A Milano Brecht alla prova della contemporaneità

TERRORE E MISERIA DEL TERZO REICH (photo: Laura Bianca)
TERRORE E MISERIA DEL TERZO REICH (photo: Laura Bianca)
TERRORE E MISERIA DEL TERZO REICH (photo: Laura Bianca)

In origine è stato Tfaddal, una rassegna di studi teatrali e di danza a tema, a cura di Claudia Cannella, Sara Chiappori e Natalia Di Iorio organizzata nel 2013 dal Teatro Franco Parenti di  Milano in cui un gruppo di artisti scelti dalla direzione si confrontava su un tema dato. Allora fu Shakespeare con “Amleto”.

Quest’anno stesso format ma il tema è Brecht: “Brecht con altri occhi” è infatti il nome di questa rassegna pensata per riscoprire la vitalità e la modernità dell’artista tedesco a 60 anni dalla sua scomparsa.
I lavori proposti sono sei, per i quali il Franco Parenti ha collaborato alla produzione in forma integrale o parziale: allestimenti o studi, esiti laboratoriali e gruppi di ricerca per sei testi fra i meno rappresentati, come “Baal”, “La Madre”, “Vita di Edoardo II d’Inghilterra”, “L’eccezione e la Regola”, “Terrore e miseria del Terzo Reich”, per finire con un “Brechtime”.

Ad aprire la rassegna una rilettura decisamente non convenzionale, un primo studio del “Baal” ad opera di Phoebe Zeitgeist, per la regia di Giuseppe Isgrò, ottimamente interpretato da Enrico Ballardini, Francesca Frigoli, Dario Muratore e Margherita Ortolani, con Elia Moretti in scena per l’esecuzione di musica dal vivo e suono, e le voci off di AstorriTintinelli.

Questa sfidante produzione del Franco Parenti con Phoebe Zeitgeist nell’ambito del progetto cantieri Bavaresi, supportato dal Goethe-Institut Mailand, ritorna sul primo testo di Brecht, il cui protagonista, Baal, incarna l’artista dissoluto, parassita, violento e antisociale, che Isgrò legge come un satiro lanciato contro la convenzione borghese di cui dovrebbe riflettere in realtà i vizi, un fauno contemporaneo ma ugualmente nudo, villoso, affidato alla fisicità di Enrico Ballardini.

Un sapore anni Settanta e fassbinderiano per le atmosfere e i giochi di corpi: il codice scenico/registico è quello che da sempre la compagnia porta avanti, con la superficie agìta pressochè spoglia, eccezion fatta per le luci a vista, e il focus sull’attore, su cui appare evidente un significativo progresso di Isgrò in questi anni.

In questo studio, frutto di un primo approfondimento di intenzioni, spicca, nella interessante riscrittura drammaturgica, la scelta vivace del polilinguismo, con inserti dialettali non stonati ma di cui occorre calibrare la portata, mentre prevale una certa monocordia del modo in cui la parola arriva allo spettatore, per via di un testo frammentato e spezzettato come in una coralità rotta.

Questa scelta, su cui la ricerca di Phoebe Zeitgeist si prolunga da alcuni lavori, lascia allo stato attuale pochi minuti al monologo o alla parola porta in modo più tradizionale: un utilizzo meno marginale di questa opzione farebbe forse risaltare molto di più, nell’alternanza, la frammentazione à-la-Copi dei concetti e delle scelte, come le pennellate del colore complementare in una trama tendenzialmente monocroma nei quadri di Van Gogh. Diversamente si corre il rischio di una densità, in cui la tecnica formale sancirebbe una sorta di supremazia aprioristica, ponendosi come elemento costante, quasi immutabile dei vari allestimenti, proprio mentre agli attori viene chiesto invece un impegno ogni volta così diverso e sfidante.

Assai più tradizionale “La Madre” per la regia di Carlo Cerciello, con Imma Villa nella parte della protagonista (interpretazione che le è valsa diversi premi) e poi, in una positiva coralità, Antonio Agerola, Cinzia Cordella, Roberta Di Palma, Marco Di Prima, Annalisa Direttore, Valeria Frallicciardi, Michele Iazzetta, Cecilia Lupoli, Aniello Mallardo, Giulia Muscaccio e Antonio Piccolo. Anche questa una produzione Franco Parenti inseme a Teatro Elicantropo, di cui Cerciello è anima.

Qui il sapore, dal punto di vista dei linguaggi, è assai più vintage: nei 75 minuti di spettacolo si assiste ad una riproposizione filologica e per certi versi quasi idealistico-romantica di un allestimento brechtiano da teche RAI. Scenografia industrial-strutturalista e cartelli con scritte per definire luoghi e spazi, bandiere rosse, pugni alzati, falci e martelli ad incastro, levati da braccia di operai vestiti di cenci, poco simili a quelli trionfanti nei monumenti del realismo sovietico; impianto musicale con parti cantate in cui, salvo un piccolo cameo ironico-gucciniano (unica licenza ad una struttura altrimenti rigida), l’applicazione del “protocollo” brechtiano blocca un po’ il respiro della creazione, onesta negli intenti ma distante da un vero ripensamento contemporaneo di Brecht: piuttosto si tratta di un romantico omaggio alla classe operaia, ma se è vero che la classe operaia e il proletariato sono concetti eterni e legati all’idea dello sfruttamento del lavoro che in ogni epoca si dà, ci chiediamo quanto gli operai di oggi possano riconoscersi in questo ritratto.

Sapore molto più quotidiano la versione proposta de “L’eccezione e la regola”, di cui Luigi Guaineri firma la regia, portando a successo il lavoro degli allievi del laboratorio teatrale del Museo d’Arte Paolo Pini: Loredana Arcieri, Roberto Canella, Erica Capozza, Edoardo Cremonese, Sandro Dandria, Gianfranco Garofalo, Andrea Mittero, Tamara Mariangela Monti, Clemente Randone, Enrica Ravizza, Elisabetta Renolfi, Carolina Ronchi.

Si tratta di un affascinante esperimento che nasce all’interno delle attività previste dal Museo d’Arte che da anni lavora all’utilizzo dell’arte con finalità para-terapeutiche nell’area del disagio psichico.
Fresco e divertente, con gli ovvi prevedibili limiti dovuti al fatto di aver di fronte attori non professionisti, ma proprio da questa naturalezza si dipana una forza naturalistica e antinaturalistica assieme, fatta di buone idee, e capace in alcuni momenti perfino di avvincere, mettendo in luce il lavoro enorme del team (docenti, operatori, stagisti e allievi o utenti del laboratorio) che in questi mesi ha lavorato all’allestimento: fra questi non professionisti è bello intravedere anche qualche interessante individualità, mostrando che la passione per il teatro non ha età né limiti.

Di tutt’altre ambizioni il “Vita di Edoardo II di Inghilterra”, di cui Andrea Baracco firma regia e adattamento, in una coproduzione tra Franco Parenti e 369gradi, società da anni attiva in Italia nella produzione e promozione delle arti sceniche.
Si tratta in realtà di un riallestimento del 2013 con un cast quasi totalmente rinnovato, eccezion fatta per Mauro Conte e Gabriele Portoghese, che vengono ora affiancati da Aurora Peres, Nicola Russo, Francesco Sferrazza Papa e Marco Vergani.

L’allestimento ritorna sulla rilettura brechtiana del 1923 dell’opera di Marlowe di fine ‘500, che racconta le vicende del re che due secoli e mezzo prima, tra fine 1200 e primo trentennio del ‘300, segnò la vita del suo regno con una vicenda personale assai controversa e condizionata dall’amore per il suo amico d’infanzia, Pietro Gaveston. Quest’ultimo fu più volte mandato in esilio, nella speranza di allontanarlo dal regnante soggiogato dal suo fascino, ma ogni volta il re trovava modo di riportarlo vicino, costruendo un legame morboso che divise i sudditi e portò la nazione alla guerra civile.
La tragica vicenda di amore impossibile tra Edoardo e il suo favorito vuole essere, nell’intento registico, la rappresentazione del fallimento per debolezza di un’intera classe dirigente, intellettuale e politica.

Corone e libri sepolti dalla terra, intrighi, potere e dissolutezza vivono in un impianto scenico di sapore mitteleuropeo. Qualche citazione di storici allestimenti: vengono in mente l’Amleto di Ostermeier e l’Anna Karenina di Nekrosius (forse in controluce con la regina Anna della storia). Insistita la musica.
Bene i due interpreti protagonisti della controversa liaison, sul resto occorre ancora lavorare all’amalgama del nuovo gruppo e alla fluidità, che viene meno nell’inseguimento di forse troppi barocchismi scenico-interpretativi che rischiano di condizionare il risultato.

La rassegna si è conclusa domenica con “BrechTime”, un viaggio nella poetica di Bertolt Brecht sulle musiche di Kurt Weill, ideato e diretto di Tiziano Turci per la Compagnia TNT, e “Terrore e miseria del Terzo Reich”, che profeticamente denunciava soprusi e violenze del regime hitleriano, interpretata dai giovani attori del Centro Teatro Attivo guidati da Fabio Cherstich.

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