I direttori artistici Renzo Martinelli, Federica Fracassi e Francesca Garolla annunciano la chiusura della sala sui Navigli frequentata da artisti come Rodrigo Garcia, Ricci/Forte e Royal Court Theatre. E Francesca Garolla ci racconta: “La competizione si è via via esasperata. Non ci sentiamo di fare prove di resistenza”
Il teatro è lo spazio del mito e della catarsi. È il luogo degli attraversamenti e dei cortocircuiti. Quando un teatro chiude, è sempre una cattiva notizia.
La chiusura di Teatro i a Milano, annunciata ieri pomeriggio, ci rende orfani. Quando salivamo la scala di quello spazio angusto sui Navigli, a pochi passi dalla Darsena, avevamo la sensazione di attesa che si prova varcando la soglia di una chiesetta di campagna dalle pareti scrostate. Era come entrare in un tempio antico, con qualche segreto da scoprire.
Alcuni spettacoli della sala di via Gaudenzio Ferrari ci hanno sedotto da normali spettatori, quando ancora non scrivevamo su un giornale: ad esempio “ExAmleto” di Roberto Herlitzka, trionfo invernale della solitudine. Da critici, abbiamo invece ammirato la sofferta inaccessibilità dell’“Erodiàs” di Testori. Qui la triade ai vertici di Teatro i, la dramaturg (e autrice) Francesca Garolla, il regista Renzo Martinelli e l’attrice Federica Fracassi, metteva in scena una barocca trasfigurazione della dannazione dantesca.
Di Teatro i abbiamo apprezzato anche i lavori che ci parevano meno riusciti: riscontravamo un’onestà di fondo, e il bisogno di comunicare in un linguaggio nuovo, inquieto, mai banale. Nel semibuio della platea, deponevamo le maschere che ci sfigurano. Con la certezza di portare a casa una qualche visione.
Annunciando la chiusura di Teatro i dopo 18 anni dall’apertura, Garolla, Martinelli e Fracassi hanno accennato alle difficoltà degli ultimi anni: “Le sale teatrali sono aumentate e con esse gli spazi di ospitalità, in un sistema troppo competitivo per le nostre risorse umane ed economiche, i parametri, i dati quantitativi necessari per accedere ai finanziamenti pubblici e privati, sono diventati sempre più difficili da rispettare, gli spazi che abbiamo in gestione e che possiamo utilizzare sono adatti a una compagnia di produzione ma, con il passare degli anni, lo sono diventati sempre meno a una programmazione serrata, diversificata e aperta al pubblico”.
Ricordando anche quando, nel 2016, avevano già lanciato una campagna di solidarietà chiamata “Non vogliamo resistere, vogliamo esistere”, e oggi dicono: “Abbiamo resistito per sei anni ancora, ma in questi sei anni siamo potuti esistere solo estemporaneamente. Ed è per questo, con molto orgoglio e molta felicità per le cose fatte e molto, moltissimo dispiacere per quelle che non riusciremo a fare, che chiudiamo questo lungo e, per noi, incredibile percorso”.
“Prima della pensione” di Thomas Bernhard, allestimento del 2006, ed “Esequie solenni” di Antonio Tarantino, in scena dal prossimo 20 ottobre all’8 novembre, sono gli estremi temporali delle produzioni Teatro i. C’è un che di beffardo nella scelta dei titoli, prima di una chiusura che pare inevitabile. Il caro energia e l’aumento dei costi di gestione sono solo fattori che si uniscono ad altri, ad alimentare un senso di fragilità che ha radici prepandemiche: una sala da ottanta posti messa a confronto con i grandi teatri; la fatica di armonizzare indice produttivo e indice gestionale; anni di fatica e resistenza, esasperati dall’emergenza Covid.
«Siamo nati come teatro indipendente – ci spiega Francesca Garolla -. Non avevamo alcun tipo di finanziamento. Con il tempo ci siamo strutturati, in convenzione con il ministero e con il sostegno di altri enti, partendo dal Comune. Ma non abbiamo la forza di competere con i teatri più grandi, anche in termini di contrattualità. Negli ultimi anni abbiamo avuto sempre più la sensazione di inseguire le cose senza poterle decidere. Snaturando la nostra identità artistica e progettuale».
Non ci sono accuse per nessuno, tantomeno per le istituzioni: «Cambiano le persone e cambiano le attitudini. La competizione si è via via esasperata. Non ci sentiamo di fare prove di resistenza».
Di Teatro i rimarrà a Garolla il senso della condivisione: «Ho iniziato a lavorare qui che avevo 23 anni. Renzo Martinelli è geniale. Ha una formazione poliedrica. Ha lo sguardo aperto, e una visione totale a volte inaccessibile agli altri. Ha una capacità intuitiva non comune. Federica Fracassi è una persona di grande apertura. Ha velocità di pensiero e doti comunicative sorprendenti. Lela Talia, la nostra direttrice organizzativa, ha portato dentro il nostro progetto una dimensione di solidità, competenza e responsabilità. Invece io sono un’integralista. Ho un’immagine delle cose molto netta. Se penso a un progetto culturale, devo realizzarlo come l’ho concepito, con quel tipo di energia».
Tra gli artisti entrati a Teatro i, Francesca Garolla si porta dentro il poeta Edoardo Sanguineti: «Parlava con tutti allo stesso modo. Avevo 23 anni, e mi parlava come avrebbe parlato con il Presidente della Repubblica. Sapeva relazionarsi in maniera paritaria con tutti, senza far pesare la sua cultura smisurata. Mi ha insegnato silenziosamente il valore del dialogo».
La pandemia, invece, ci ha insegnato il valore del cambiamento, e della perdita come opportunità. Siamo curiosi di scoprire le seconde vite di Fracassi, Martinelli e Garolla. Con la stessa attesa di quando andavamo a Teatro i. Lo faremo ancora una volta, per “Esequie solenni”, regia di Martinelli, con Elena Arvigo ed Emanuela Villagrossi, al debutto il 20 ottobre. Sarà davvero l’ultima?
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