Piccola Compagnia della Magnolia: profumo di rose per Zelda

Zelda
Zelda
Giorgia Cerruti è Zelda
Tra le numerose proposte del Torino Fringe Festival 2014, di cui vi faremo una panoramica più generale nei prossimi giorni, ci sono anche alcuni debutti nazionali: è il caso di “Zelda – Vita e morte di Zelda Fitzgerald”, nuova intensissima produzione della Piccola Compagnia della Magnolia (Giorgia Cerruti, Davide Giglio), compagnia torinese che dal 2004 concentra il proprio lavoro sulla ricerca della “vocalità, sulla parola insistita e scolpita, e sull’espressività della maschera facciale e del gesto”.

“Zelda”, monologo che s’ispira al romanzo autobiografico (“Lasciami l’Ultimo Valzer”) della quantomeno eccentrica moglie dell’emblema letterario dell’età americana del jazz, Francis Scott Fitzgerald, è un’ulteriore aggiunta di bravura a questo percorso in cui l’attoralità è protagonista assoluta di potenza espressiva.
Giorgia Cerruti non solo presta voce, ma anche occhi e corpo al flusso di coscienza di un’anima calda come quella di Zelda, sola e convalescente per congestione d’idee nel letto di un ospedale psichiatrico.

Le sue labbra sudano umori d’inquietudine schizofrenica, considerazioni esistenziali dall’ironia decadente o dall’ingenua malizia, talvolta puerile, talvolta teneramente invocante, implorante resurrezione dai mali dell’anima, oppure ancora rivendicante sottile sagacia, ancora seduttrice, carnale ed intellettualmente febbrile. Una sognatrice malata, vittima storica, fra le tante, delle ferite prodotte sull’immaginario collettivo dalla Prima Guerra Mondiale e dal disfacimento delle certezze di un mondo antico.

“Zelda” è così un unico movimento di respiro sulla lacerazione esistenziale di una donna: non ci sono e non ci possono essere pause nel dinoccolarsi sinaptico della memoria, laddove gli scorci sulle spregiducatezze e il consumarsi del passato sono spilli sui nervi tesi della narrazione. L’urgenza della densità, la necessaria testimonianza a se stessi di un vissuto che prende forma all’interno di un amore e di una ribellione sociale alla povertà e all’isolamento dalla storia, che per la coppia Fitzgerald si sono realizzati senza risparmio anche nella contraddizione e nella provocazione alcolica e letteraria, non può avere interruzioni, né cedimenti, neppure nella stanchezza degli anni.

E se Zelda afferma di voler essere stata “esperimento dell’esperienza” e non semplicemente sua conseguenza, lo spreco di sé come inevitabile chiave di lettura sull’esistente non può che frantumarsi in oggetti simbolici custoditi per conservare integra un’identità sempre pronta a prendersi gioco di tutto.
E’ allora che un corpo solo in scena, seduto in un letto d’ospedale in posizione frontale al pubblico, unico elemento scenografico dello spettacolo, si rivela gesto dopo gesto, oggetto dopo oggetto, tra i fumi della narrazione serrata. E’ allora che ogni piccolo elemento si fa specchio e rivelazione di un desiderio sedimentato.

Zelda è avvolta in una vestaglia color rosa antico e nasconde sotto un lenzuolo bianco le gambe e i piedi, avvolti in scarpette da ballerina classica. E’ l’agghindarsi del folle che scava le sue identità sotto pelle e le ostenta in un’ ultima sfacciata autoaffermazione. E da sotto il lenzuolo verranno estratti come rigurgiti dell’anima i simboli di una vita: un pegno d’amore di Scott, carte, lettere, giornali, fotografie.

La Piccola Compagnia della Magnolia realizza un’opera inedita di testimonianza su una personalità che, pur non avendo avuto riconoscimenti artistici al pari del marito Francis o di altri suoi contemporanei, è stata partecipativa di un’epoca emblematica per gli sviluppi letterari futuri, e che ancora oggi esercita il fascino della sua decadenza disillusa e sfarzosa.

C’è inoltre da aggiungere che assistere a questo spettacolo in un luogo raccolto come quello della sala teatrale del Circolo Arci Oltrepo’, uno dei tanti luoghi di questo Fringe, ha il vantaggio di contribuire in modo affatto convenzionale all’atmosfera della rappresentazione. La bellezza del teatro è anche questa: la sua permeabilità agli ambienti, la sua duttilità agli spazi, la non riproducibilità del singolo atto teatrale, nonostante la costanza tecnica e strutturale della rappresentazione. La vicinanza tra spettatori e palcoscenico permette l’osservazione dei dettagli, la costante (e tematica) lucidità degli occhi, permette di notare la commozione viva di un racconto metabolizzato ed interiorizzato che si scopre intenso tra i dinamismi sottilmente elaborati di una curatissima mimica.

Giorgia Cerruti osserva il pubblico dritto negli occhi e a lui si rivolge, non per espediente retorico, ma per lasciargli la responsabilità, attraverso l’intensità dello sguardo, di tutto il peso della parola e, ad uno ad uno, fissa a lungo gli spettatori, avvicinandoli al palscoscenico-letto in una vivida ricerca d’interlocutori, per un ultimo atto disperato d’autoaffermazione. Avvolti in un intenso e dolciastro profumo di rose, quello che Zelda si spruzza sul collo scoperto a memoria di passionali freschezze della carne, ci si abbandona allora alle sue parole in un’aria densa di una fragranza che, come spesso le illusioni fugaci degli spiriti inquieti, invecchia presto e in fretta si dissolve.
In scena fino all’11 maggio.

Zelda: Vita e Morte di Zelda Fitzgerald
produzione di: Piccola Compagnia della Magnolia
di: Giorgia Cerruti e Davide Giglio
con: Giorgia Cerruti

durata: 55′
applausi del pubblico: 2′ 00”

Visto a Torino, Circolo Arci Oltrepo’, il 6 maggio 2014
Prima nazionale

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