Al Festival d’Avignon uno spettacolo che parla di stupro e femminicidio partendo dalla morte di Pippa Bacca
Il primo dei tre spettacoli che abbiamo seguito nel corso di questa edizione del Festival di Avignon – la prima diretta da Tiago Rodrigues – è un incontro fisico con la violenza.
“A Noiva e o Boa Noite Cinderela” di Carolina Bianchi e del collettivo Cara de cavalo si presenta come una performance radicale, che inizia come una conferenza per poi prendere, progressivamente, un altro tono.
In un’intervista, Carolina Bianchi anticipa che la sua opera è una discesa agli inferi e ribadisce questo punto proiettando e recitando in portoghese i primi versi della prima cantica dell’Inferno dantesco come introduzione all’orrore dello stupro e del femminicidio.
Nel corso di un dibattito al Café des idées, nel Cloître Saint-Louis della Città dei Papi, l’artista brasiliana, regista e performer, sottolinea che il titolo riassume la drammaturgia dello spettacolo. La conferenza iniziale presenta il suo punto di vista, crudo, intimo e lucido, su ciò che è accaduto nel 2008, in Turchia, all’artista Pippa Bacca, nome d’arte di Giuseppina Pasqualino di Marineo. Pippa era convinta della possibilità di poter attraversare i paesi che dividono Milano da Gerusalemme facendo affidamento unicamente sulla bontà degli sconosciuti. Vestita da sposa – a noiva in portoghese –, la performer ha attraversato il nord Italia, poi i Balcani e il nord della Grecia fino ad arrivare a Gebze, città alla periferia di Istanbul. Qui sarà ritrovato il suo corpo, l’11 aprile, dopo che l’artista verrà stuprata e uccisa da un uomo che le aveva dato un passaggio.
Lontana da ogni forma di commemorazione superficiale, Bianchi discute le ragioni teoriche di questa performance, se la prende con l’ingenuità di Pippa che, secondo lei, avrebbe ceduto ad un’immagine della donna virginale, debole e fragile, credendo che i segni universali della “purezza” – ovvero l’abito da sposa – l’avrebbero preservata dal male che gli uomini compiono da sempre sul corpo delle donne.
Ma Carolina Bianchi rende pienamente merito delle ragioni e della lunga preparazione della performance, così come cerca di comprendere le ragioni per le quali l’amica di Pippa, che con lei ha preparato e condiviso parte della performance, Silvia Moro, sceglie di infrangere le regole che si erano auto-imposte e di non salire sulla macchina di quello sconosciuto. La radicalità di Pippa Bacca, che si affida a colui che si rivelerà il suo aguzzino, è un atto politico e poetico che sfida la guerra e l’orrore, e che avrebbe dovuto culminare con un rito purificatorio, a Gerusalemme, alla fine del viaggio.
Bianchi, che ha vissuto l’orrore dello stupro, non può condividere questo punto di vista (“Comment peut-on oser dire que l’amour l’emportera sur la haine?”) ma mostra una complicità carnale ed intellettuale con la performer italiana.
Con questo stesso spirito, lucido e viscerale, Bianchi discute le azioni compiute da altre artiste che hanno scelto le vie più radicali per mostrare e vivere la violenza subita, da sempre, dalle donne. Si parla quindi di Marina Abramovic, ovviamente, ma anche dell’artista italiana che, a Venezia nel 2003, scelse di leggere un suo manifesto con una pistola puntata alla tempia. Il testo parlava della necessità, per ogni artista, di auto-sabotarsi e, mentre il testo procedeva, l’artista premeva il grilletto di una pistola caricata con un solo colpo.
Bianchi analizza anche la violenza compiuta sulle donne, quella vissuta quotidianamente dall’artista, quella enorme, incalcolabile per la sua ampiezza, vissuta dalle donne di Ciudad Juarez, in Messico. L’artista scava nel suo intimo e nella propria memoria con strumenti apparentemente teorici mentre schiaccia una pillola sul tavolo bianco posto davanti al pubblico, poi mette la polvere in un bicchiere, si prepara un cocktail e beve.
“[È] come se avessi bisogno di una base scientifica e di una base artistica per penetrare in questo inferno”, aveva spiegato durante l’incontro Carolina Bianchi.
Bolaño e il suo romanzo “2666”, Dante, ma anche una pluralità di significanti che rimandano ad opere sceniche importanti e conosciute, costruiscono l’impalcatura dell’opera. Ma il suo cuore è nel gesto di Bianchi che, passati i primi cinquanta minuti di spettacolo, assume la droga dello stupro – in brasiliano chiamata Boa Noite Cinderela. L’artista si lascia allora andare all’incoscienza e alla mancanza di qualunque memoria prodotta dalla droga, legge alcune delle pagine che ha scritto sul caso di Pippa, canta, urla, fa di tutto perché la droga faccia effetto e si affida alla compagnia di attrici, attori, danzatrici e danzatori. Sono loro che gestiranno, attraverso l’identificazione totale di Carolina Bianchi con Pippa Bacca, un rito di evocazione di tutte le donne morte dopo essere state stuprate, senza poter in alcun modo esorcizzare il male vissuto ma mettendolo in forma scenica.
Da un punto di vista formale, quest’opera è un doppio tradimento, fondato su una ripresa di immagini proposte dagli artisti della scena più influenti di questi anni, probabilmente voluta e per questo, forse, tutti uomini, di certo efficace e coerente – ed ecco perché la quasi totalità della critica francese ha proposto parallelismi col lavoro di Angelica Liddell, sbagliando.
La conferenza-performance iniziale è un codice che viene negato dalla seconda parte dello spettacolo; il gruppo di attrici ed attori scrive col corpo, e Bianchi con proiezioni, suoni, luci e testi proiettati, l’inferno della violenza vissuto dalle donne e dalla regista stessa, sola nell’oblio della droga, personaggio e oggetto (in senso letterale) dell’opera, posto al fianco degli altri cadaveri evocati in scena, ma pur sempre inserita nel contesto della sua finzione scenica. I codici del teatro infrangono quelli della performance iniziale e, in questo caso, non è la performance ad “infestare” il linguaggio teatrale, è il teatro che divora la performance.
Il tema della rievocazione e della ripetizione, che sfida limiti e codici dell’“effetto del reale” di cui aveva parlato Barthes, è qui ribadito riprendendo in modo diretto l’immagine costruita da Milo Rau con “La Répétition”. Una macchina al centro della scena, poi portata davanti al pubblico, ha la stessa funzione di quella usata da Rau per rivivere l’omicidio dell’omosessuale belga Ihsane Jarfi, anche lui caricato su una macchina dai suoi assassini.
La targa della macchina dello spettacolo di Bianchi è fuck catharsis perché la regista brasiliana mostra a che punto il dolore su cui si fonda la sua opera nega ogni possibilità di affidarsi a degli effetti artistici, alla parola o al gesto come fonte di liberazione. Ma richiama al contempo il finale di “La Répétition”, la lettura della poesia di Szymborska “Impressioni teatrali”, in cui la poetessa polacca evoca il risveglio dei morti della tragedia, il loro “allinearsi tra i vivi con la faccia al pubblico”.
Qui sarà Bianchi a risvegliarsi, amorevolmente accudita dai membri di Cara de cavalo, dopo aver subito, ancora incosciente, un’endoscopia vaginale, imposta al pubblico su uno schermo sul quale scorre il pensiero della regista.
Bianchi si abbandona ai testi che ha scritto o che ha scelto di manipolare, costruendo effetti di iperrealismo: solo ciò che lei vive col suo corpo è reale. L’endoscopia alla quale assistiamo, praticata sulla macchina nel cui bagagliaio è stata prima chiusa Bianchi, è in realtà un’altra citazione, questa volta dell’endoscopia proposta da Romeo Castellucci nel primo “pezzo” di “Giulio Cesare. Pezzi staccati”. Lo spettacolo del 1997 della Socìetas Raffaello Sanzio, ripreso alla triennale di Milano nel 2016, proponeva un’esposizione dell’“aspetto muscolare della parola […] una visione paradossale del corpo interiore dell’attore”. Qui assistiamo ad un’auscultazione del male che passa attraverso l’esposizione del corpo intimo della donna sventrato dalla violenza. In questo modo, la ripresa delle immagini di artisti uomini traduce su un piano altro, riappropriandosene, queste stesse immagini, e la visione imposta al pubblico ha il merito di distruggere lo stereotipo ancestrale dello stupro.
“Lo stupro è un linguaggio” afferma con precisione la regista, e la ripetizione della violenza, che serve a rievocare i morti sulla scena, si accompagna ad un’immagine cruda, certo, ma meccanica perché chirurgica, insopportabile perché vera e, paradossalmente, metafora del dolore realmente vissuto. Quest’immagine strania il “linguaggio” dello stupro, quello che ad ogni latitudine, parlando lingue diversi ma con uno stesso codice, gli uomini hanno usato per sottomettere le donne. L’immagine proposta da Bianchi – il cui scandalo è misurabile dal rifiuto opposto da alcuni critici a questa endoscopia – mostra con chiarezza che ogni stupro è contrario a qualsiasi forma di desiderio, perché è un procedimento attuato per raggiungere l’annichilimento del femminile.
Lo spettacolo lascia addosso uno sgomento teorico ed uno umano. Bianchi gioca con codici ed immagini del teatro post-moderno, ma privandoli della loro valenza decostruttivista, filosofica. Propone piuttosto la critica di sé stessa e dell’opera – non nega la sua attrazione per il martirio, o quanto l’idea dello stupro stia vampirizzando la sua sessualità. Tuttavia, ricostruisce un’opera teatrale, uno spettacolo di corpi, luci, suoni e video riempiti, però, della sua parola. Riempire lo spettacolo di parole proiettate che si impongono sulle forme sceniche è l’opposto del procedimento messo in atto da Castellucci, che scrive o disegna nel dettaglio ogni passaggio delle sue creazioni per poi cancellarle, metaforicamente, rendendo il suo pensiero scena, ogni sera, davanti ad un pubblico diverso.
Il dolore della memoria fisica del dolore, negazione della memoria razionale della violenza a causa dell’uso della droga dello stupro, porta Bianchi a creare immagini e forme rituali che dicono la sfiducia verso la scena: restano solo il testo e l’atto, il suo o quello praticato sul suo corpo.
Umanamente appare impossibile parlare dell’aspetto formale e teorico di un’opera che ti impone di vedere il dolore meccanico (ma anche senza tempo e senza fine) vissuto dalle donne. Impossibile ma necessario, perché la libertà formale e la radicalità di questo spettacolo mostrano l’energia che può scaturire da una totale commistione dei codici e da una lineare e coerente riappropriazione delle immagini costruite da altri artisti se messe in contatto con un dolore intimo che si esibisce in quanto universale.
A Noiva e o Boa Noite Cinderela. Capítulo 1 da Trilogia Cadela Força
Con: Larissa Ballarotti, Carolina Bianchi, Blackyva, José Artur Campos, Joana Ferraz, Fernanda Libman, Chico Lima, Rafael Limongelli, Marina Matheus
Testo, concezione, regia e drammaturgia: Carolina Bianchi
Traduzione per i sotto-titoli: Larissa Ballarotti, Luisa Dalgalarrondo, Joana Ferraz, Marina Matheus (anglais), Thomas Resendes (français)
Drammaturgia e richerche: Carolina Mendonça
Direzione tecnica, musica originale, suono: Miguel Caldas
Luci: Jo Rios
Scenografia: Luisa Callegari
Video: Montserrat Fonseca Llach
Costumi: Carolina Bianchi, Luisa Callegari, Tomás Decina
Collaborazione artstica: Tomás Decina
Allenamento del corpo e della voce: Pat Fudyda, Yantó
Costruzione della macchina: Mathieu Audejean, Philippe Bercot, Miguel Caldas, Luisa Callegari, Pierre Dumas, Lionel Petit, Xavier Rhame, Jo Rios – Atelier de construction du Festival d’Avignon
Dialogo sulla teoria e sulla drammaturgia: Silvia Bottiroli
Collaborazione artistica: Edit Kaldor (DAS Theatre)
Video del Karaoke: Thany Sanches
Assistente di produzione e macchinista: AnaCris Medina
Direzione di produzione e amministrazione della tournée: Carla Estefan
Diffusione internazionale: Metro Gestão Cultural (Brésil)
Produzione: Metro Gestão Cultural (Brésil), Carolina Bianchi y Cara de Cavalo
Coproduzione: Festival d’Avignon, KVS Brussels, Maillon Théâtre de Strasbourg Scène européenne, Frascati Producties (Amsterdam)
Con il sostegno di: Fondation Ammodo, DAS Theatre Master Program, 3 Package Deal of the AFK – Amsterdams Fonds voor de Kunst, NDSM, Over het IJ Festival, Theater der Welt, Kaaitheater (Bruxelles) et de l’Onda – Office national de diffusion artistique
Durata 2h 30′
Visto ad Avignon, Gymnase du lycée Aubanel, il 9 luglio 2023