Il no del Prefetto al Valle. Ecco le motivazioni

Dopo il responso negativo del Prefetto, il Valle Occupato sente l’urgenza di convocare un’assemblea pubblica per confrontarsi con la città su come portare avanti il progetto del Teatro Valle Bene Comune; l’assemblea si terrà venerdì 21 febbraio dalle ore 17.

Ecco intanto cosa hanno comunicato oggi pomeriggio.

Abbiamo ricevuto la lettera dal Prefetto di Roma e abbiamo finalmente scoperto quali sono i “presupposti giuridici che non sussistono” riguardo alla Fondazione Teatro Valle Bene Comune.

Costituire una “Fondazione Bene Comune” è un passaggio – tra gli altri – che abbiamo deciso di affrontare pur consapevoli del possibile esito negativo. Sappiamo che il percorso che porta alla legittimazione di nuove istituzioni del comune è un percorso complesso, che si articola su tanti livelli.
Dal documento a firma del Prefetto si evince che la Fondazione Teatro Valle Bene Comune non ha la «disponibilità della sede della Fondazione in Via del Teatro Valle 21/26 e non risulta provvista di alcun titolo giuridico di proprietà o di godimento dei beni in questione».
Non è un caso: abbiamo consapevolmente deciso di indicare nello Statuto il Teatro Valle come sede della Fondazione proprio perché è un luogo sul quale la Fondazione non ha alcun titolo di proprietà. Il Teatro Valle è e resta di proprietà del demanio.
Questo è un nodo cruciale della lotta per i beni comuni: affermare che essi prescindono dalla titolarità di proprietà del bene in questione. La proprietà di un bene è cosa diversa dall’uso che se ne fa, dalla sua gestione, dal fatto che molti possano goderne, come ampiamente elaborato da Stefano Rodotà, Ugo Mattei, Paolo Maddalena, Salvatore Settis, Maria Rosaria Marella, il premio nobel Elinor Ostrom e decine di altri teorici e giuristi.
La stessa Costituente dei beni comuni nelle assemblee itineranti sul territorio sta elaborando giuridicamente il concetto di bene comune partendo dal presupposto che tali sono quei beni che, prescindendo dal titolo di proprietà del bene, generano utilità comuni attuali e da preservare per le generazioni future.

La Fondazione Teatro Valle Bene Comune non è la forma giuridica attraverso la quale un gruppo ristretto di persone vuole prendere legalmente possesso dell’immobile Teatro Valle. È lo strumento cui vogliamo sia affidato il Teatro Valle: una forma di governo innovativa, regolata da uno Statuto partecipato che propone precisi principi, ideati e sottoscritti da migliaia di cittadini. Tali principi affermano che la partecipazione, la turnazione delle cariche, la nomina democratica diretta e allargata degli organi di governo, l’equa redistribuzione della ricchezza generata sono elementi costituenti e imprescindibili di una nuova istituzione, diversa da quelle oggi operanti. La prima Fondazione Bene Comune è il lascito della lotta, non la lotta che si legalizza. Lo abbiamo detto fin dall’inizio: “Questa lotta è nostra, il Teatro Valle no”.
Nella Fondazione hanno pari voce e dignità i cittadini, gli artisti, le compagnie, le associazioni e le istituzioni. Nessun bando, nessuna logica di assegnazione a concorso può garantire un governo partecipato, democratico e trasparente come quello proposto dalla Fondazione Teatro Valle Bene Comune. La cultura non è competizione, non è terreno di logiche concorrenziali. È cooperazione, cura, ascolto dei tanti soggetti ispiratori per arricchire la bellezza comune.

La Fondazione Teatro Valle Bene Comune, come esperienza costituente dei beni comuni, propone di ridiscutere nel profondo l’uso dei beni pubblici. Contro l’attacco di sempre più diffuse privatizzazioni e contro l’uso privatistico della cosa pubblica, non ci si può limitare a difendere e conservare i beni pubblici, ma è necessario un avanzamento nell’elaborazione concettuale e giuridica degli stessi, traendo ispirazione proprio dall’art. 43 della Costituzione.
La Fondazione propone una gestione diretta del bene pubblico da parte di comunità di cittadini e utenti, una reale partecipazione alle decisioni e al governo del bene pubblico, al di fuori della logica della delega che appartiene alla ormai decadente democrazia della rappresentanza. Le istituzioni sono in grado di comprendere questa sfida? O preferiscono continuare a nominare cariche e gestire dall’alto la vita sociale e culturale della collettività?

La prefettura dichiara che la volontà della Fondazione di cooperare con le altre vertenze per i beni comuni che lottano per il pieno riconoscimento della cultura come bene comune e «di collaborare con spazi autogestiti e/o occupati, comitati di lotta, comunità informali e tutte le istituzioni autonome e costituenti» costituisce un’esplicita violazione di legge.
Rispondiamo, rivendicando ad alta voce, che i percorsi di riappropriazione e restituzione alla cittadinanza del patrimonio pubblico e privato dismesso e/o sottratto ai cittadini sono atti dovuti e necessari, peraltro legittimati dagli artt. 41, 42 e 43 della Costituzione. Il governo di questo patrimonio deve essere improntato alla trasparenza, all’inclusione, alla democrazia diretta e all’estraneità da ogni logica di speculazione e profitto.
L’esperienza e le pratiche di democrazia diretta di questi spazi hanno generato una nuova cultura dei diritti, viva e costituente.

La Fondazione Teatro Valle Bene Comune oggi è costituita, esiste, vive.
La nostra lotta per la Fondazione va avanti e la sua sede non può che essere il Teatro Valle. La Fondazione sono i 5500 soci fondatori, le centinaia di artisti che hanno attraversato questo luogo, le oltre 3000 ore di formazione per professionisti, gli oltre 250 spettacoli di teatro e danza, le 80 serate di cinema, le 18 permanenze artistiche, gli oltre 10.000 bambini con le loro famiglie per il teatro ragazzi e l’opera lirica per le scuole, le due produzioni teatrali, le oltre 100 scritture in lavorazione, gli oltre 150 tra seminari, assemblee e commons cafè. Sono i 200.000 cittadini e cittadine che attraversano il Teatro Valle.
Il diritto alla cultura nel nostro paese è stato mantenuto in vita dalla creatività e dalle pratiche dirette di artisti e cittadini, nella totale assenza di elaborazione di politiche culturali da parte delle istituzioni pubbliche competenti.
Roma, capitale europea dall’immenso valore artistico-culturale, è sull’orlo della catastrofe: la chiusura (benché momentanea) del Teatro India, il ridimensionamento per tagli ai finanziamenti della stagione teatrale di Roma-Europa, la crisi del polo museale cittadino (non ultima la vicenda del Macro), la totale mancanza di indirizzo della sovrintendenza ai beni culturali, la confusione nella quale sopravvivono i teatri di cintura con bandi annuali inadeguati. La cultura, da diritto fondamentale costituzionalmente riconosciuto, è diventata un privilegio, un bene di lusso per le élite. Essa non può e non deve coincidere con l’attività privata e non può e non deve essere legata a logiche di profitto.
In questi anni sono proprio gli spazi di autogoverno e di produzione culturale indipendente ad aver generato cultura in modo aperto e partecipato, e soprattutto accessibile.

In questi mesi abbiamo proposto, con richieste di confronto e lettere, un dialogo pubblico con le istituzioni titolari del bene, ma queste proposte sono state ignorate. Semplice sordità o incapacità di comprendere i percorsi di partecipazione della cittadinanza? Ed è per questo che in questi anni abbiamo avuto una costante interlocuzione e collaborazione con altre autorevoli istituzioni: dagli istituti di cultura europei ai musei, dalle università alle associazioni e fondazioni, oltre che con compagnie, festival e teatri riconosciuti.
Un prefetto non può assumere la responsabilità politica che spetta alle amministrazioni competenti, le quali hanno deliberatamente evitato di assumere una posizione. Hanno avuto paura e si sono nascosti.

Noi continuiamo a immaginare e costruire insieme a tutti coloro che con passione e senza retorica credono che “dov’era il no, faremo il sì”.
 

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