Erano anni che aspettavo di assistere a uno spettacolo teatrale fatto da artisti cinesi pratesi.
Durante l’università, a Prato, insieme ad alcuni compagni di studio ci interrogavamo su come scovare il teatro in quella grande comunità asiatica per la quale la mia città è famosa in tutta Italia. Pensavamo a un festival di arte cinese o qualcosa del genere. Poi le nostre strade si sono divise, io ho lasciato Prato e non abbiamo fatto nulla.
Ma ecco che, un po’ di anni dopo, mi ritrovo davanti agli occhi lo spettacolo che avrei voluto vedere.
Ho sempre pensato che la comunità cinese a Prato possa e debba essere un’opportunità; sta all’arte il compito di tracciare la strada in una città che, complice la crisi economica e l’incertezza, vede con troppa diffidenza gli stranieri.
Ma la differenza è una ricchezza e questo progetto assomiglia un po’ a una favola.
Lo spettacolo va in scena in prima nazionale a Divinamente Roma, festival internazionale della spiritualità che si svolge nella capitale. Tutto il progetto nasce da un’intuizione di tre personaggi: l’attrice Pamela Villoresi, pratese di nascita, direttore artistico del festival che ha ospitato il debutto nonché membro del cda del Teatro Metastasio; Paolo Magelli, che del Met è il neo direttore artistico “illuminato”, pratese fuggiasco nel nordest europeo e “figliol prodigo” richiamato in patria a dirigerlo, e il regista Gianluca Barbadori.
Un quarto soggetto, fondamentale, è stato il sindaco (di centrodestra, per la prima volta nella storia della città toscana, rossa per tradizione) che ci raccontano “entusiasta” del progetto.
I partner dai quali tutto comincia sono quindi il Comune di Prato, il Teatro Metastasio e la cooperativa Ponte tra Culture, formata da attori accomunati dal desiderio di coniugare un percorso di ricerca teatrale che utilizzi elementi legati al teatro fisico, al gesto evocativo, al canto, con l’uso del teatro come mezzo di azione sociale per generare integrazione e creare situazioni di trasformazione sociale in ambiti di marginalità sociale e economica.
Questi tre soggetti hanno incontrato la collaborazione dell’associazione Artchinabridge, costituita da un gruppo di professionisti dell’arte e della cultura, italiani e cinesi, convinti delle potenzialità positive e nascoste delle generazioni dei nuovi italiani e impegnati a rompere il fronte dell’incomunicabilità tra le diverse comunità etniche presenti nel nostro Paese.
Un team perfetto ed è fatta: quest’inverno a Prato inizia un laboratorio teatrale (che si avvia a diventare laboratorio permanente) da cui nascerà lo spettacolo. Al laboratorio partecipano 26 persone di cultura cinese e cinque italiani sinoparlanti con diversi livelli di integrazione: ragazzi cinesi nati in Italia o arrivati nel nostro Paese da piccoli, ragazzi cinesi residenti in Italia per motivi di studio, ragazzi cinesi in Italia da poco e per lavorare.
Allo spettacolo prendono parte in tutto 12 persone: nove cinesi e tre italiani (Shi Yang Shi, Patrizio Pierattini, Olivia Kwong, Marta Bozzano, Chen Zhe, Bernardino Gasperi, Hua Qiuxiu, Huang Miaomiao, Ke Zhoujun, Zhang Xiuzhong, Yang Yanmei e Malia Zheng), che lavorano a “L’anima buona del Sezuan” di Bertolt Brecht, riadattato per trasformarlo in una metafora sulla realtà pratese, sulla diversità tra persone, sullo sfruttamento, sulla solidarietà. Un testo occidentale che si mescola a una messa in scena orientale, sia per la lingua scelta, che per i numerosi elementi della tradizione e della cultura cinese messi in campo.
Il testo narra di solidarietà e di rispetto, indaga i meccanismi che creano il rapporto tra bene e male e riflette sulle dualità che convivono all’interno di ogni persona e nei rapporti tra individui.
“L’angelo nei sobborghi” è la protagonista Yu Lian (interpretata con passione da Shi Yang Shi, stupendo attore cinese che accentua la sua sensualità negli abiti da donna) ex prostituta dedita al bene, la cui rettitudine sarà messa a dura prova dagli inganni del suo tempo.
Siamo in Cina, nella capitale semieuropeizzata del Sezuan (il Sichuan del terribile terremoto del 2008), ma “la provincia del Sezuan, che nella presente parabola simboleggia tutti i luoghi dove gli uomini sono sfruttati dagli uomini, oggi non fa più parte di questi luoghi” ci avverte Brecht.
Le atmosfere cinesi sono rievocate dai movimenti degli attori, dalle musiche (che alternano Ljupco Konstantinov a brani tradizionali cinesi) e dalle coreografie danzate di Olivia Kwong, non eccellenti ma efficaci nel loro aspetto didattico. Lo spettacolo è ben delineato nelle sue intenzioni: la fine di un laboratorio con “attori” (nel senso di persone che agiscono) eccezionali ha scovato potenzialità artistiche e svelato un universo cinese troppo nascosto anche al mondo teatrale.
Belle le scene nella loro semplicità: pacchi che si muovono diventando quinte e che assomigliano agli stanzoni pratesi dove si ammassano i lavoratori cinesi sfruttati. Interessanti gli sviluppi di tutti i personaggi (su tutti ricordiamo la figura dell’acquaiolo) interpretati con una grazia di taglio molto asiatico nei singoli gesti. Unica pecca: il contesto del Macro Testaccio, dove lo spettacolo ha debuttato, che è sicuramente uno spazio originale ma talmente scomodo da creare difficoltà nel vedere lo spettacolo e nel seguire i sovra titoli.
L’esperimento è comunque riuscito; il prodotto finale è scorrevole nonostante una durata superiore alle due ore. Pamela Villoresi lo ha annunciato a Divinamente New York a maggio (il festival speculare a quello romano). Ora lo si attende proprio dove è nato, in quel Metastasio di Prato per la prossima stagione. E ci auguriamo che la tournée non si fermi lì.