Parte di questa attività è rappresentata da Civitanova Casa della Danza, un contenitore per progetti di residenza e coproduzione che ha permesso, nel corso degli anni, di ospitare compagnie e artisti nazionali ed internazionali per soggiorni di lavoro in cui sviluppare le proprie creazioni.
E’ stata questa la volta di Sharon Fridman e Silvia Gribaudi, a cui è stata offerta la possibilità di incontrarsi e riaprire “Inner”, lavoro che indaga l’incontro e il dialogo tra due mondi lontani, così come sono lontani e diversi i due interpreti (lui israeliano emigrato in Spagna, lei torinese e veneta d’adozione), per creare un luogo, sia esso spazio, corpo o movimento, che possa riassumere e mantenere inalterato nella sua specificità il mondo interiore che anima i due autori.
Come è ormai usuale nei progetti di residenza, è stato chiesto agli artisti di aprire il lavoro al pubblico, pratica questa buona e interessante per permettere agli spettatori di non “subire” il lavoro finale, ma di inserirsi nel processo sempre un po’ magico e affascinante della creazione. Pratica che però deve essere assolutamente protetta per non svilire proprio quella possibilità di mostrare la fragilità di un progetto nel suo divenire, quando ancora si è nel momento delle domande, quando ancora le decisioni che lo dettaglieranno e ne descriveranno i contorni, i colori e la forza sono messe in dubbio e vagliate per essere capite.
Proprio di questo abbiamo parlato incontrando i due coreografi durante il periodo di residenza, come poter mantenere la forma di “cantiere” nel momento in cui il pubblico viene chiamato a teatro, come far incontrare l’aspettativa che normalmente e quasi inconsciamente si crea nelle persone nel momento in cui si siedono in platea, con la necessità di un materiale ancora informe che proprio questa sua informalità deve mostrare, chiamando il confronto e non il giudizio. “Chiacchiere” interessanti, una disponibilità assoluta, noi seduti sul palco, Sharon e Silvia che si spogliano e iniziano a danzare i loro frammenti rivendicandone, nella semplicità, la loro forza di nucleo fondante di una ricerca.
Con curiosità quindi sono andata a teatro, la curiosità di vedere che forma le nostre chiacchiere avessero stimolato nei due artisti per questo “Cantiere aperto”.
In platea, vestiti normalmente ad accogliere il pubblico, ci sono lo sguardo aperto di Sharon e quello ironico di Silvia.
Una breve introduzione di Silvia Gribaudi alla serata, due video dei lavori che separatamente i due artisti stanno portando avanti in questo momento per mostrarci i loro mondi: potente e suggestivo nelle prese e nei lanci continui dei corpi quello di Sharon Fridman, autoironico e profondo nel suggerire quello di Silvia Gribaudi.
L’immagine viene opacizzata da un telo nero trasparente che cala sulla nudità della danzatrice, nudità che compare invece dal vivo in un palchetto, pelle esposta nell’assoluta informalità dell’incontro in cui si è se stessi “così come mamma ci ha fatto”.
Inizia in questa maniera la parte live della serata, in cui i mondi mostrati nei video si incontrano nella semplicità dell’essere lì, in quel momento, con ciò che in quel momento si ha, nell’apertura totale all’altro nata dall’onestà e dalla forza del riconoscimento di sé e della propria specificità che non prevarica ma accoglie. Questa piccola perla trova un’espansione nell’incontro finale tra artisti e pubblico, mediato da Gilberto Santini, direttore dell’Amat nonché direttore artistico di Civitanova Danza. Attenti gli spettatori a capire, comprendere quello che hanno provato; concordi gli artisti nel riconoscere che la cosa più importante di questi dieci giorni di residenza è stata la possibilità di dialogare su un palco intorno alle domande che lo stare in scena pone, perché “più vai a fondo più arrivi in territori dove altri non possono arrivare”.
Lo scambio verbale ha trovato concretezza nello scambio fisico: Sharon ci racconta “come si è nutrito della naturalità di Silvia”; e Silvia di come “ha trovato il suo piacere e la sua scoperta nel farsi shakerare da Sharon”, cosicché “sono andati oltre loro stessi rimanendo in comunicazione”.
Non mancano domande sui materiali esposti: il perché della nudità, una “nudità informale” come tiene a specificare Gribaudi, e non provocatoria; o il senso dell’acqua che gocciola dall’alto sin dall’inizio, e che nella parte finale viene proprio fatta scorrere sul palco: “Un problema trasformato in qualcosa di cui si può ridere” spiega Sharon, ma anche “un artificio tecnico per instaurare una diversa dinamica dei corpi”, aggiunge Silvia, un interrogarsi su “cosa è in e cosa è out”, far entrare quindi la vista nella sua ordinarietà e renderla straordinaria perchè “compito dell’artista è porre domande alla società fornendo risposte altre”.
Ma più delle domande è piacevole osservare l’incanto che aleggia sugli spettatori, il desiderio di farsi rapire ancora, un sentire che va al di là di ogni concettualismo e incontra l’emozione che nasce dall’intimo.
CANTIERE APERTO PER INNER
progetto di residenza
con Sharon Fridman e Silvia Gribaudi
durata: 1h 15’
applausi del pubblico: 2’
Visto a Civitanova, Teatro Annibal Caro, il 23 gennaio 2014