Lacrime del cielo d’agosto. A Tramedautore l’Africa dei bambini di strada

Les larmes du ciel d'août / Lacrime del cielo d'agosto
Les larmes du ciel d'août / Lacrime del cielo d'agosto
Les larmes du ciel d’août / Lacrime del cielo d’agosto

Vivono in strada, a Kinshasa, 24 ore su 24, “les enfants de la rue”. Sono i bambini della capitale della Repubblica democratica del Congo che, con i suoi 8 milioni di abitanti, è la terza in ordine di grandezza dell’Africa.
Qui è consuetudine che le famiglie abbandonino la prole, e non sempre solo per difficoltà economiche. Ci sono anche bambini che vengono rifiutati perché respingono gli usi diffusi e sono quindi considerati ribelli. Per tanti congolesi sono loro la causa dei mali del Paese.

A questi estremi si trova il fenomeno dei “bambini stregone”, accusati di essere appunto degli stregoni malvagi, causa di ogni male che accade in famiglia, dalle malattie (l’aids è vissuta come una malattia di cui non si comprende la genesi) o la perdita del lavoro. Questo genere di conflitti familiari, che in casi estremi portano all’uccisione del bambino, insieme al fatto che i divorzi sono all’ordine del giorno, fanno sì che in Congo, con la stessa naturalità, le famiglie si costruiscano e si disintegrino.
Un fenomeno parallelo sono allora le “famiglie di strada”, generate dagli stessi “enfants de la rue”, che così hanno reso il drammatico fenomeno uno “stile di vita” da trasmettere di generazione in generazione.

Questa realtà, riportata e descritta in numerosi reportage redatti dai “mundele” (i “bianchi” stranieri), viene citata senza riserve in “Les larmes du ciel d’aout” (Lacrime del cielo d’agosto), testo del giovane drammaturgo Aristide Tarnagda, presentato nell’adattamento di Ados Ndombasi in prima europea al Piccolo Teatro di Milano, per Tramedafrica 2011, XI Festival Tramedautore.
In scena quest’Africa “disgraziata”, ritratta nella sua faccia più urbana e conflittuale. Lo spettacolo è un reportage poetico, dove la descrizione è affidata alla parola, sussurrata o caricata, tanto quanto alla musica, che riesce a parlare: non un semplice commento sonoro, ma un ulteriore veicolo di senso, un testo parallelo quasi, che con le parole fa una grammatica completa.
Non a caso sul palco oltre alle due interpreti, a due microfoni, e a una cassetta di legno, c’è l’impianto sonoro, diretto da Loic Bescond: una mini-orchestra che esordisce con un flauto, e poco alla volta si arricchisce di nuovi strumenti ed effetti digitali.
La musica ci racconta così la strada, protagonista della storia insieme alle due donne, che rappresentano due voci dello stesso “monologo”: il dramma delle ragazze che trascorrono la gravidanza aspettando il ritorno del loro uomo, partito a cercare fortuna (denaro) per il nascituro, e con la promessa che andrà a riprenderle. A patto che restino lì, dove stanno, in strada appunto, senza una famiglia alle spalle e con la compassione dei passanti più ricchi.

La scena è avvolta nel frastuono riprodotto della città, un pulsare che cresce e accelera fino ad esplodere in un riff di batteria. Il suono ha parole violente, come il testo, che corre veloce da un estremo all’altro: da versi d’amore delicatissimi a grida disperate, dall’intimismo alla trivialità.
In mezzo c’è il sangue, filo che lega i rapporti in modo definitivo e sacro: più della parola data, il sangue è il linguaggio universale che definisce i rapporti tra gli uomini, nel bene e nel male. Una mentalità che viene accettata come “un destino comune”, che rende uguali, ma soli. La solitudine resiste anche alla “pulsazione urbana” che circonda e sovrasta.
Le frasi spezzate, la ripetizione di formule, i dialoghi tra sconosciuti, che si scontrano a parole ancor più che fisicamente, ricordano Bernard-Marie Koltès. Come anche l’ambiente, crepuscolare e indefinito, reso qui da una scena piena solo di rumore e buio, se non per due coni di luce che, alterni, incombono sulle due attrici.
Il riferimento forse non è casuale visto che, sia nella formazione dell’autore del testo, sia fra i lavori del regista, troviamo il drammaturgo francese più volte citato: prima di essere regista, Ados Ndombasi recitò in un “Roberto Zucco”, mentre nel 2008 l’allora venticinquenne Tarnagda presentava “Fragments Koltès”.

Lo spettacolo, in prima europea, viene accolto da una platea milanese freddina (o forse molto riflessiva?), nonostante affronti domande cariche di senso in modo tagliente, realistico e mai banale.

Les larmes du ciel d’août / Lacrime del cielo d’agosto
di Aristide Tarnagda
regia: Ados Ndombasi
con: Muguy Kalomba, Loic Bescond, Starlette Mathata, Marithe Mitongo
musica: Loic Bescond
produzione: WAATO–BALABALA
durata: 1h 10′
applausi del pubblico: 1′ 2”

Visto a Milano, Piccolo Teatro, il 21 settembre 2011
Prima europea

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