Il debutto della nuova stagione teatrale 2010/11 a Napoli non poteva essere più esplosivo. Giorgio Albertazzi conferma in scena: “Non è più tempo per recitare”. Non solo gli animi di teatranti e pubblico sono ormai poco incoraggiati all’arte, ma nei mesi scorsi la politica e l’economia hanno fatto tremare le fondamenta di molti teatri italiani.
Il nuovo “Lear” con Giorgio Albertazzi spiazza molti. Shakespeare viene smembrato in scena dalla – come di consueto – innovativa regia di Antonio Latella (qui un’intervista a Giorgio Albertazzi in cui si affronta anche la collaborazione con Latella), direttore artistico del Nuovo Teatro Nuovo di Napoli. I suoi seguaci si aspettano di tutto, ma tra il pubblico “da abbonamento” c’è chi rimane scosso, commosso, stordito.
Lear è il maestro, il re, il matto. Ma è anche e soprattutto Giorgio Albertazzi. Il Lear latelliano non è senz’altro quello di una volta: nessun abito storico o messa in scena tradizionale. E questo non sorprende più di tanto. Ma se il teatro già da tempo ribalta le scene mostrando le nude quinte, stavolta le prove diventano spettacolo, mentre il testo shakespeariano decide di mischiare concetti alti e bassi, profondi e contemporanei.
Il regno di Lear è simbolo: potrebbe essere qualunque cosa così preziosa per noi tutti da volerla dare solo a chi dimostra la sua sincera essenza. Ma per un maestro/re, qual è la cosa più importante?
Il teatro di parola classico si va perdendo, è ovvio, scansato via della sperimentazione; ma il saggio maestro e l’innovativo regista riescono in qualche modo a riunire i due antipodi di una stessa arte. Il pubblico siede in platea, mentre sul palco un lungo tavolo di legno vede i protagonisti seduti a chiacchierare.
Abiti e oggetti verdi: dalla sciarpa del maestro alle scarpe delle attrici, ai tappi delle bottiglie, le tonalità del colore della speranza riempiono una scena illuminata a giorno, più simile all’allestimento di un convegno o di un comizio politico.
Inizia la lettura del copione, protagonista effettivo della pièce.
Gli spettatori si guardano, e qualcuno – bisbigliando a bassa voce – già teme la noia. Poi avviene la magia.
Da maestro, Albertazzi diventa re, poi matto, poi maestro e, in un’interazione continua tra realtà e irrealtà, immerge nella storia shakespeariana, non facendo più caso al passaggio che separa i due mondi.
Mentre lo spettatore si immedesima nei personaggi e nelle relazioni della vicenda, lui domanda ad un’attrice: “Ripeti di nuovo la battuta”, o ancora: “Dimmi il tuo vero nome”, e lei indispettita ripete quello del personaggio che interpreta. Solo alla fine troverà la forza di ricordare il proprio vero nome.
Albertazzi scende tra il pubblico, si siede, recita accanto agli spettatori, guarda il proprio futuro e i propri figli artistici dalla platea. Attori giovani ma bravi, soprattutto i due intensi Giuseppe Lanino e Rosario Tedesco, che frantumano rabbiosamente copioni e fogli urlando: “Give me some words!”.
Quattro minuti di applausi, il primo dedicato solo ad Albertazzi, che esce di scena mentre i suoi ragazzi lasciano sul palco un’eredità importante: il copione poggiato sul proscenio.
A prima vista etichettato come spettacolo-testamento di Albertazzi, in realtà il protagonista sottolinea una propria vitalità sulla scena che poco lascia preludere a un ‘pensionamento’ imminente. Ed egli stesso, nei panni di Lear, avverte: “Stavolta non voglio morire, non è ancora il momento”.
LEAR
da William Shakespeare
traduzione Ken Ponzio
adattamento Antonio Latella, Ken Ponzio
regia: Antonio Latella
produzione: Teatro di Roma e Nuovo Teatro Nuovo
con: Giorgio Albertazzi, Silvia Ajelli, Evita Ciri, Giuseppe Lanino, Angelo Montella, Annibale Pavone, Rosario Tedesco, Elisabetta Valgoi
scene e costumi: Fabio Sonnino
realizzazione costumi: Cinzia Virguti
realizzazione scena: Marco Di Napoli
foto di scena: Brunella Giolivo
tecnico luci: Carmine Pierri
fonico: Angelo Longo
sarta di scena: Paola Solimando
assistente alla regia: Alessandra Limentani
regista assistente: Tommaso Tuzzoli
durata: 1h 20’
applausi del pubblico: 4’ 10’’
Visto a Napoli, Nuovo Teatro Nuovo, il 23 ottobre 2010
povero Albertazzi, spazzato via dalla “sperimentazione”.
Cosa rimarrà del nulla creativo di questi anni? del nulla nutrito da amici critici?
cosa faremo quando apriremo gli occhi e vedremo di avere distrutto una cultura per sostituirla con la traslazione delle brutture della nostra società dentro al teatro: amicalità, raccomandazioni, amanti etc etc?