Roma in cerca d’autore. La Cura secondo Antonio Calbi

Antonio Calbi alla conf. stampa di Teatro di Roma|La conferenza stampa del nuovo corso del Teatro di Roma
|
La conferenza stampa del nuovo corso del Teatro di Roma
La conferenza stampa del nuovo corso del Teatro di Roma (photo: Giacomo d’Alelio)

“La cultura è solo una professione di fede, credo”. Guardo di nuovo il titolo di un articolo comparso su Pagina99, che parla di due libri usciti entrambi per Laterza sullo stato della cultura nel nostro Paese, “Un millimetro in più”, il dialogo tra Giorgio Zanchini e Marino Sinibaldi, e “Senza sapere. Il costo dell’ignoranza in Italia” di Giovanni Solimine. Ce l’ho con me anche ora, che son tornato a 2000 metri di altezza in México.

Era con me anche il giorno della conferenza stampa del nuovo corso del Teatro di Roma, che sta premendo l’acceleratore verso un futuro che si preannuncia rampante, il suo.
L’8 luglio non era ad essere gremita all’inverosimile la platea del Teatro Argentina, ma il palco sì, nella prospettiva rovesciata, di inesorabile qualità teatrale, che l’organizzazione, in primis il neo-direttore Antonio Calbi, ha voluto per quel giorno di celebrazioni. Tanto da scomodare lo stesso Franco Battiato, facendo cantare da Maddalena Crippa, durante lo spettacolo servito agli astanti più o meno silenti, più o meno applaudenti, una canzone di notevole bellezza, forse eccedente nei contenuti che doveva veicolare nell’occasione, il cui nesso doveva essere neppure tanto velatamente il titolo stesso: La Cura.

Apre le danze, che proseguiranno per oltre un’ora e mezzo sul palco dell’Argentina, Marino Sinibaldi, presidente del Teatro di Roma nonché direttore di Radio3 Rai. Passando la parola all’assessore alla cultura della Regione Lazio, Lidia Ravera, che parla a cuore aperto di come la Regione abbia dovuto tagliare del 30% il suo contributo, sottolineando però l’impegno a colmare i debiti accresciutisi con gli anni nei confronti dell’istituzione teatrale. E al sindaco Ignazio Marino, e alle sue buone intenzioni verso la cultura, il teatro.

Ma poi è la volta del ciclone Calbi, del vulcano di idee, come viene presentato. Del nuovo corso che rappresenta, racchiuso nel nome blasonato di Cantiere Roma Italia, quello che si vuole che diventi per i prossimi anni lo Stabile della capitale.

Si inizia con il riconoscimento d’obbligo alla “cometa”, in questo empireo, ossia Ninni Cutaia, da anni, e speriamo per molti altri ancora, alla direzione del settore di prosa del Mibac, per molto poco a quella (“incompatibile”) dello Stabile, che come molti sanno ha portato a polemiche che sottopelle ancora perdurano.

Prosegue il momento Calbi, un’ora di questa maestosa conferenza stampa, che a conti fatti risulta uno spettacolo di indubbia qualità, ben architettato nel fermo desiderio di non lasciare nessun’ombra di dubbio sul fatto che qui si stanno ponendo le basi per essere quello che si è cantato prima.

Ad ottobre riaprirà il Teatro India, da due anni cantiere, che nel 2012 l’ex direttore Gabriele Lavia aveva annunciato pronto a lavori di restyling portatori di meraviglie. La realtà dei fatti invece ha veicolato soltanto la fine del precedente corso; e di quelle fiammate di novità che poteva contenere il progetto Perdutamente: la sua vita futura non è stata prolungata dalle parole di nessuno dei presenti, anche se per lo Stivale (nei giorni scorsi a Santarcangelo) continua a lasciare semi uno dei suoi frutti, “Art you lost?“.

Lucia Calamaro, Accademia degli Artefatti, Tagliarini/Deflorian, Lisa Ferlazzo Natoli, Teatro delle Apparizioni, Manuela Cherubini, Veronica Cruciani, ricci/forte, Leo Gullotta e Maurizio Panici, Saverio La Ruina e Scena Verticale, Ulderico Pesce con lo spettacolo-documentario sul caso Moro, Punta Corsara con “Hamlet Travestie”, César Brie con “Viva l’Italia”, spettacoli che provengono dalla rassegna Teatri del Sacro, e poi i testi di Jon Fosse, diretti da tre giovani registi: sono alcuni degli ingredienti alchemici per trasformare in realtà la riapertura dell’India.

La verve creativa proseguirà all’Argentina a novembre con “Ritratto di una Capitale. 24 scene di un giorno qualsiasi”, un omaggio a Roma pensato da Calbi, a cura di quest’ultimo e Fabrizio Arcuri, testi di autori di ampissimo raggio, da Daniele Timpano a Cristina Comencini.

L’apertura della stagione sarà invece con “Viaggio all’isola di Sakhalin”, spettacolo della compagnia del carcere di Rebibbia, alla regia Laura Andreini Salerno e Valentina Esposito, per proseguire con la mai doma Romaeuropa, che qui presenterà “Hamlet”, progetto di Andrea Baracco, Biancofango, Luca Brinchi e Roberta Zanardo, “Sun” di Hofesh Shechter, “Dolcevita” di Virgilio Sieni, “Tandy” di Angélica Liddell, “Coup fatal” di Alain Platel, “King Arthur” di Motus.
Verrà poi Valerio Binasco, con Silvio Orlando nei panni di “Riccardo III”, “Una giovinezza enormemente giovane”, testo del compianto Gianni Borgna, con Roberto Herlitzka diretto da Antonio Calenda.

Per chi non fosse riuscito a vederlo nel suo precedente passaggio, ritorna Toni Servillo con “Le voci di dentro”. E ancora Franca Valeri, regia Giuseppe Marini, Filippo Timi con “Il Don Giovanni”, Mario Martone con Iaia Forte e l’Orchestra di Piazza Vittorio per una “Carmen” tutta loro, Giancarlo Cauteruccio con “Eneide” in salsa Krypton. Romeo Castellucci con una nuova creazione.
Frastornati, gli astanti continuano ad ascoltare, la parola passa ad Herlitzka. E poi a Latella, che darà una nuova incarnazione al capolavoro di Eduardo De Filippo, “Natale in casa Cupiello”.
Ma l’elenco è lungo, e non possiamo dimenticare “Roma per Pasolini” e “Luce sull’archeologia”…

Viene servito un altro piatto forte. Non presente perché a Salisburgo, anticipato da un’e-mail letta da Calbi in tutta la sua schietta italiana germanità, parte il video della “Prospettiva Stein”, una conversazione registrata a San Pancrazio tra il neo-direttore e il Maestro, Peter Stein per l’appunto. Vengono così annunciati i quattro anni di residenza creativa del regista tedesco, che cammineranno parallelamente a quelli di mandato di Calbi.
Dirigerà una compagnia di otto attori, con stipendio fisso e continuativo (!), pronti a cimentarsi con la drammaturgia contemporanea rappresentata da Botho Strauss, e il suo “Der Park”, che reinventa “Sogno di una notte di mezza estate”. E ancora Pirandello e “I giganti della montagna”; Čechov e “Ivanov”; la “Berenice” di Racine; l’Orestea di Eschilo, location Ostia antica o chissà quale altro luogo di archeologica importanza. Lo stesso Shakespeare, con un “Enrico IV” presentato in una prima e seconda parte, per poi convogliare in una maratona nella miglior tradizione steiniana.

Antonio Calbi alla conf. stampa di Teatro di Roma
Da Milano a Roma, Calbi promette rivoluzioni (photo: Teatro di Roma)

La celebrazione si va concludendo, i presenti riniziano a prender vita, si guardano intorno, spaesati, forse cercando una via di fuga. Nel timore di fare un gesto sbagliato, che vanifichi la loro presenza all’evento, artisti/operatori/giornalisti/giovani, forse qui nella speranza che il solo esserci conceda loro uno spazio nel Paradiso che sembra prospettarsi per il prossimo futuro.

In questa confusione viene dato spazio alle domande. La prima, sul rapporto fra Teatro di Roma e Valle Occupato, per le possibili polemiche che pare voler evocare, è estinta subito sul nascere dalla risposta di Sinibaldi; nessuna delle autorità presenti sembra voler proferire parola: “Il rapporto del Teatro di Roma e il Teatro Valle? Una domanda a sorpresa… Per quanto ci riguarda crediamo che il sindaco troverà delle soluzioni, che pensiamo imminenti. Da osservatore non proprio esterno, vedo una presa di coscienza delle istituzioni romane, in particolare del sindaco che ne è la massima, di farsi carico del problema”.

Il giornale ben stretto tra le mani, mi faccio avanti per la mia domanda. Cito quella frase, “La cultura è solo una professione di fede, credo”, chiedendo cosa si pensi del futuro che sembra annunciato per il Teatro Eliseo, la sua chiusura, la trasformazione del Piccolo Eliseo in discoteca; se ci possa essere qualche altra risposta da quella inevitabile che per “una professione di fede” ci sia sempre bisogno di martiri…

Risponde Calbi, e nelle sue parole sembrano riecheggiare i versi de “La Cura”: “Spero che intorno al Teatro Argentina si ricomponga un sistema degno di questa città. Auspico che sia gli altri teatri pubblici – ce ne sono pochi, però c’è tutto il lavoro che Andrea Giordano sta facendo con le Case dei Teatri -, sia i teatri privati abbiano una rigenerazione. Io non sono un politico, però è evidente che il teatro è l’arte politica nel senso alto per eccellenza, e confido – ci hanno ascoltato a lungo Lidia Ravera e il sindaco – che questo sistema sia costruito, sia ricostruito. Quello che possiamo fare noi è ricominciare da noi, e che questo contagi sia le alte istituzioni a rigenerarsi sia le istituzioni a fare una politica di più larga visione”.

Tags from the story
0 replies on “Roma in cerca d’autore. La Cura secondo Antonio Calbi”