La compagnia Prodigal Theatre è tornata al Napoli Teatro Festival (conclusosi domenica, tra le polemiche sui compensi del direttore Luca De Fusco, per poi tornare in autunno) per presentare “A day in the life”, lo spettacolo che in primavera era stato decretato vincitore del Fringe2Fringe proprio dal pluri-direttore (lo è anche dello Stabile napoletano) De Fusco.
Lo storico teatro San Ferdinando, per anni tempio della tradizione teatrale napoletana, incornicia così un allestimento decisamente in contrasto con l’ambiente che lo ospita: una struttura di tubi metallici montata come uno sfondo urbano è infatti la vera protagonista della scena.
La storia che si vuole raccontare è quella dell’anonimo esercito di impiegati di una grande città, che di giorno vengono inghiottiti da grattacieli tutti uguali e, una volta usciti, sono risucchiati dalle loro case dopo aver velocemente festeggiato la fine dell’orario di ufficio.
L’originalità dell’operazione di Prodigal Theatre sta nella forma con la quale questa tematica viene affrontata, e cioè tramite la disciplina del parkour. Si tratta di una pratica nata a Parigi negli anni ’80 che consiste nel superare con abili movimenti del corpo i tanti ostacoli fisici presenti nelle metropoli. E’ per questo che viene anche definito “arte dello spostamento” e si configura come un allenamento non soltanto fisico ma mentale, poiché l’individuo che lo pratica si concentra sull’ambiente circostante tentando non di modificarlo ma di adattarsi alle sue insidie.
I cinque performer della compagnia inglese si dedicano all’attraversamento degli spazi vuoti della struttura, raggiungono la vetta e vi si lanciano senza paura, si incontrano e si scontrano, si uniscono e si sfidano senza risparmiarsi per un attimo (eccetto i dieci minuti di intervallo concessi a metà spettacolo all’accaldato pubblico presente).
Il tappeto sonoro spazia dall’elettronica all’hip-hop, abbandonandosi fugacemente ad una più rilassante chitarra acustica, e alla musica si mischiano i tipici rumori della città: clacson, auto in corsa, radio accese, voci sparse.
I fari provano a ridisegnare la luce del giorno, della sera, di semafori e temporali; nel frattempo i cinque ragazzi si producono in acrobazie e prove di forza sempre più azzardate, stupendo gli spettatori. Alla lunga, però, questa energica performance rischia di diventare un esercizio di stile: le continue evoluzioni dei corpi non corrispondono a quelle (mancate) della trama, la comunicazione tra “city” e platea si allenta, e qualcuno comincia addirittura a sentire la mancanza del pezzo dei Beatles che dà il titolo alla messinscena. Le note dei quattro di Liverpool non ci saranno, le loro parole e quel senso di straniamento però vengono senz’altro assimilati e restituiti dai corpi mai stanchi dell’Urban Playground Team:
“Woke up, fell out of bed / Dragged a comb across my head / Found my way downstairs and drank a cup / And looking up I noticed I was late / Found my coat and grabbed my hat / Made the bus in seconds flat / Found my way upstairs and had a smoke / Somebody spoke and I went into a dream”.
A day in the life
regia: Miranda Henderson
ideazione: Prodigal Theatre – The Urban Playground Team
commissionato da: Towner Eastbourne
produzione: Napoli Teatro Festival Italia in coproduzione con Teatro Stabile di Napoli con il sostegno di Arts Council England e The Hawth Theatre, Crawley
durata: 60′
applausi del pubblico: 2′ 30”
Visto a Napoli, Teatro San Ferdinando, il 14 luglio 2001