La Fabbrica della memoria di Ascanio Celestini

Ascanio Celestini in 'Fabbrica'

Fabbrica nasce dalla lettura di testi che raccolgono ricordi operai della prima metà del secolo scorso

Ascanio Celestini in 'Fabbrica'
Ascanio Celestini in ‘Fabbrica’

“Cara madre vi scrivo questa lettera che è l’ultima lettera che vi scrivo. Ve n’ho scritta una al giorno per tanti anni. Voi mi dicevate scrivi scrivi e io ho scritto per più di cinquant’anni. Una lettera al giorno per cinquant’anni. Solo una volta non vi scrissi, cara madre, e voi mi diceste perché non hai scritto? che io vi dissi che non avevo potuto scrivere per via dell’ospedale. Ché avevo avuto la disgrazia e non ho scritto. Mi diceste prima o poi me la scrivi questa lettera?”

Inizia così “Fabbrica”, racconto di vita operaia (ma non solo) in forma epistolare. Destinataria della lettera è la madre del protagonista, capoforno che per mezzo secolo le ha dedicato quotidianamente una lettera. Tranne il 17 marzo del 1949: il giorno in cui, per sbaglio, entrò in fabbrica.

Lo spettacolo di Ascanio Celestini nasce dalla lettura di testi che raccolgono ricordi operai della prima metà del secolo scorso. Ma il progetto si costruisce anche attorno a laboratori, che Celestini ha proposto in varie zone d’Italia, incontrando soprattutto persone che lavorarono in fabbrica tra gli anni ’40 e ’60. Insieme a questi racconti si uniscono in maniera spontanea, frutto solo della volontà di ascoltare, le memorie di minatori e contadini.
Lo spettacolo vive così delle testimonianze dei lavoratori della Piaggio di Pontedera, prende la voce di Lanciotto Passetti che ha cantato la canzone di Giovanni Berta, e della Marisa che montava 500 molle sulla ganascia dei freni ricordando la canzoncina sul ministro Scelba. Ma vive anche della memoria delle miniere del Monte Amiata e di quella di Marco, capoturno in ferriera a Cividale, da cui nasce il personaggio di Benito, figlio di Assunta e Pietrasanta.

“Nella notte tra il 16 e il 17 marzo del 1949 l’operaio-narratore viene in contatto con un mondo la cui memoria non è più legata alla parola, ma al corpo come nel racconto della catena di montaggio di Barabotti – spiega l’autore romano – Il corpo, allora, deve cambiare, si deve adattare, deve deformarsi per essere ammesso in fabbrica. Qui incomincia l’invenzione del racconto teatrale e precisamente con l’affermazione che solo quelli che c’hanno la disgrazia possono lavorare in fabbrica. Ovviamente nella realtà succede quasi il contrario. Chi ha avuto l’infortunio sul lavoro in genere lascia la fabbrica. Ho voluto lavorare su questa forzatura per mostrare la trasformazione dell’identità di una persona che entra in questo mondo separato.

Una trasformazione che gli operai stessi non riescono quasi mai a raccontare a parole e non è un caso se ci troviamo davanti a pochissime pubblicazioni relative alle memorie degli operai, pochi studi antropologici che parlano della memoria della fabbrica e pochissimi operai che raccontano all’esterno il loro vissuto. La fabbrica è un mondo a parte e ci vuole una lingua diversa per poterlo raccontare”.

E nei primi minuti di questo racconto è quasi difficile seguire la favella veloce di Ascanio Celestini. Poi riesci, aggrapandoti alle parole, ad entrarci e, per il resto di ora e mezza di spettacolo, vien da chiedersi come faccia a mantenere un ritmo tanto sostenuto completamente da solo. Nemmeno qualche brano musicale dal vivo (come in altri spettacoli) arriva in suo soccorso. Forse sì, a dirla tutta, la lunghezza a tratti si avverte, a discapito dell’incisività. Ma i racconti sono tanti e si avvicendano con naturalezza: difficile scegliere quali voci non sentire. Non resta che fargli i complimenti.

FABBRICA
di e con Ascanio Celestini
durata: 1 h 26′
applausi del pubblico: 1′ 53”

Visto a Rivoli (TO), Teatro di Rivoli, il 6 marzo 2009
Acti – Teatriindipendenti

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