Tiziano Scarpa, Stefania Pepe, Andrea Chiodi. Intervista su Stabat Mater

Tiziano Scarpa (photo: einaudi.it)
Tiziano Scarpa (photo: einaudi.it)
Tiziano Scarpa (photo: einaudi.it)

La narrativa contemporanea trova feconda ispirazione in quel Veneto che a tratti vola e a tratti affonda. Quel territorio che ci regala Vitaliano Trevisan e Tiziano Scarpa, che ci racconta presente e passato del nostro vivere d’oggi, le solitudini, le ricerche, in un sofisticato continuum a-là-Borges. E non può, dunque, meravigliare leggere fra le pagine di “Stabat Mater”, opera per l’appunto di Tiziano Scarpa, una frase come “sono stata attraversata dal tempo e dallo spazio, e da tutto quello che essi portano dentro. Alla fine ero stravolta, in un’ora io sono stata musicalmente grandine, musicalmente afa, musicalmente gelo, musicalmente tepore, musicalmente piedi intirizziti, musicalmente pioggia leggera, musicalmente suolo ghiacciato che fa male caderci sopra, musicalmente prato tenero”.

Scarpa, veneziano legato alla sua terra, ambienta la storia raccontata nel pluripremiato “Stabat Mater”, in quell’Ospedale della Pietà dove lui stesso è nato, e dove racconta della nascita di una passione, di un transumare da un’umanità crisalide ad un’umanità completa. La completezza è nel raggiungimento della vita appassionata, della conoscenza della propria indole che la presenza di un maestro può aiutare.

Cecilia è una educanda del collegio, ha sedici anni e suona il violino. Servirà una scintilla perché la piccola donna scopra la sua libertà e il suo tormento, che il suo io esiste compiutamente e si sprigioni.

Dal romanzo di Scarpa è stata tratta una versione teatrale in forma di monologo (di cui Klp si è già occupato). Ma abbiamo anche intervistato lo scrittore e i teatranti, che nel video di oggi ragionano sui rispettivi spazi narrativi, sui potenziali che gli uni traggono dall’immaginario dell’altro.
Il prete rosso, Antonio Vivaldi, che in scena non appare mai, è il socratico maieuta che nel romanzo quasi si specchia nelle privazioni della ragazza e ne fa riflesso mobile, come quelli che di notte si scorgono allungarsi nei canali fra le calle, dei suoi stessi affanni. E pare lo scrittore che fornisce all’attore le chiavi per la messa in scena.

“Io sono la mia malattia e la mia cura”. E’ di questo ambivalere dell’arte che abbiamo cercato di ragionare, ospiti del Teatro Filodrammatici di Milano, in un appuntamento pre-prima con l’attrice protagonista, Stefania Pepe, e il regista Andrea Chiodi, che in contrappunto (o basso continuo scelga il lettore la struttura musicale che più aggrada), incrociano i loro pareri a quelli dello scrittore Scarpa. A lui il compito di riservarci una serie di riflessioni sul nostro tempo, sull’arte contemporanea, e su colore e suono dei sentimenti, alla ricerca di quell’identità così difficile da trovare, e che anche dov’è trovata rimane spesso un inaccessibile dell’anima, a cui accedere solo quando lo si fa con spirito puro. Il consiglio pare venire dallo stesso scrittore nelle pagine del libro: “Bisogna trascinarsi lì con tutte le forze, ritirarsi in quel cantuccio ancora capace di prendere decisioni, e dire: io”.

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