Cette immense intimité. Le creature volanti di Fabrice Guillot

Cette immense intimité
Cette immense intimité
Cette immense intimité (photo: Donatini)

Se, camminando lungo via Don Minzoni a Bologna, ci si sporge dalla balaustra che dà sul Parco del Cavaticcio, ci si trova sotto il naso, a strapiombo, una grossa parete di piccoli mattoncini rossi, proprio a ridosso del torrentello che taglia in due il parco.
E’ letteralmente su quella parete, così poco visibile al traffico cittadino, che ha preso l’avvio la 15^ edizione del festival Danza Urbana la scorsa settimana.

Ad animare questo afoso e seguitissimo debutto d’inizio settembre è stato “Cette immense intimité”, un assolo coreografato dal francese Fabrice Guillot, ex scalatore e fondatore della compagnia Retouramont, che vede la danzatrice Olivia Cubero compiere trenta minuti di evoluzioni proprio contro il muro appena menzionato: sospesa con un elastico, ecco moltiplicarsi le possibilità di movimento dell’interprete, che oscilla orizzontalmente come un pendolo, striscia serpentina verso l’alto, calpesta sicura la solidità della parete e, senza sforzo, spicca il volo nel vuoto.

E’ un movimento che procede dolcemente per espansioni e contrazioni, senza quasi conoscere né strappi né sussulti, coprendo le distanze con la possanza e l’impalpabilità di uno sbatter d’ali.
Un flusso dinamico che, però, ha bisogno di un ambiente specifico per sopravvivere, un habitat da cui trarre nutrimento e forza: non ci riferiamo tanto all’ormai nota parete, quanto allo spazio creato dall’impasto visivo e sonoro in cui la performance è immersa.

La danza di Olivia, infatti, viene captata da un dispositivo video, trasformata e proiettata in tempo reale dallo stesso Guillot contro il muro, il tutto sulle vibrazioni acustiche di un commento sonoro puntellato di rumori d’acque e grida di uccelli: l’effetto è quello di una polverizzazione dell’immagine dell’interprete, la cui corporeità, sottoposta a rielaborazione digitale, ne viene fuori esplosa e sfocata, fata e farfalla, sagoma scura e buco nero, graffito che diventa vortice, scia, zampata.

Un organismo visivo e sonoro compatto, in cui l’immagine ingloba felicemente la tridimensionalità del corpo danzante: a ricordarci che abbiamo di fronte una danzatrice in carne e ossa è, paradossalmente, proprio la sua ombra che, sapientemente proiettata su una seconda parete tangente alla prima, ce la mostra di profilo, privilegiando, quindi, la dimensione della profondità.
Si produce così un assurdo gioco di rifrazioni in cui è l’ombra, sinistra e appartata, a conservare un aspetto maggiormente antropomorfo rispetto ad un corpo trasfigurato nella fantasmagoria delle proprie sensazioni: la sfavillante foresta di immagini che avvolge Olivia altro non è che il prodotto, rielaborato e amplificato, della sua stessa danza, in un flusso di energia e sensorialità che parte dal corpo e al corpo ritorna.

La danzatrice è dunque chiamata ad un confronto tanto intimo quanto arduo: quello con se stessa e con la propria immagine danzante, un’immagine da mostrare e da proteggere, da cui partire per esplorare lo spazio e a cui tornare per guardarsi dentro.
Eppure, quando sul finale la nostra creatura dell’aria scende sulla terra, e addirittura affonda i piedi giù nell’acqua, sentiamo come stemperarsi la magia della visione e accendersi, sordido, il desiderio di una danza che avremmo amato di più se fosse stata vergata con un inchiostro meno sbiadito, con una ricerca di inabissamento nel muoversi oltre che di sfondamento verso l’alto.
Con l’utopico desiderio di trasformare il salto dell’uomo, per quanto splendidamente atletico, nella minuta perfezione del volo della farfalla.

Cette immense intimité
coreografia: Fabrice Guillot
con: Olivia Cubero
immagini live: Fabrice Guillot
durata: 30′
applausi del pubblico: 2′

Visto a Bologna, Parco del Cavaticcio, il 1° settembre 2011
Prima nazionale

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