A levar l’ombra da terra e altre storie

Modelli tagliati in carne
Modelli tagliati in carne
Modelli tagliati in carne di Sanpapié (photo: etreassociazione.it)

Della Lombardia dei piccoli festival delle compagnie del circuito Etre abbiamo parlato e continuiamo a parlare sia per raccontare il fenomeno delle residenze teatrali, sia per la dimensione dell’incontro con il territorio, sempre feconda, ricca di implicazioni di scoperta e comunanza.

Prendiamo l’esempio di A levar l’ombra da terra, rassegna organizzata nella bergamasca da Araucaìma Teater e giunta quest’anno alla quarta edizione: partita nel 2008 da Azzano San Paolo è arrivata a coinvolgere nove Comuni del territorio per quindici date che durante l’estate e fino ai primi di settembre garantiscono ad un pubblico attento e partecipe il racconto di storie del loro territorio, ma anche affacci su un mondo più grande, quello delle altre residenze, e oltre ancora, con giovani realtà dello scenario nazionale e spesso internazionale.

Lo spirito della rassegna è rimasto immutato in questi anni: serate estive con spettacoli all’aperto, tutti gratuiti, fra piazze, parchi, cascine, luoghi adattati a palcoscenico, con poche sedie e qualche bicchiere di vino per fare “società”. Così è stata ad esempio la serata dello scorso 4 agosto, quando sul palco del centro sportivo di Azzano si sono succeduti la Compagnia Sanpapié, una delle residenze Etre, con “Modelli tagliati in carne” e la compagnia di teatro danza Zerogrammi, con l’omonimo spettacolo che ha segnato l’inizio del fortunato sodalizio artistico fra Stefano Mazzotta ed Emanuele Sciannamea.

Il lavoro di Sanpapié (non l’ultimo in ordine temporale), come pure la più recente produzione che avevamo visto a febbraio allo spazio MIL di Sesto San Giovanni, è pensato e portato in scena da Sarah Chiarcos, Marcello Gori, Lara Guidetti e Francesco Pacelli.
Le caratteristiche del linguaggio di Sanpapié, compagnia lombarda di teatro danza e performance, sono nella volontà di raccontare piccole storie di microcosmo sentimentale, spesso di dinamica a due, in cui la relazione interpersonale diventa pian piano emblema di rapporti universali. E’ questo anche il caso di “Modelli tagliati in carne”, in cui i due protagonisti Lara Guidetti e Francesco Pacelli, discendenti e a loro volta Adamo ed Eva qualsiasi, nati dalla terra, da un bozzolo di crisalide, si corrompono pian piano in un’ordinarietà di relazione che via via che la storia prosegue, incalzata da un tappeto musicale, si muta in violenza.
Lo spettacolo indaga, attraverso il movimento, i meccanismi di potere, sopraffazione e tortura: naturale evoluzione di questo approfondimento era l’ovvio ampliare lo sguardo alla società, passaggio logico che i Sanpapié hanno affrontato proprio con “Come una piuma sul pelo dell’acqua”.

La compagnia, che l’anno prossimo potrebbe ripetere l’esperienza di Edimburgo, è a questo punto davanti al chiaro dilemma di mollare gli ormeggi rispetto allo sguardo intimista di “Boh?”, primo esito artistico all’interno della progettualità Etre e ben valutato proprio ad Edimurgo due estati fa, per provare ad osare un codice autenticamente dirompente, per una sfida artistica che in uno scenario, quello internazionale, sempre molto attento al rinnovamento, occorre vincere con audacia e consapevolezza di una direzione che assembli le diversità in un’unitarietà anche esterna alla logica della narrazione lineare.
Dopo i primi anni di esperienza al di fuori del circuito accademico dentro cui il sodalizio si era formato, i giovani artisti hanno per le mani un prodotto che ha funzionato come rampa di lancio, ma da cui devono avere anche il coraggio di staccarsi, per non finirne prigionieri, per non ricondursi ad un modulo che non deve diventare mai consuetudine artistico-gestuale, cambiando quindi pelle prima che questa diventi superficie arida e troppo stretta da togliere di dosso.

Lanciati in un momento positivo e di crescita sono Stefano Mazzotta ed Emanuele Sciannamea. La loro compagnia Zerogrammi è uno dei sodalizi artistici più felici sorti in Italia negli ultimi anni, con un linguaggio originale e in Italia non particolarmente diffuso: le ragioni sono imputabili a diversi fattori, uno dei quali risiede le fatto che, a differenza della Francia ad esempio, a noi è mancato negli anni Ottanta/Novanta un anello di congiunzione scenico fra mondo della clownerie e delle arti di strada con il circuito ufficiale della danza e del teatro, schiacciato da una prosa da teatro stabile che solo nell’ultimo decennio ha lasciato un po’ di respiro ad altri codici artistici e ad una sperimentalità cross-over.
Zerogrammi lavora in quest’area logica, con una capacità di generare pensiero poetico e di accogliere al suo interno, come in un nido, piccoli richiami al passato, al ricordo generazionale, al piccolo affresco sociale, fra nostalgia ed inquietudini.

Ambientato dentro le belle luci di Chiara Guglielmi, unico elemento scenico eccezion fatta per la musica e per un mondo di ninnoli d’infanzia che diventano materiale per la performance, il primo lavoro omonimo, “Zerogrammi”, è capace di rinnovare ad ogni replica il suo carico di emotività e ironia. Pur avendo già visto lo spettacolo al Pim Off nella passata stagione, abbiamo riso divertiti, e guardato a momenti di lirica tristezza di danza a due come a fotogrammi di piccoli capolavori di film muto.

Anche il linguaggio di Zerogrammi si è evoluto in questi anni, passando per il più “sociale” e fintamente sacral-pelasgico “INRI”, di cui ci siamo in passato occupati, per approdare con “Mappugghie” alla figura di Penelope, un confronto con i temi del teatro classico in cui la scena era lasciata ad un’attrice e una performer, che raccontavano la giovane moglie e l’anziana, dilaniate da un’attesa che per una era speranza e per l’altra rassegnazione.

Le ultime fatiche di Mazzotta e Sciannamea, presentate di recente a Teatro a Corte, nascono dalla riflessione sul Tieste di Seneca, in collaborazione con alcuni artisti russi, partita a febbraio scorso e consolidatasi nel freddo inverno di Mosca, con la produzione di due lavori: uno, “Punto di Fuga”, interpretato, oltre a loro due, da due ballerini russi, e prologo del secondo, “Pasto a due”, che è la loro vera e propria indagine.
“E’ così vero che cane non mangia cane?” paiono chiederci dubbiosi i due nella presentazione del nuovo prodotto artistico. L’uomo in fondo mangia l’altro uomo, se non nella prassi, sicuramente nell’attitudine a rendere succubi, schiavi, a succhiare l’energia vitale. O anche nei sentimenti. Lo spettacolo è pronto per girare nella prossima stagione. Ne siamo curiosi.

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