Lombardi conosce bene i testi per averli interpretati in più occasioni e in più situazioni sceniche: la presente – di qui il paragone con il contemporaneo “Four Season Hotel” della Socìetas – è la più scarna, la più vuota, poco più che una lettura, a vederla.
Però molto, molto più che una lettura, ad assistervi interamente. Eppure, appunto, la scena è vuota, un leggio è eretto a metà palco, l’attore è in abito scuro, tre proiettori sono accesi, incrociati su di lui, il cui ingresso è del tutto esplicito: un saluto, una breve in-troduzione prima di cominciare.
Molto più di una lettura: una partitura vocale. Talvolta si dice che una voce, nella sua capacità evocativa, possa ricreare uno spazio scenico che non esiste. È questo, certo, il caso del Testori di Lombardi. I gesti delineano una spazialità, i “monologhi” (ma sarebbe più corretto dire le scene liriche) dispongono un contorno di oggetti e presenze, è innegabile, ma è solo un contorno, appunto. Lo spettacolo è nel testo, le cui caratteristiche di lingua, metro, colore sono state spesso descritte e fatte oggetto di studi (e un lettore di Fo, di Busi, al di là dell’apparente contraddittorietà, potrà trovare tante coincidenze, non solo nel sostrato lombardo, ma per il primo almeno nella compiaciuta petrosità medievaleggiante, per il secondo nella sensualità sonora, insistita nelle ripetizioni, nelle assonanze giocose…), ma la cui attualizzazione sul palco per la voce di Lombardi esorbitano ogni descrizione a freddo.
I tre stili dei testi, che già lo stesso attore ha in passato argutamente paragonato alla parabola delle tre cantiche dantesche, si ritrovano espressi in tre stili di recitazione, la cui identità emerge alla pazienza dell’ascoltatore soltanto nel bel mezzo, nel corpo avanzato dei tre singoli momenti; tre stili che vanno dal grottesco comico al tragico, dal narrativo al lirico.
Non manca l’artificio sonoro, l’esorbitare degli accidenti e delle trovate vocali, specialmente, com’è intuibile, nella prima “Cleopatràs”, in cui la sensualità preponderante è resa palpabile, reificata, fatta contesto anche dall’allocuzione insistita allo schiavo latore dell’aspide.
Non manca l’inatteso sobbalzare del significante di fronte al neologismo, nella seconda, “Erodiàs”, e il racconto affabulatorio. Né la dolcezza, né l’elevazione a una musica piana, struggente, a un’armonia monodica (se si sopporta la contraddizione) che si allarga a partire da una linea tracciata con decisione in sfumature accoglienti, levitanti, nel terzo testo, “Mater Strangosciàs”. Qui non si rinuncia alle asperità, ma l’abbandono all’affabulazione estetica/estatica, sentimentale è massima, un dolce ritornare delle onde su sé stesse, dopo le tempeste e le maree passate. È veramente un arco formale e interiore concluso, e concluso sensibilmente, cioè nei sensi, tanto testualmente quanto vocalmente.
L’artificio nella lettura è esplicito, sempre, ma mai sopravanza o schiaccia il testo.
Sandro Lombardi costruisce quest’opera rara con un’abilità belcantista, come se, cantando, si mantenesse costantemente nella tessitura media, a onta di tutte le balze e le impervie (e le “orride”, come direbbe una didascalia barocca) in cui si avventura.
La vocalità non trasfigura sé stessa, non si tematizza ma, facendo uso di tutte le sue risorse più eccentriche e naturali, ricostruisce la dignità musicale della prosodia mentre ne orna i passaggi narrativi e rappresentativi, dando il testo, portandolo alla vita, occupando, esaurendo pienamente lo spazio dello spettacolo, con l’atto umile e tremendo dell’interprete.
Tre Lai. Cleopatràs, Erodiàs, Mater Strangosciàs
di Giovanni Testori
un recital di Sandro Lombardi
produzione: Compagnia Lombardi Tiezzi
durata: 1h 20′
applausi del pubblico: 2′
Visto a Roma, Teatro Vascello, il 2 novembre 2013