Tra black out e commissioni, il diario di viaggio iraniano di Instabili Vaganti

Ausencia|Ausencia|Instabili Vaganti a Teheran|In camerino
|||
Ausencia
Anna Dora Dorno in scena a Teheran
Seconda e ultima parte del reportage dall’Iran di Instabili Vaganti, che oggi ci raccontano il loro spettacolo al vaglio della ‘commissione’ prima di andare in scena e di altri piccoli e inaspettati imprevisti.

Cominciano le prove in teatro per la messa in scena del nostro spettacolo “Ausencia – Sola nella moltitudine”, una performance in cui si coniuga la sperimentazione vocale e l’azione fisica dell’attrice al live media painting, pittura dal vivo elaborata al computer attraverso un programma di animazione.
Questa volta, rispetto all’esperienza dello scorso anno, ci sentiamo di aver fatto qualcosa in più portando uno spettacolo interamente creato, diretto e rappresentato da una donna.
In Italia forse non avevamo ancora riflettuto molto su questo aspetto, ma in un Paese come l’Iran sembra inevitabile concentrare l’attenzione sulla questione di genere.

Cominciamo subito a pensare ai piccoli cambiamenti da effettuare per presentare lo spettacolo: pantaloni sotto il vestito che generalmente lascia scoperte le gambe, body nero che copre anche le braccia e infine velo sui capelli. Ma anche queste piccole faccende non sono cosa semplice. Chiediamo ad un amico di accompagnarci a comprare un velo, uno che possa consentirmi di muovermi molto senza cadere e rischiare di avere la testa scoperta. Non sarebbe certo opportuno che questo accadesse in scena. Non è assolutamente possibile per una donna essere a capo scoperto, pena due mesi di carcere!

Instabili Vaganti a Teheran
Nel bazar alla ricerca del velo…
Mentre ci aggiriamo per l’immenso bazar di Teheran alla ricerca del settore sciarpe, veli & co. veniamo richiamati dallo staff del festival: non vuole lasciarci uscire da soli e ci chiede di tornare in teatro all’istante. Ci affrettiamo e prendiamo il primo velo che capita in modo da non creare problemi. In teatro in realtà nessuno ci aspetta… semplice precauzione.
Un po’ indispettiti da questo richiamo immotivato cominciamo le prove.

Il velo è un cono di materiale sintetico nero, in cui si infila la testa in modo da far sbucare solo il volto, impossibile muovere il collo, mi sembra di soffocare e dovendo cantare e muovermi agitando la testa, il tutto si trasforma in un incubo. Mi rifiuto di indossarlo, chiedo alla nostra assistente se può procurarmi una normalissima sciarpina nera da fissare in testa con dei ferretti; riesco a convincerla e finalmente ad ultimare il mio costume di scena. Eccomi trasformata in una perfetta iraniana!

Davanti allo specchio del camerino mi è impossibile non pensare alle donne di questo Paese e al significato che la mia performance avrà per loro. Spesso quando limitiamo la nostra visione al solo mondo che ci circonda da vicino trascuriamo alcuni elementi che appartengono ad altre culture.
Mi avvio verso la scena con una consapevolezza diversa.

La prima replica non è per il pubblico ma per la commissione: un gruppo di sei uomini guardano attentamente ogni aspetto del lavoro e al termine applaudono cortesemente. Poi mi invitano ad andare in un’altra sala, accompagnata dalla mia interprete.
Non ho nemmeno il tempo di coprirmi, vengo invitata ad accomodarmi in una sala piena di fumo, con le finestre aperte, the e cioccolatini in bella vista.

Mi sorridono tutti con la stessa cortesia di un attimo prima e poi cominciano una serie di complimenti sul lavoro, al quale si accompagnano domande sul significato dell’opera. Cerco di spiegare il tutto senza problemi, ma mi accorgo che pian piano il significato della performance diventa un altro: una donna – madre con i propri figli che sottolinea il valore della famiglia!

Sicuramente le nostre opere possono essere lette da più punti di vista e ognuno può darne un’interpretazione, ma questa volta ho la sensazione che il significato sia stato interpretato in un maniera un po’ strumentale. Annuisco e faccio davvero fatica a capire se uno dei “commissari” parla così per giustificare a se stesso ciò che ha visto con convinzione, oppure per giustificarlo agli altri e al governo. Il tutto si conclude con un piccolo divieto: non alzare la gonna fino al ventre nonostante al di sotto sia completamente vestita. Direi che si può fare.

Finalmente siamo pronti ad incontrare il pubblico; la sala è gremita di gente, che entra poco alla volta mentre aspetto immobile sulla mia sedia, in scena, pronta ad iniziare.
Prima e seconda replica tutto sold out. Al termine dello spettacolo mi fermano giornaliste, studentesse, tutte donne. Mi chiedono interviste. C’è chi domanda se lo spettacolo è femminista! Cosa dire? In Italia e in Europa non lo è affatto, ma in Iran la percezione è diversa. In Iran, probabilmente, lo è!

In camerino
Anna Dora Dorno, velata, in camerino
La nostra esperienza qui sta per terminare, tra poco andremo in scena con le ultime due repliche.
Sono trascorsi solo pochi giorni ma a noi sembra di essere a Teheran da molto tempo. Abbiamo incontrato amici, studenti, istituzioni, passando dal teatro ai mercati gremiti di gente.

Finalmente in scena, aspetto il pubblico che entra numeroso e così come la sera prima vedo aggiungersi numerosi posti in più, cuscini che passano dappertutto. E’ emozionante esser lì ad aspettare un flusso di gente che sembra non finire mai.
Si spengono le luci… cominciamo!

Tutto procede magnificamente, il pubblico segue con attenzione; immagini e parole cominciano ad assumere altri significati, si caricano dell’esperienza che stiamo vivendo.
Dopo i commenti e le interviste della prima sera mi accorgo come piccoli gesti possano essere, in questo contesto, estremamente significativi.
Il mio essere donna acquisisce un senso enorme, trascurato forse in Italia e un po’ sottovalutato. Una donna che ha scritto, diretto e interpretato una performance di teatro in cui parla delle sue emozioni, del suo senso di solitudine, della volontà di essere presente, ricordata, apprezzata, assume in questo momento per me un valore enorme.
Io, che di questa cultura conosco ancora molto poco e che come donna posso capire solo in parte e  momentaneamente la condizione femminile presente in questo Paese.
Io, che non sopporto tenere il velo in testa tutto il giorno, soprattutto a pranzo e cena, che non concepisco il fatto di non poter toccare un uomo, salutare in pubblico un amico, mi trovo qui in scena a vedermi con occhi diversi.

E mentre continuo il mio processo all’interno della performance sento improvvisamente la cerniera del vestito rompersi. Dopo tutte le censure e le richieste di coprire anche un piccolo triangolo scoperto all’attaccatura del collo, quasi mi sento paralizzata.
Perché deve succedermi proprio qui, adesso? Per fortuna sono completamente coperta sotto il vestito da un body nero. Mi tranquillizzo e vado avanti. L’incidente è superato senza problemi. Applausi finali calorosissimi. Nessuno si è accorto di nulla.

Corro a prepararmi per la replica successiva, ho un altro abito che posso utilizzare. Di nuovo in scena, dopo un’ora di pausa. Di nuovo pronta a partire, il pubblico ripete il rituale precedente e proprio quando ha preso posto in sala e stiamo per cominciare, l’intero teatro cala nel buio di un improvviso black out generale.
Panico, soprattutto dal momento che la nostra performance è basata sull’interazione tra l’azione fisica e vocale dell’attrice e le video-proiezioni di disegni eseguiti dal vivo e animati al momento. Ma si tratta di pochi istanti poi la corrente torna; un piccolo check e finalmente partiamo.

Ausencia
Ausencia a Teheran
Lo spettacolo comincia, ultima replica, quella finale attraverso la quale saluteremo il pubblico di Teheran che ci ha accolto in modo splendido e per il quale siamo voluti tornare in Iran per il secondo anno di seguito. Siamo al momento finale, un’azione vocale intensa basata sulla ripetizione del testo: “Sono sola, tra la folla, sono sola…”. Quando… Buio! Non quello che segna la fine di ogni spettacolo, ma un secondo black out: si accende una luce d’emergenza, esplode la lampada del video proiettore e la musica s’interrompe.

Ha dell’incredibile in un festival internazionale di queste dimensioni e in un teatro stabile come questo. Eppure qui i black out, forse per l’abuso delle risorse energetiche, sembrano essere all’ordine del giorno, tecnici in cabina e pubblico in sala non fanno una piega.

Non resta che andare avanti sapendo che dovrò affrontare la scena conclusiva senza l’ausilio delle video proiezioni. Il pubblico continua a seguirmi con attenzione, è immerso nel processo della performance, è con me.
E sulle note di “The sound of silence” improvviso l’ultima scena cercando il contatto con il pubblico, quel pubblico che con la sua attenzione mi sta permettendo di investire tutta la mia concentrazione e energia nella creazione sul momento di una nuova azione finale. Offro la mia mano a chi è seduto in prima fila per salire sul palco e riempire la scena ormai vuota per assenza di proiezioni, nell’altra mano ho una torcia che illumina il percorso.

Rivolgo la mia attenzione prima alle donne, che accettano volentieri, poi qualche uomo le segue, altri tirano indietro la mano titubanti (non possono dare la mano ad una donna in pubblico), e così, pian piano, molti salgono sul palco per questo finale ad hoc, un unicum causato, o meglio creato, da un guasto tecnico.

L’unica luce rimasta viene alzata al massimo, illuminando dal retro i corpi degli spettatori in fila sul palco e proiettando le loro sagome su tutta la scena fino alle prime file degli spettatori.
E’ questo imprevisto la cosa più intensa ed emozionante, con il pubblico diventato parte integrante dello spettacolo, coinvolto e pronto a sostenermi, in una performance accaduta hic et nunc a loro dedicata.

Questa serata così intensa termina ancora con qualche intervista. Ci colpisce soprattutto quella di una ragazza molto interessata a capire cosa facciamo in Italia e come funzionano le compagnie indipendenti. Lei gestisce un festival, il primo, l’unico festival indipendente di Teheran.
E’ bellissimo capire come le cose in questo Paese stanno cambiando in fretta, e speriamo davvero che lei riesca a realizzare questo progetto e a rendere il festival internazionale.
Se questo accadrà torneremo presto in Iran per portare magari il nostro nuovo lavoro: “Gender Profile”, uno spettacolo sulle differenze di genere (al suo debutto il 20 marzo a Milano) realizzato elaborando i risultati di una ricerca sulle differenze di genere del dipartimento di sociologia dell’Università Bicocca di Milano.
In Iran potrebbe davvero essere oggetto di dibattiti e riflessioni!
 

Join the Conversation

1 Comments

Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  1. says: clara cipollina

    Un’esperienza straordinaria,raccontata in modo emozionznte. Un caso, un imprevisto tecnico crea un momento magico: la vita vera, uomini e donne, si fonde con la finzione, un contatto di mani e i personaggi trovano un autore, anzi un’autrice, si fanno storia raconto, memoria e la solitudine si ridimensiona, perchè il lontano si sente vicino e la differenza diventa ricchezza