E’ la prima volta che Klp incontra Monica Conti, ma è innegabile si tratti di una delle protagoniste al femminile di maggior intensità del panorama registico italiano.
Il suo “Pasqua” di Strindberg all’Out Off di Milano tre anni fa ci aveva impressionato per la grande potenza scenica: pulito ed evocativo, fatto di piccoli-grandi oggetti, di piccole-grandi visioni, per un testo visibilmente letto da un’appassionata della prosa novecentesca.
La Conti si è diplomata in regia alla Paolo Grassi e in pianoforte al Conservatorio di Brescia, ha lavorato come attrice per un decennio, prima di debuttare come regista, nel 1989, con “Faust. Un travestimento” di Edoardo Sanguineti, prodotto dal Centro Teatrale Bresciano. Di lì in poi si è dedicata sempre con passione alla prosa più alta dei grandi scrittori del secolo scorso.
Quest’anno, grazie a una committenza di Ctb, Ert e Corte Ospitale, Monica Conti si è confrontata con “Le mutande”, testo di Carl Sternheim, interpretato da un gruppo di artisti misto, di scuola bresciana e di scuola Ert: Sergio Mascherpa, Diana Hobel, Federica Fabiani, Nicola Stravalaci e Antonio Giuseppe Peligra.
Nonostante l’intonazione un po’ vaudeville del testo, l’esito è ragguardevole per il tratto espressionista, dove la satira di inizio Novecento à-la-Otto Dix si adagia torbida sui volti di questi personaggi, che di lì a poco Pirandello avrebbe svuotato di senso, marchiandoli come “in cerca d’autore”.
Era quella vecchia piccola borghesia, ammalata visceralmente di brama di denaro e di potere, ma pronta a mettere tutto in vendita, che avrebbe trovato tristi autori nei dittatori che portarono l’Europa alle due guerre mondiali.
Questa regia della Conti è l’ultima in ordine temporale di una carriera ormai ventennale, anche se ha lavorato quasi un decennio come attrice (dall’89 al ’96), prima che il suo focus si spostasse definitivamente sull’attività registica.
Ma dal 1996 al 2001 ha firmato parecchi spettacoli, prodotti da diversi teatri milanesi (l’Out Off in particolare) e dal Centro Teatrale Bresciano, fino ad ottenere, grazie in particolare ad alcuni lavori come il bellissimo “Minetti” di Thomas Bernhard interpretato da Gianrico Tedeschi, il premio Hystrio alla regia che le rese merito di una pluralità di ambiti di indagine davvero ragguardevole.
La motivazione del premio fu infatti: “Abbia diretto Roberto Trifirò in Godberg, Schnitzler o Dostoevskij, abbia affrontato Stretta sorveglianza, il testo rovente di Genet, al Metastasio di Prato o, sulla stessa scena, abbia composto un suo spettacolo sulle lettere di Emily Dickenson, senza parlare degli interventi su contemporanei, come Moravia, dei suoi studi plautini a Sarsina, del suo laboratorio marchigiano intorno alla Montessori o delle sue prime escursioni nella lirica, le regie di Monica Conti hanno sempre prodotto spettacoli di una compattezza armoniosa, dove la poesia, l’arte e la tecnica si sono trovate in felice equilibrio. Conferendo a Monica Conti il Premio Hystrio alla regia, la Giuria vuole anche sottolineare l’apporto prezioso, ormai irrinunciabile, della regia al femminile per il rinnovamento della scena nazionale”.
A distanza di un decennio dal premio, l’abilità nel realizzare opere di grande compattezza poetica, la capacità di calibrare le interpretazioni e di valorizzare i testi restano una prerogativa di questa donna, capace di regie che vanno a fondo dei testi, delle parole, del senso profondo della prosa per l’uomo contemporaneo, senza mai cadere in inutili tentativi di mescolanze di linguaggio dal sapore indecifrabile.
Nonostante tutto questo, nella video intervista registrata al Teatro Santa Chiara di Brescia, la Conti ci parla della grande fatica, nel teatro italiano, di affermare il linguaggio, il punto di vista al femminile.
Il nostro incontro cade, peraltro, nei tristi giorni in cui ci ha lasciato per una assurda fatalità Sonia Bonacina, l’attrice che proprio in quel “Pasqua” che menzionavamo all’inizio è stata assistente e alter ego della Conti. L’avevamo conosciuta allora, in quell’Out Off dove sarebbe tornata come attrice di lì a poco. Con Monica l’abbiamo voluta ricordare.
Il pericolo di vivere senza orizzonti rispecchia i momenti che stiamo purtroppo vivendo tutti noi e questo spettacolo è prezioso perchè rappresenta una energica, divertente,brusca messa in guardia, un invito ad aprire bene gli occhi sul ciglio di precipizio su cui cammina la nostra società.