La stabilità degli Stabili. Dalisi, Mele, Bellini: l’esempio napoletano del Ntn

Antonio Latella
Antonio Latella
Antonio Latella

Le affinità elettive, a volte, hanno a che vedere con la geografia. Sia Paolo Magelli sia Antonio Latella sono tornati nelle rispettive regioni d’origine dopo anni all’estero: il primo, già assistente di Strehler negli anni Settanta, ha attraversato da regista ex-Jugoslavia e Croazia, Francia e Germania, lavorando poi stabilmente dal 2003 al 2009 allo Staatschauspiel di Dresda.
Il secondo, passato alla regia dopo gli esordi da attore, ha scelto Berlino nel 2004 e firmato spettacoli, fra gli altri, per gli Schauspiel di Colonia e Vienna.

Abituati alle scene mitteleuropee, non stupisce che entrambi i direttori artistici abbiano scelto di dare una virata alla prassi nostrana: la citazione da Goethe che il Metastasio ha preso come metafora per la sua relazione con lo Stabile della Sardegna può applicarsi in altro senso anche al Nuovo Teatro Nuovo, se si pensa all’origine specificamente tedesca del Dramaturg e al ruolo cardine che tale figura acquista nel progetto di Latella. Proprio il rapporto tra ensemble stabile, repertorio e drammaturgie è la base della stagione “Fondamentalismo” diretta dal regista, che si è da poco conclusa.

Gli elementi chiave sono noti: un gruppo di sei attori (Valentina Vacca, Giovanni Franzoni, Caterina Carpio, Candida Nieri, Massimiliano Loizzi, Daniele Fior), otto registi diversi, per un totale di diciannove nuove produzioni (compresi i sei monologhi di “Auguri e figli maschi”, messo in scena da Latella a inizio stagione), testi originali o adattamenti a cura dei due drammaturghi di compagnia, Linda Dalisi e Federico Bellini. Un progetto in cui nessun tassello è pensabile separato dagli altri, in cui tutto ha un peso specifico e risponde a precise necessità, come abbiamo avuto modo di esaminare durante un seminario con Michele Mele, assistente alla direzione artistica, Dalisi e Bellini alla Città del Teatro di Cascina il 3 e 4 febbraio scorsi.

Latella non ha solo legato una compagnia allo Stabile di innovazione con grande impegno produttivo, ma ha messo in azione un modello di lavoro artistico e organizzativo, coraggiosamente sperimentale per le sue ricadute sulla fruizione del pubblico e sulla stessa creazione spettacolare.
C’è infatti la proposta di una formula di lavoro teatrale, in cui le autorialità di attori, registi e dramaturg si incontrano secondo modalità diverse, generando un processo di costruzione reciproca delle rispettive scritture: nella maggior parte dei casi i testi si sono sviluppati a stretto contatto con il percorso delle prove, accogliendo soluzioni e proposte sceniche, ma anche scrivendo a quattro mani con il regista, come è accaduto alla Dalisi con la Diogo, per “Madame” e “Rosa Lux”. Reperire prospettive, incrociando voci e sguardi: da questo sforzo nasce il repertorio, che sonda il fondamentalismo attraverso emblemi del pensiero novecentesco (Simone Weil, Rosa Luxembourg, Martin Heidegger) o figure mitologico-letterarie (Prometeo, Salomé, Madame De Sade); adattando drammi come “Brand” di Ibsen e “Incendi” di Wajdi Mouawad; ispirandosi a romanzi come “Opinioni di un clown” di Heinrich Boll, a testimonianze d’epoca e scritti filosofici, come per “Il velo” o “Tutto ciò che è grande è nella tempesta” di Bellini.

Per i due drammaturghi, il Nuovo è stato una casa-laboratorio: in quello che potrebbe sembrare un sistema chiuso, la presenza di più registi introduce altrettante variabili, portando a rimodulare le dinamiche di lavoro interne. Diverse regie, diverse poetiche: oltre a Latella, artisti già legati al Nuovo come Pierpaolo Sepe e Tommaso Tuzzoli, la stessa Dalisi, giovani con esperienze internazionali come Agnese Cornelio e la portoghese Paula Diogo, e poi Andrea De Rosa ma anche il gruppo MK.
Tra le regole fisse, l’idea di produrre con ciascun regista due spettacoli, uno con tutto l’ensemble e un monologo, rappresentati ciclicamente durante la stagione. Teatro d’ensemble e “teatro anatomico” quindi, com’è appunto la sezione dei monologhi, in cui la restrizione spaziale focalizza lo sguardo, chiama a vivisezionare l’agire attorico e la visione.

Da ottobre 2010 a oggi, gli attori sono stati impegnati costantemente in prove e repliche: proprio questo ritmo continuo ha portato ad una diversa attitudine, come raccontano al telefono le attrici Valentina Vacca e Candida Nieri. L’assiduo lavoro d’ensemble sviluppa le reciproche sensibilità e l’intesa scenica conduce a fidarsi dell’altro e a proporre intuizioni. I tempi si velocizzano e il confronto serrato con testi e personaggi nutre i due poli della dinamica interpretativa, rafforzando da un lato la necessità di una presenza totale in scena e dall’altro il senso del distacco. Col tempo, poi, la platea non è più impersonale e generica, ma la comunità con cui si è condivisa l’esperienza.

La formula ‘fondamentalista’, con titoli lontani dai punti di riferimento abituali, può spiazzare e disattendere le attese dello spettatore: tra ospitalità comunque all’insegna della ricerca drammaturgica, pochi autori e nomi ‘di richiamo’, come il “Lear” con Albertazzi e “Finale di partita” di Castri. Eppure, è proprio il legame che progressivamente si instaura tra attori e pubblico a potenziare il progetto e il senso di una presenza stabile. Il percorso tematico si unisce infatti all’idea di una partecipazione intensa dello spettatore, il cui sguardo si arricchisce di volta in volta cogliendo i linguaggi peculiari ai diversi registi, osservando le differenti prove attoriali: un rapporto di confidenza sempre più intimo e diretto, un dialogo che non si esaurisce nel giudizio sul singolo spettacolo. Per questo, spiega Michele Mele, sono state pensate due tipologie di abbonamento, una per gli abbonati fidelizzati, più vicina a quella tradizionale a turno fisso, e una ‘fondamentalista’, a turno libero, per spettatori dinamici, prevalentemente giovani; attenzione agli studenti universitari, coinvolti non solo con agevolazioni di prezzo (biglietti a 6 euro tutti i mercoledì) ma anche con gli approfondimenti settimanali di Retroscena curati dai giovani di RadioLabF2.

Negli ultimi mesi, però, le cronache teatrali napoletane hanno registrato diverse scosse, e l’erogazione dei finanziamenti regionali, bloccata dopo lo sforamento del patto di stabilità, rischia di compromettere la progettualità avviata: e sarebbe davvero uno spreco, come far morire il seme appena piantato.
La sensazione di una fine prematura circola, e proprio in queste ultime ore sembra prendere amara concretezza, dopo la chiusura anticipata della stagione il 30 aprile con la ripresa di “Auguri e figli maschi”. Il Nuovo per il momento vuole mantenere il riserbo e attende per ufficializzare la sua posizione.

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