La bellezza è proprio qui: aver prodotto un flusso collettivo e continuo, un flusso che ha proseguito nel suo cammino anche quando la spinta iniziale (diciamo seminariale) si è volutamente eclissata per lasciare spazio ai nostri atti creativi. Spesso è accaduto che, all’esaurirsi dell’ufficiale Lago di Mnemosyne (il momento subito dopo pranzo in cui la Castellucci leggeva un racconto mentre tutti eravamo stesi), proseguissero piccoli incontri personali di lettura sullo stesso principio. Ancora ne sentivamo il bisogno? O forse, quello di entrare in un simile flusso di cose, è davvero un buon modo per creare…

L’ultima settimana ad Orroli è stata di un’intensità incredibile. La biblioteca comunale, fulcro centrale del lavoro, ha visto convergere le forze di un gran numero di persone, impegnate a preparare le giornate di presentazione dei lavori.
Si è provato dalle 9 di mattina a mezzanotte. Stanchi ma innervati dalla gioia di costruire. Questo brulichio è andato avanti sino alla collettiva esplosione emotiva finale, di venerdì e sabato, giornate conclusive di presentazione dei risultati della residenza. Lavori che sono il risultato di una ricerca, di una sperimentazione continua, di tentativi sulla scena, nonché dell’analisi dei diversi aspetti della scrittura teatrale e scenica: dal testo parlato a quello danzato a quello agito, quasi come istallazione. Studi e non prodotti finiti conclusi; forse questo è anche il loro fascino..

Ha dato il via in anteprima Salvo Lombardo il 13 ottobre presentando “Della bibliofagia – Opera in situ” con Valeria Bianchi, Giulia Frau, Laura Murgia, Susanna Orrù, Silvia Pisano, ambientazione sonora Maria Teresa Berardelli. Dieci minuti di durata per repliche ogni 15 minuti. “L’intento di questo studio è approfondire un discorso sulla conciliabilità dei punti di vista, sull’interazione degli ‘io’ possibili, fino all’ipotesi di sottrazione dei fondamentalismi autoreferenziali di certo individualismo contundente e predatore” spiega Salvo.
La giornata ufficiale d’inizio è poi il 15 ottobre con i primi tre lavori. Federico Pischedda presenta “Ritorno” presso un’abitazione privata di Orroli con Thea Ginevra Dellavalle e Carlo Lei. Federico spiega di aver scelto lo spazio domestico di una cucina reale, abitato da ricordi e affetti perché si intreccia in maniera penetrante all’idea del rapporto padre-figlio come rapporto col passato.
Ci spostiamo poi alla biblioteca comunale, dove Stefania Rovatti presenta “Incudine” con Maria Teresa Berardelli, Valeria Bianchi, Thea Ginevra Dellavalle. Stefania ha condotto un’interessante operazione per portare la sua poesia in teatro, recitandola e ponendola – tramite la sua stessa fisicità e parola – davanti agli spettatori.
Infine Maria Teresa Berardelli, che propone “Il Paese delle Ombre” con Valeria Bianchi e Carlo Lei. “Il progetto prende via da ‘Lo sguardo estraneo di Herta Mueller’ e verte intorno al concetto di senso di minaccia e di persecuzione che porta ad avere uno sguardo estraneo, ossia alienato. La mia persecuzione nasce non da una diversità razziale, etnica o religiosa ma da atti criminosi avvenuti in orfanotrofi” spiega. Maria Teresa propone tre pezzi dal primo atto a scena vuota, con la sola forza della parola del testo e degli attori.

La giornata di sabato, 16 ottobre, si apre dopo le 17 alla Casa San Nicola per sfruttare la luce del tramonto. E’ il momento del mio lavoro, “Scarto”, con Carlo Lei e Federico Pischedda. Ho scelto lo spazio di una vecchia casa abbandonata perché aiutava fortemente a far emergere la natura specifica dei personaggi e del loro rapporto. Il mio interesse di ricerca si è sviluppato intorno alla possibilità di costruire un dialogo tra persone che parlano secondo linguaggi differenti in uno spazio ben preciso. In particolare ho cercato di indagare cosa accade quando, in un luogo in cui regnano il silenzio e l’immobilità apparente, viene lanciata prepotentemente la parola. Quali effetti e quali risposte questo, seppur minimo, scoppio sonoro produce? Ho provato ad instaurare un dialogo tra luogo, silenzio, parola e disegno nell’incontro tra due fratelli in cui uno parla e l’altro disegna.
Subito dopo Serena Porino presenta “Un terzo”, con Pinuccio Derosas, Antonio Mariani, Daniela Orrù, Franco e Alessandro Murgia, Marco e Paola Russo. A sole ormai calato Serena sfrutta lo spazio della casa e della piazza antistante con un suggestivo lavoro che si sviluppa senza mai sentire il bisogno di alcuna parola.
Alle 20.30 si fa ritorno alla biblioteca per gli ultimi quattro lavori. Benedetta Mazzotti presenta “Catabasi. Studio per l’opposto”, insieme a Nunzio Caponio, un potente lavoro danzato su musiche da lei stessa campionate e rielaborate a partire dal suono del cancello della casa che ci ospitava e dei campanacci delle pecore e delle mucche del luogo.
Quindi Valeria Bianchi presenta “Canoni”, con Maria Teresa Berardelli e Benedetta Mazzotti: “Il mio lavoro parte da una riflessione sul volto, sull’identità e sull’inadeguatezza – racconta Valeria – L’ispirazione iniziale è stato il documentario ‘Il corpo delle donne’ di Lorella Zanardo, e la realizzazione è stata ispirata da suggestioni avute qui, sul posto”.
Infine Thea Ginevra Dellavalle con “Nuova Mompracem”, con Federico Pischedda e Serena Porino, e Carlo Lei con “Esercizio n.3”, con Maria Teresa Berardelli, Valeria Bianchi e Benedetta Mazzotti.

La serata e l’esperienza della residenza “L’affiorare sincronico dell’opera drammatica” si conclude con una festa a base di ballo tondo collettivo, tipica danza sarda conosciuta fin dal Medioevo. Orrolesi e non, tutti insieme a ballare: artisti e pubblico, gli stessi che hanno saputo farsi trascinare in questa iniziativa lunga un mese con una forza sempre crescente.

A chiusura di questo percorso ripercorreremo, la prossima settimana, la conferenza tenuta in Sardegna da Chiara Guidi.

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