Così fan tutte: alla Scala il gioco amaro dell’amore

Dorabella (Katija Dragojevic) e Fiordiligi (Maria Bengtsson)|Così fan tutte
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Così fan tutte
Così fan tutte (photo: Marco Brescia & Rudy Amisano)
“Soave sia il vento, tranquilla sia l’onda, ed ogni elemento benigno risponda ai vostri desir…”.
Così due affrante giovani donne, insieme ad un loro amico più anziano, salutano i rispettivi amanti che si stanno allontanando su una barca per andare in guerra.
E’ questo il momento più emblematico del “Così fan tutte” di Mozart, e nella sua lancinante melanconia, meravigliosamente espressa da musica e parole, uno dei vertici assoluti della musica.

“Così fan tutte ossia La scuola degli amanti”, opera buffa in due atti di Mozart, in scena fino al 18 luglio al Teatro alla Scala di Milano per la regia di Claus Guth, nuova produzione basata sullo spettacolo realizzato per il Festival di Salisburgo del 2009, è, dopo “Le nozze di Figaro” e il “Don Giovanni”, la terza ed ultima delle tre opere italiane “buffe”, scritte dal compositore salisburghese su libretto di Lorenzo da Ponte. Opera buffa, anche se, in verità, pur usando tutti i toni della farsa, a nostro avviso, di buffo e da ridere vi è molto poco. Ed è per capire meglio questa asserzione che torniamo all’addio con cui abbiamo iniziato questo pezzo.

Le donne che salutano mestamente i loro amanti sono le sorelle Dorabella e Fiordiligi, ma se ci avviciniamo bene alla scena ci accorgiamo che il signore più anziano che è lì con loro, Don Alfonso, non è poi così triste per la partenza dei suoi amici, anzi, se la sta sorridendo sotto i baffi. Sa infatti che i due ufficiali Ferrando e Guglielmo stanno allontanandosi per finta, avendo stipulato con lui una scommessa. Don Alfonso infatti, al contrario dei due giovanotti che reputano Dorabella e Fiordiligi fedelissime a loro sino alla morte, pensa, da buon illuminista, che le rispettive fidanzate, una volta partiti, si scorderanno del loro amore, non per cattiveria, ben inteso, ma solamente perché l’amore eterno non esiste.

E’ per questo che Don Alfonso ha scommesso con i due amici che le ragazze li avrebbero presto traditi. E infatti quando Ferrando e Guglielmo ritornano dalle ragazze, camuffati da giovani albanesi, e ognuno di loro fa la corte alla donna dell’altro, aiutati nell’inganno dalla serva Despina (convinta che “Un uom adesso amate, un altro n’amerete: uno val l’altro, perché nessun val nulla”), le iniziali resistenze di Dorabella e Fiordiligi verranno ben presto eliminate, e le nozze con i nuovi amanti addirittura in quattro e quattr’otto preparate.  
E quando alla fine l’inganno verrà svelato, Don Alfonso placherà l’ira dei due ragazzi ponendoli davanti all’evidente fragilità dei rapporti umani, consentendo così a tutti di cantare “Fortunato l’uom che prende ogni cosa per buon verso, e tra i casi e le vicende da ragion guidar si fa. Quel che suole altrui far piangere, fia per lui cagion di riso, e del mondo in mezzo ai turbini, bella calma troverà”.

Altro che opera buffa, semmai apologo dalla morale crudissima, condotto da Mozart e Da Ponte attraverso un calibratissimo gioco di incastri, dove tutto non è ciò che sembra, e quel che sembra non è, e in cui la musica del salisburghese riesce nel miracolo di immergere ogni cosa in un’aura elegiaca che camuffa, sotto una finta bonomia di accenti, una disperata adesione ad una atroce seppur consolatoria realtà.

Dorabella (Katija Dragojevic) e Fiordiligi (Maria Bengtsson)
Dorabella (Katija Dragojevic) e Fiordiligi (Maria Bengtsson) (photo: Marco Brescia & Rudy Amisano)
Insomma, eccoci di fronte ad un capolavoro dove il gioco perfettamente simmetrico non solo dei personaggi ma anche dei registri vocali (Fiordiligi-Guglielmo, Dorabella-Ferrando che pian piano diventa Fiordiligi-Ferrando, Dorabella-Guglielmo per poi forse ricomporsi, governato da Don Alfonso e Despina), sembra immettersi nel mondo settecentesco, ma nel contempo è perfettamente aderente al sentire contemporaneo.

E’ impossibile enumerare tutte le perle di “Così fan tutte” poiché, nel suo fluire di arie, duetti e scene d’insieme, l’opera si innesta in un disegno in cui musica e parole caratterizzano un percorso preciso, che esprime a perfezione il mutare dei sentimenti (esemplificativo è dal punto di vista teatrale il tormentato procedere verso il nuovo amore di Fiordiligi creato da Mozart-Da Ponte, di una profondità psicologica davvero sconcertante), dove la forza sta appunto nell’ammantare di elegiaca melanconica bellezza ogni cosa.

E’ per questo che, secondo noi, non è assolutamente necessario – come invece fa Claus Guth (di lui ricordiamo il Lohengrin che ha inaugurato la stagione scaligera due anni fa) – modernizzare in modo goffo la vicenda, ambientandola in un interno a più piani dai contorni minimalisti, e facendo di Don Alfonso un burattinaio senz’anima, dei due uomini altrettanti fantocci quasi sempre ubriachi (coperti pian piano di fango e, nel travestimento in albanesi, per pochi attimi, da maschere africane) con le donne sempre agitatissime, spesso in vestaglia (le scene sono di Christian Schmidt, i costumi di Anna Sofie Tuma), anche se nel complesso l’idea di un bosco che man mano avanza nella scena con il dissolversi dei sentimenti originari dei protagonisti non c’è sembrata del tutto peregrina.  

Ma Guth alla fine, invece di rendere giustizia a questo immenso capolavoro, ne amplifica platealmente le valenze più esteriori, dimenticando che è proprio nella grazia e nella leggerezza di ciò che pervade la scena, nonché dei suoi sottotesti, che sta l’intrinseca forza di un’opera che in qualche modo segna uno spartiacque tra Settecento e Ottocento.  

Il nostro rimpianto, nella recita cui abbiamo assistito, è di non aver visto sul podio Daniel Barenboim; un dispiacere mitigato tuttavia dalla buona direzione di Karl Heinz Steffens che lo ha sostituito degnamente, dando notevole vigore interpretativo all’orchestra, che ha sottolineato tutti i passaggi del capolavoro mozartiano in modo convincente.

La rappresentazione è stata in qualche modo caratterizzata anche dal cambiamento repentino avvenuto nel cast, con la sostituzione dei cantanti nei ruoli di Dorabella e Don Alfonso, perchè indisposti.

Nessuno degli interpreti ci ha convinto del tutto: Maria Bengtsson come Fiordiligi, a cui Mozart affida due arie difficilissime “Come scoglio” e “Per pietà ben mio”, ha buona presenza scenica ma fatica nei cambi dei registri espressivi sopranili; più facile il compito di Paola Gardina come esordiente Dorabella, che in “Smanie implacabili” solo verso la fine accusa qualche difficoltà e per il resto “porta a casa” in modo sufficientemente onesto tutto il suo percorso interpretativo.
Adam Plachetka come Guglielmo canterebbe anche in modo appropriato ma manca della sensualità che il ruolo gli affida nel corteggiare con successo Dorabella, mentre Peter Sonn (Ferrando non in perfetta forma) interpreta con sufficiente trasporto la cristallina e meravigliosa sua aria “Un’aura amorosa” ma non sempre riesce a calibrare correttamente le tonalità espressive della voce.  
Serena Malfi, nel ruolo di Despina, possedendo un timbro corposo, un po’ desueto per la parte affidatale, non lo esprime con tutta la carica di simpatia e petulanza che la furba cameriera dovrebbe avere; stesso dicasi per Nicola Ulivieri, che ha una bella e chiara vocalità ma, a nostro parere, per Don Alfonso è fuori ruolo, non concedendo al personaggio quell’autorevolezza quasi paterna che dovrebbe avere, pur nella veste di insensibile burattinaio che il regista gli ha chiesto di assumere. 

Così fan tutte

Wolfgang Amadeus Mozart

Direttore: Daniel Barenboim – Karl Heinz Steffens (dal 3 luglio)
Regia e scene: Claus Guth
Scene: Christian Schmidt
Costumi: Anna Sofie Tuma
Luci: Marco Filibeck

Cast:
Fiordiligi
    Maria Bengtsson
Dorabella
    Katija Dragojevic
    Paola Gardina (8 lug.)
Guglielmo
    Adam Plachetka (19, 21, 24, 27, 30 giu.; 3, 8, 14, 18 lug.)
    Konstantin Shushakov (5, 11, 16 lug.)
Ferrando
    Rolando Villazón (19, 21, 24, 27, 30 giu.)
    Peter Sonn (3, 5, 8, 14, 16, 18 lug.)
    Francesco Demuro (11 lug.)
Despina
    Serena Malfi
Don Alfonso
    Michele Pertusi
    Nicola Ulivieri (8 lug.)

Durata spettacolo: 3h 26′ incluso intervallo

Visto a Milano, Teatro alla Scala, l’8 luglio 2014
 

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