Detesto la critica delle faccine che sorridono, quella delle stelline e dei bollini, le recensioni fini a se stesse, che non offrono spunti per ripensarci su, che non fanno venire voglia di andare a vedere uno spettacolo e non ne amplificano la percezione. Sono parole spese inutilmente, che non producono cultura, intasano la rete, sprecano inchiostro, non fanno vendere più biglietti né rendono nessuno una persona migliore.
Detesto i “critici” che fanno i critici, quelli con la paletta in mano in stile: “Mmh, che voto dò?”.
Per fortuna – o purtroppo – anche gli spettacoli brutti comunque piacciono alla mamma del regista o all’amico, e il giudizio dell’ultimo spettatore conta, forse, quanto quello di chi poi deve scrivere e rendere conto delle sue impressioni.
Nella splendida cornice del teatro romano di Falerone (AP), nell’ambito della rassegna di teatro classico del Tau/Teatri Antichi Uniti, va in scena “Il vantone”, una riscrittura di Pier Paolo Pasolini del “Miles gloriosus” di Plauto. Un allestimento di Roberto Valerio, anche sul palco nel ruolo del protagonista, sostenuto da una giovane compagnia di bravi attori, con energie altalenanti ma tutti molto generosi.
A chiudere gli appuntamenti del Tau stasera, sempre al teatro romano di Falerone, l’“Iliade – il pianto degli eroi, l’ira, la vendetta, la pietà”, una lettura teatrale di Luca Violini a cui seguirà una cena romana, secondo le antiche ricette; mentre domani 2 agosto, ad Urbisaglia, ci sarà “Odissea Penelope”, mise en espace di Adriana Palmisano con Iaia Forte.
Pasolini tradusse il “Miles gloriosus” nel 1963 in sole tre settimane su richiesta di Vittorio Gassman, che aveva in progetto di portare sulle scene il testo di Plauto, con il ruolo del protagonista appositamente rimpastato sulle sue corde. L’allestimento però non fu mai realizzato. Il testo debuttò comunque nel novembre del ’63, al Teatro della Pergola di Firenze, con Glauco Mauri e Valeria Moriconi per la regia di Franco Enriquez.
La versione di Pasolini del celebre “Miles” è qualcosa di più di una semplice traduzione: è un rifacimento che attualizza l’universo plautino, in cui non viene solo riadattata la parola, ma traslato il contesto intero, dall’antichità classica alla Roma borgatara e coatta, senza tempo. Non si tratta dunque di una traduzione filologica e letteraria bensì “artistica”, che reinventa, inserendo personaggi popolari, vere e proprie macchiette dal parlato vitale e pulsante. Anche il dialetto non è quello ‘letterarizzato’ di “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta”, ma una sua forma mutuata dal Belli e poi mediata dal palcoscenico, dal variegato mondo dell’avanspettacolo.
Una scena essenziale, che sembra mutuata dalle botteghe dei carrozzieri di Porta Portese, con pannelli di ferro ondulati e porte fatte con assi di legno sprangate. Qui rivive la beffa ai danni di Pirgopolinice, il soldato spaccone (quello che è nato il giorno dopo Giove, perché se fosse nato il giorno prima sarebbe lui il dio in terra), pilotata dal servo Palestrione – che del Miles è un bottino di guerra – in combutta con tutto il vicinato per liberare la bella Filocomasio – anche lei preda del militare – e ricongiungerla al suo amore appena ritrovato per poi ripartire tutti verso casa (lei, il servo e il fidanzato).
Questa, a grandi linee, è l’intricatissima vicenda, ricca tanto di spunti comici ed esilaranti, quanto talvolta di incongruenze che l’adattamento di Pasolini prima e del regista poi, compensano solo in parte. Ma si sa che ai tempi di Plauto non si andava tanto per il sottile perché erano ben altri i meccanismi che “acchiappavano” lo spettatore.
L’allestimento di Roberto Valerio ha come costante riferimento la filmografia pasoliniana (soprattutto “Accattone”, “Mamma Roma”, “La ricotta”, “Che cosa sono le nuvole?”) e gli interpreti dell’avanspettacolo italiano (da Petrolini ad Alberto Lionello, da Wanda Osiris a Delia Scala), a cui il regista vuole rendere omaggio con citazioni diluite lungo tutto lo spettacolo.
Tuttavia, canzoni, costumi, fino al personaggio della prostituta Acroteleuzio – un uomo travestito da Wanda Osiris a cui manca solo l’ananas in testa – si trasformano a tratti in autogol. Sembrano infatti spuntare fuori così, come funghi, senza amalgama, soluzioni un po’ forzate che creano un effetto stridente. Momenti a cui anche il pubblico reagisce tiepidamente, forse un po’ perplesso da istanti che non riescono ad essere completamente comici. Se volutamente si decide di adottare una chiave buffonesca, con la comicità delle recite di Natale va benissimo, ma come minimo richiede un’esplosione di poesia o, almeno, delle risate trascinanti. Altrimenti sembra sospesa in un limbo senza codice, che non ammalia né diverte, ma a tratti imbarazza. Una misura che nello spettacolo dovrebbe essere ancora rodata.
Una mia preziosissima insegnante sosteneva che bisogna diffidare degli spettacoli che ti ricordano di essere uno spettatore, di quelli che stai lì a guardare e ogni tanto pensi: “Oddio, ma che stanno a fa’?”. Insomma, è come se si spezzasse qualcosa nella percezione per cui si salta lo spettacolo e si arriva direttamente oltre, agli attori, alle prove, al regista capace od incapace di tirare fuori delle cose da loro o di far svettare un testo e trasformarlo in uno spettacolo. Sempre la stessa insegnante, ma credo di averci messo del mio, sosteneva inoltre che bisogna diffidare anche di quegli allestimenti che non ti danno nulla di più di quanto già avevi appreso da solo leggendo il testo. Non un’azione di più, non un guizzo, non un contributo. Tutto appare prevedibile, letterale, didascalico.
Assistendo all’allestimento de “Il Vantone” rispolvero queste sensazioni, come se emergesse qualcosa d’incompiuto, come se ci si fosse fermati, durante la ricerca delle prove, alla prima soluzione invece di creare realmente qualcosa. Eppure non mancano i momenti capaci, densi di una comicità autentica e riuscita.
E anche stavolta, ahimè, le stellette mi toccherà darle. Ma proprio perché sono obbligata.
Il vantone
di Pier Paolo Pasolini
prodotto da Associazione Teatrale Pistoiese
regia: Roberto Valerio
con: Luca Giordana, Massimo Grigò, Roberta Mattei, Michele Nani, Nicola Rignanese, Roberto Valerio
scene: Giorgio Gori
costumi: Lucia Mariani
luci: Emiliano Pona
durata: 1 h 15′
applausi del pubblico: 1′ 42”
Visto a Falerone (AP), teatro romano, il 30 luglio 2009
Tau 09