Il Macbeth rosso di Andrea De Rosa

Giuseppe Battiston nel Macbeth di De Rosa
Giuseppe Battiston nel Macbeth di De Rosa
Giuseppe Battiston nel Macbeth di De Rosa (photo: BEPI CAROLI)

Sangue finto, luci stroboscopiche e attori sempre all’altezza. Quello di Andrea De Rosa è un Macbeth “rosso”, presentato in prima nazionale al Carignano di Torino dal 17 maggio al 3 giugno e basato sulla nuova traduzione di Nadia Fusini.
Il regista torna ad affrontare una delle più celebri tragedie del grande bardo inglese dopo l’avventura della “Tempesta” interpretata da Umberto Orsini, e sceglie attori di consumato artigianato e all’altezza del compito.

La scena (ideata dal regista e da Nicolas Bovey), semplice all’apparenza ma sempre in movimento, svela una sala da ballo dove tutti si divertono travolti dall’alcol.
Le streghe, come da consuetudine, aprono all’intreccio con la famosa profezia (“Tu sarai Re”) che segnerà i destini di Macbeth e della sua Lady.

De Rosa sostituisce le tre apparizioni misteriose con tre bambolotti parlanti, tre bambini non nati che agiscono in tutto lo spettacolo come doppi dei protagonisti. La presenza dell’elemento infantile contraddistingue tutto lo spettacolo e lo tinge con toni inquietanti, suggerendo forse come il vero dramma di questo Macbeth sia la mancata maternità, ma anche l’incapacità di assicurare una figlianza al male.
La coppia reale è essa stessa caratterizzata da un comportamento infantile e giocoso, incoraggiato anche dal fatto che Macbeth e la moglie bevono per quasi tutto lo spettacolo.

De Rosa affida il testo all’eclettico Giuseppe Battiston e a Frédérique Loliée, che rovesciano lo schema dei sessi interpretando un Macbeth “madre” dei propri desideri “mai nati” (la presenza di piccoli neonati tra le grosse braccia di Battiston è costante) e una Lady virile e determinata, in pantaloni e sempre intenta a versare da bere.

Come da testo originale, mentre la Lady progressivamente si spegne nell’azione, ed esce di scena dopo il punto cruciale del parto seriale di mostruose creature già morte, Macbeth diventa sempre più forte e il corpo di Battiston si ingigantisce di conseguenza, come gonfiato dalla lista di orrori di cui continua ad alimentarsi.

La riflessione di De Rosa si traduce in una messa in scena della questione del “desiderio”, o meglio della condanna che affligge coloro che entrano nella spirale dei desideri più proibiti e sanguinosi. Il desiderio come tale non potrà mai essere soddisfatto e diventa desiderio di morte, vicolo cieco che rimanda sempre all’ultimo, amaro epilogo.

Il suono (di Hubert Westkemper) è ben ideato anche se, caricato dai già forti attori, risulta poco equilibrato con l’insieme. La recitazione intensa, il suono che non concede tregue e la presenza di troppi artifici inquietanti (bambolotti che parlano con voci preregistrate di bambini, sangue finto ecc.) rende questo Macbeth “troppo”, come se fosse ancora in una fase laboratoriale che attende di essere “pulita”, snellita nelle modalità e negli intenti.

Poi si sa, ognuno ha il proprio Macbeth, e proprio per questo va reso onore a chi si sforza di offrire nuove traduzioni e letture a un testo diventato sacro. De Rosa tinge senz’altro di rosso una tragedia il cui orrore forse non ha bisogno di essere ulteriormente calcato.
Talvolta, al di là del sottile humor che costella tutto lo spettacolo, lo spettatore non sorride ma ride davvero per alcune trovate forse un po’ splatter.
Il troppo “stroppia”, e ci domandiamo se non avesse più senso sognare un Macbeth “bianco”, clinico e asettico come paiono nella contemporaneità alcune scene di ordinaria follia che affollano i notiziari.

Macbeth
di William Shakespeare
nuova traduzione: Nadia Fusini
adattamento e regia: Andrea De Rosa
con: Giuseppe Battiston, Frédérique Loliée, Paolo Mazzarelli, Marco Vergani, Riccardo Lombardo, Stefano Scandaletti, Valentina Diana, Gennaro di Colandrea
produzione: Fondazione del Teatro Stabile di Torino, Teatro Stabile del Veneto Carlo Goldoni

durata: 2h
applausi del pubblico: 1’ 08’’

Visto a Torino, Teatro Carignano, il 28 maggio 2012
Prima nazionale

 

 

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Di vita si muore. Lo spettacolo delle passioni nel teatro di Shakespeare (Nadia Fusini – Mondadori, 2010)

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9 Comments

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  1. says: carlo

    Questo Macbeth è proprio una cagata pazzesca!!!
    Povero Battiston, a suo modo grandissimo anche in questa robaccia tristissima e volgare, chi glielo ha fatto fare a rovinarsi così la reputazione?
    (durata applausi a Mestre: 1 microsecondo!)

  2. says: ciccialucia

    Visto allo Strehler di Milano del “trittico” del Piccolo, ovvero teatri gestiti dal Comune e quindi senza timori di flop e paure economiche perchè i “finanaziamenti alla cultura” risolvono ogni problema, anche quello di vedere gente nuda (in altri lavori) personaggi che fanno “arie” e non musicali, risate isteriche e sguaiate (quelle della straniera) vomito e sangue, in 2 e più ore di follia teatrale, registica, recitativa. De Rosa come Ronconi : qualsiasi cosa gli vengano in mente, la fanno. Vengono finanziati mentre lo spettatore-pagante viene preso per i fondelli.

  3. says: Fabio

    visto lo spettacolo ieri e un moto mi è nato spontaneamente dal cuore: qual’è l’enorme trauma infantile che porta una compagnia, regista compreso, a volersi vendicare nei confronti del genere umano rovinandogli in tal modo la serata ?

  4. says: giampaolo

    Uno degli spettacoli più noiosi che abbia mai visto. Perché maltrattare così Shakespeare? L’idea di “attualizzare” può essere stimolante, se fatta con intelligenza. Qui c’è solo cattivo teatro e vuoto di idee.

  5. says: alberto di raco

    Una delle peggiori (forse la peggiore) interpretazioni shakespeariane mai viste dagli anni 70 in poi. Le luci stroboscopiche, i vestiti contemporanei, la festa da ballo a base di bevute e risate isteriche risultano velleitari, superficiali e cercano di nascondere la mancanza di ispirazione e di approfondimento del testo. Che dire poi degli effetti da grand guignol con aborti multipli e visi abbondantemente insaguinati? Penosa l’interpretazione di Loliéè (Lady Macbeth) e degli altri. Si salva, malgrado la regia, Battiston.
    Che amarezza!
    Alberto Di Raco

  6. says: Omar Missini

    Visto lo spettacolo: il problema del sistema produttivo della stabilità, in generale, è che non consente la creatività.
    Infatti si lavora con modalità di post-teatro di regia. Un regista pensa delle robe e si fanno. Di solito in questi contesti, e De Rosa è un rappresentante esemplare di questo tipo di approccio ( aldilà della botta di culo dell’Elettra che rappresentava qualcosa di tuttosommato interessante per il tipo di approccio “sonoro” e che gli ha consegnato un iniziale pedigree ufficiale) si fanno “le prime cose che vengono in mente”. Tutto in questo spettacolo, ma come nel 75 per cento degli spettacoli, è ” la prima cosa che viene in mente”. Ci sono delle robe che vengono appiccicate e mal assemblate. E anche se sono ben assemblate, un’ auto con i singoli pezzi malfatti..non può andare avanti. L’idea dei bambini è di un scarso interesse allucinante. L’idea della festa è solo esteriorità. La risataccia continua degli attori, in un altro contesto, poteva essere un motore di azione fisica/poetica E il “fascino del male” è una materia sempre troppo grossa per essere indagata alla solita maniera. Indagarla poeticamente. Lo spettacolo non è propriamente “imbarazzante”, è solo ” stupido” creativamente. Lo stesso Battiston è cosa buttata lì. Funzionano grandiosamente le sue “arie”. I monologhi, i momenti in cui c’è qualcosa in lui è veramente tutt’uno con quel che dice e lo porta con grande ricchezza, in quei momenti lui è davvero Olindo e Rosa messi assieme in un corpo solo. La compagnia è imbarazzante, Lolilè non messa a fuoco ( sulla carta poteva essere una Lady molto istrionica – lei è una bestia da palco, una personalità artistica molto egocentrica e bizzarra, non a caso nella Maria Stuart funzionava). Paolo Mazzarelli imbarazzante per sfocatezza. Gli altri inesistenti, e non perché non sono attori di interesse. ( Valentina Diana, pazza magnifica che a Torino ben conosciamo, ipo-sfruttata; Lombardo lasciato a fare la solita parte che fa sempre). Tutto appiccicato. Come il pezzo dell’Amleto. Così il teatro non è interessante. Lo “specifico teatrale” cosituito dal modo della stabilità non è creativo, e le altre arti fanno passi molto più lunghi. Si può andare avanti così?

  7. says: omar missini

    ?mi perdonate se dico: che palle. Non la recensione. Anzi. Che palle quest’idea di teatro, la convensionalità del “visionario”, la convenzionalità del postmoderno.Che palle.