Apache: per un teatro che vuole uscire dalla riserva

Progetto Robur - New Yorker Hotel
Progetto Robur - New Yorker Hotel
Progetto Robur – New Yorker Hotel
Come definire Matteo Torterolo (di cui quella che vedete a fianco non è la gamba)? Un appassionato teatrante, anche se per tanti è ufficio stampa (di molti), scheggia impazzita fra numerose realtà che si muovono sulla scena italiana, tra le quali districarsi a volte risulta molto difficile.
E’ lui che, sotto indicazione di Antonio Sixty e Gaetano Callegaro, quest’anno cura la prima edizione di Apache, una “linea” inserita nella programmazione dello storico Teatro Litta di Milano.

Non una rassegna dunque, non un festival né una vetrina. Una linea per l’appunto, tracciata da un teatro che non vuole esimersi dalla sua natura di Stabile di Innovazione e sente l’esigenza di integrare, nella sua ufficiale rassegna, spazi e modalità di presentazione per quelle compagnie che negli anni r-esistono malgrado la crisi e malgrado lo spazio (inesistente) che i circuiti “normali” dedicano loro. Quei gruppi, collettivi di lavoro, compagnie stabili e instabili che cercano nuovi linguaggi contemporanei aprendosi alle altre arti e all’estero, ma restano relegati in nicchie di confronto, piccoli momenti performativi una tantum, senza grandi possibilità di uscita.
Parte di una rassegna ufficiale dunque, sostenuta dalla Fondazione Cariplo per un triennio, e da partner come KLP e Zona K, spazio teatrale milanese alla ricerca di nuovi linguaggi.

Apache è un nome che evoca gli indiani d’America nelle loro riserve, per certi versi vicini a molte compagnie teatrali che portano avanti un discorso artistico articolato e nuovo insieme all’urgenza di diffondere un messaggio, ma che non possono continuare a vivere ed esistere relegati in spazi misurati (riserve appunto) che impediscono loro di circuitare. Non gruppi ‘under’ o ‘over’ qualcosa, ma gruppi di lavoro che stanno costruendo la loro identità, forse non ancora del tutto formata, forse non definitiva, ma certamente impegnata e coerente. Gruppi ai quali deve essere data la possibilità di esprimersi, di sbagliare anche, e che hanno bisogno di una tutela per il lavoro importante che svolgono nel mantenere vivo il teatro, senza sovvenzioni né aiuti.

L’esigenza di dare voce a queste realtà, che vive e prolifiche di arte e spettacoli rendono giustizia a un sistema teatrale spesso immobile, è stata sentita e riconosciuta dal Teatro Litta, che auspica che si realizzi il giusto ricambio generazionale di cui questo Paese ha bisogno, non solo nel nostro piccolo mondo teatrale ma anche in tutti gli altri.

Sei le compagnie selezionate, che vivranno nella residenza di corso Magenta avendo a disposizione lo spazio della Cavallerizza per lavorare e produrre (non solo spettacoli: workshop, conferenze, incontri) nonché il teatro per 4/5 sere così da presentare uno spettacolo. Uno spazio pensato e proposto per lavorare in totale autonomia, con la possibilità di proporre incontri e seminari, a piacimento.
Ogni sera resterà aperto il bar del Teatro Litta, con l’idea di creare un punto di incontro tra artisti in scena e pubblico, perché il pubblico si rinnovi, e possa avvicinarsi e confrontarsi direttamente con chi il teatro lo fa tutti i giorni, con tutte le difficoltà del caso.

Primo spettacolo (già sold out, dal 16 al 20 gennaio) con Pubblico Teatro e “Cinque allegri ragazzi morti”: dall’adattamento di un fumetto horror, un musical  LO-FI, a bassa fedeltà, dove si cerca di indagare l’aspetto emotivo di ragazzi adolescenti alla ricerca della loro identità.

Dal 13 al 17 febbraio Fagarazzi & Zuffellato con “HeaveNever”, produzione di una compagnia in cui il linguaggio performativo è sempre al limite, vicino al teatro, vicino all’arte.
Poi, InQuanto Teatro, che porta “Abba – Bosch”, uno spettacolo di fantascienza, e dall’11 al 14 aprile ProgettoRobur con “New Yorker hotel 3327”, una compagnia milanese (l’unica), per dar voce all’infinità di compagnie indipendenti che animano la città.
Dal 15 al 19 maggio Codice Ivan faranno un esperimento in corsa, con una modalità produttiva nuova, utilizzando i giorni della residenza per creare le basi per la nuova produzione che hanno in progetto. Ad Apache porteranno “Esperimenti per un Requiem”, una creazione collettiva dove artisti di diversa provenienza interverranno nel lavoro seguendo poche e semplici regole, consentendo all’opera di diventare diversa ogni volta che viene messa in scena.
Per finire, dal 13 al 16 giugno i Garten, con “I am here i have a gun”, un’altra produzione site specific legata all’arte visiva.

Scelte non così usuali dunque, e molto diverse tra loro, accomunate dal lavoro di ricerca che anima le compagnie coinvolte, un lavoro che dà spazio e lascia porte aperte a tutte le forme d’arte, dimostrando che il teatro, se vuole sopravvivere, deve avere il coraggio di superare se stesso e l’umiltà di capire che l’arte non è fatta di singole parti ma dell’unione di suggestioni diverse. E che per essere conosciuta e riconosciuta deve lasciar uscire dagli spazi chiusi i più vivi produttori di oggi. Gli Apache, appunto.

Il calendario
 
 

0 replies on “Apache: per un teatro che vuole uscire dalla riserva”