Gli Incendi di Teatro i, l’indicibile di un Edipo moderno

Incendi - Renzo Martinelli
Incendi - Renzo Martinelli
Gli Incendi di Renzo Martinelli (photo: Luca Meola)

È paradossale, logicamente incomprensibile, che i rapporti umani più intimi e consanguinei, nascondano retroscena impensabili, verità incredibili per la ragione, che le esclude a priori, mentre la bocca le tiene e ritiene indicibili. Taciute “per il tuo bene”, ma non per sempre.
Il custode dell’inconfessabile sa di dover svelare prima o poi il segreto, parole che bruciano, e che, una volta dette, lasciano il segno dell’ustione. Per questo motivo Wajdi Mouawad ha chiamato “Incendi” la storia di Nawal e dei suoi figli Jeanne e Simon, gemelli a cui viene lasciata in eredità una scoperta tragica.

Il testo (in prima nazionale al Teatro i di Milano sino al 13 febbraio) apre Face-à-Face. Parole d’Italia per scene di Francia, rassegna che per definizione “pone attenzione alla contemporaneità veicolata dalla parola”. In questo caso, la parola dell’autore, francofono di origine libanese, nella traduzione di Caterina Gozzi, riporta la crudeltà della Storia (non solo libanese) e della storia “indicibile” di Nawal.

Per raccontarla, la regia di Renzo Martinelli sfrutta tutte le potenzialità del suono, che sia voce, musica o rumore: chiede alla voce degli attori di esprimere le diverse e possibili tonalità, profondità e altezze, portandole dal silenzio al grido; ai microfoni affida gli effetti, mentre ai rumori degli oggetti spetta il contrappunto dialettico. “Se proprio una cosa va detta, tanto vale urlarla”. E allora, per dire l’indicibile, la regia di Martinelli alza il volume.

Il testo, scritto nel 2003 dall’autore di origine libanese, seconda parte di una “tetralogia della memoria” non ancora conclusa che tratta il tema dell’eredità (nell’intimo familiare, ma anche nella Storia), presenta una trama da tragedia greca ambientata nell’oggi, tanto da essere definita come la vicenda di un Edipo femminile e contemporaneo. Non a caso il testo si apre con un prologo. Ad avvisare il pubblico è Hermile, il notaio amico di Nawal, incaricato di ricevere i gemelli per consegnare loro quanto disposto dalla madre che, prima di morire, ha trascorso gli ultimi anni chiusa in un incompreso silenzio. In eredità, una giacca da prigioniero, un diario rosso e due buste, una per ciascun gemello, con una richiesta come ultima volontà: trovare i destinatari e consegnarle. Jeanne dovrà cercare il padre che non hanno mai conosciuto, a Simon invece, toccherà il fratello, altrettanto ignoto.

Nella versione di Martinelli, Walter Leonardi è un notaio bizzarro in evidente difficoltà per ciò che si trova a rivelare, traducendo l’imbarazzo in un’espressione buffa che, nel corso della vicenda, si rivelerà in tutta la sua potenza tragicomica. Accompagna l’andamento cialtrone, un accento tipico da nord Italia, marcato e ridicolo, che ricalca quei tipi che, spesso chiusi al bar e mai usciti dalla provincia, subiscono i cambiamenti lamentandosi “dei tempi che corrono”. Da un tipo così non ti aspetteresti nemmeno una parola di troppo, e invece sarà proprio lui ad avvisarci della tragedia: “Avrei preferito incontrarvi in un’altra circostanza… ” ammette, con le mani in tasca e gli occhi lucidi.

I gemelli invece rappresentano i due opposti: lei, Valentina Picello, ha il filo di voce di una bambina; lui, Franceso Meola, è tratteggiato dalla bestemmia facile. Il terzo fratello, interpretato da Libero Stellati, parla e canta, stonato e sguaiato. Le loro prove vocali sono sottolineate da echi e rimbombi che amplificano la gravità del racconto che si fa sempre più complesso. La vicenda viene ricostruita con flash back e salti temporali, connotati dall’uso di differenti supporti sonori che si alternano sempre più velocemente, fino a fondersi in un unico concerto che culmina in un grido straziante, per poi sciogliersi e terminare con la voce sola della madre, interpretata da un’appassionata Federica Fracassi.

La complessità di una trama frazionata, densa di tempi e luoghi differenti, è risolta nella versione di Martinelli da una messa in scena che muta con la storia, adattandosi ai cambiamenti spaziotemporali, sempre più ravvicinati: la scena si apre con quattro banchi posizionati agli angoli del palco rettangolare e ricoperto di mattoni bianchi, per chiudersi con le geometrie iniziali esplose, e l’immagine ribaltata e disordinata di un luogo trafugato. Sullo sfondo, una tenda chiara, prima chiusa. A ogni apertura corrisponde una nuova rivelazione, e quindi un nuovo elemento scenografico, e ancora un significato, attraverso un albero con quattro rami secchi, o uno specchio. Al centro, un tavolo che, da scrivania del notaio nella prima scena, dalla seconda diventa all’occorrenza tomba, autobus, tavolo dell’imputato: è puntualmente ribaltato a ogni cambio temporale, che viene così segnato da un tonfo. Rumoroso e secco, fastidioso, ma mai quanto le parole e il loro rimbombare.

INCENDI
di Wajdi Mouawad
regia: Renzo Martinelli
con: Federica Fracassi, Walter Leonardi, Francesco Meola, Valentina Picello, Libero Stelluti
durata spettacolo: 140 minuti
applausi del pubblico: 3’ 40”

Visto a Milano, Teatro i, il 28 gennaio 2011

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