La regione di Anagoor e Babilonia Teatri punta tutto su intrattenimento e folklore. Ennesima soppressione di uno spazio di biodiversità teatrale
Immaginate che, in un cartellone dove figurava Chiara Guidi, troviate le Bretelle Lasche, al posto di Antonio Rezza o Alessandro Bergonzoni la comicità di Mastersex, Babilonia Teatri sostituiti con l’Abba Tribute Band, Agrupación Señor Serrano con i prestigiatori del circo.
Voi, come vi sentireste, cari lettori di Klp?
Immaginate che questa brusca virata arrivi dopo otto anni di consolidamento nel panorama regionale – non solo locale – dello stesso cartellone come uno degli ultimi baluardi del contemporaneo, registrando serate sold out ed un seguito di pubblico affascinante per la sua eterogeneità: dalle signore impellicciate ai rasta, passando per gli hipster, percorrendo tutta la gamma generazionale dagli over 65 ai refrattari adolescenti, attraendo spettatori anche da fuori provincia.
Immaginate, inoltre, che ci siano delle fortuite coincidenze in concomitanza: ad esempio, una convenzione da rinnovare; ad esempio, la scadenza di un mandato; ad esempio, una nuova tornata elettorale.
L’ennesimo delitto nell’ambito della promozione dei linguaggi scenici non convenzionali si è consumato nella Regione Veneto. Un delitto perciò esemplare di un’arretratezza culturale forse arrivata ad un punto di non ritorno. Quello stesso Veneto da cui, negli anni Zero, sono emerse – in totale autonomia – alcune delle compagnie più dirompenti (tra le più note: Anagoor, Babilonia Teatri, Plumes dans la tete di Silvia Costa), non ha minimamente saputo interpretare a livello istituzionale il potenziale loro e dei linguaggi di cui erano veicolo.
Nell’arco di un ventennio abbiamo visto ridursi drasticamente il policentrismo teatrale e la biodiversità della scena: sono stati chiusi palchi del calibro del Teatro Fondamenta Nuove di Venezia (capofila di un lungo elenco), cancellati festival più aperti alla contaminazione o all’emersione di nuovi talenti… La cultura teatrale è stata ridotta da una parte ai codici più convenzionali, dall’altra quasi esclusivamente ad un fatto di impresa privata.
Ciò accade in una regione che, a fronte di un Pil equivalente al 10% dell’intera nazione, destina appena 500.000 euro per l’intero comparto teatrale. In cui le più consolidate istituzioni culturali sono guidate da nomine spesso assegnate senza bandi trasparenti, bensì su indicazione politica. In cui le amministrazioni, a qualsiasi livello, sono carenti di competenze in grado di disegnare una politica culturale di ampie vedute e fondamentalmente di distinguere tra intrattenimento e cultura, tra varietà e arte dal vivo, tra business e funzione sociale.
Ricostruiamo il giallo di cui vi stavamo parlando.
Siamo a Belluno. Nel 2005 viene istituita la Fondazione Teatri delle Dolomiti, di cui unico socio è il Comune. Nel 2015 la stessa avvia un’esperienza innovativa di gestione partecipativa del Teatro Comunale Dino Buzzati chiamata “residenza teatrale bellunese”, affidando la programmazione teatrale, con gratuità di utilizzo del teatro, a tre diverse entità culturali locali – Circolo Cultura e Stampa Bellunese, SlowMachine, Tib Teatro –, ciascuna autonoma rispetto ad uno specifico settore (teatro tradizionale, teatro ragazzi, teatro sperimentale). Una soluzione all’epoca molto apprezzata per la capacità di concertazione, la pluralità dei linguaggi proposti e dei pubblici intercettati, la qualità dei risultati. E’ già storia.
Giugno 2022, elezioni amministrative: dopo dieci anni di governo del centrosinistra, torna il centrodestra. Nominato assessore alla Cultura, ai rapporti con le associazioni culturali e alla sicurezza: Raffaele Addamiano (Fratelli d’Italia).
Una delle priorità culturali dell’estate diventa individuare il successore dell’allora Presidente della Fondazione Teatri delle Dolomiti, guarda caso una donna: Tiziana Pagani Cesa, ormai a conclusione del triennio di incarico.
Aprile 2023: l’assessore alla Cultura annuncia la nomina di Massimo Ferigutti con queste premesse: “Belluno è il capoluogo e deve essere stimolo e traino anche nel settore cultura. Ci aspettiamo da Ferigutti una guida dalle idee originali e nuove, capace di portare una ventata di aria fresca”. E’ il gelo.
Le tre realtà residenti vengono imputate di costituire l’onere maggiore del bilancio.
Vediamo il caso di “Miraggi”, il cartellone di teatro contemporaneo curato da Elena Strada e Rajeev Badhan, fondatori della compagnia SlowMachine di cui vi abbiamo già parlato qui: il contributo medio della Fondazione negli anni si assestava al 20% di un budget sui 100.000 euro; al resto, la compagnia faceva fronte attingendo ad economie interne, sponsor, fondi ministeriali, bandi, oltre che ai biglietti.
Ai tre residenti la nuova presidenza “offre” l’utilizzo del teatro a tariffe d’affitto “agevolate” e, dopo una trattativa al rialzo, un finanziamento complessivo di 30.000, da ripartire in base al numero di date offerte: quindi a SlowMachine vengono assegnati 6.000 euro in base alle sei date proposte, senza considerare il livello di professionismo, la complessità tecnica, la provenienza degli artisti coinvolti.
Coi soldi così risparmiati, la Fondazione (il Comune di Belluno) realizza una programmazione propria, assumendosi quindi la direzione artistica prima affidata ai residenti. La rassegna proposta raffazzona prodotti amatoriali o mainstream, aderendo a quei codici di distrazione che sono ormai il paradigma dominante. In assenza di pane, restano i giochi circensi per la plebe, senza ragionare su quanto il disagio sociale potrebbe trovare la sua svolta proprio attraverso investimenti dignitosi e di ampio respiro su forme espressive di contenuto e su prodotti e processi culturali innovativi, in grado di formare le sensibilità e le coscienze, di aggregare comunità trasversali, di educare a quelle emozioni e relazioni di cui tanto in queste settimane si parla.
Ne sono un esempio i padiglioni dell’ex caserma Piave di Belluno, riqualificati grazie al concorso, proprio da parte di SlowMachine, Tib Teatro ed altre associazioni del terzo settore, a bandi per la rigenerazione urbana, e oggi frequentati da un pubblico giovanile folto quanto poche altre situazioni in Veneto. Vi si tengono corsi di formazione, produzioni, festival estivi, persino residenze artistiche.
Nonostante questo fermento e radicamento nel tessuto locale, la Fondazione Teatri delle Dolomiti ha annunciato nuovi criteri per definire le realtà residenti al Teatro Comunale. Ci auguriamo siano diversi da quelli con cui è stata allestita la stagione 23/24 del Teatro Buzzati, e che si considerino i riconoscimenti nazionali ed internazionali che in particolare SlowMachine ha conseguito dal 2012: in Veneto, è l’unica Impresa di produzione teatrale nell’ambito dell’innovazione e sperimentazione riconosciuta dal MIC per le prime istanze triennali, senza considerare l’incarico di Direttore Artistico e Amministrativo del Teatro Chiabrera di Savona di Rajeev Badhan.
Di più lunga data la storia del Tib Teatro, che, pur perseguendo un’estetica diversa, è stato incisivo per la crescita di un pubblico curioso e competente, promuovendo laboratori per ogni età ed esperienze di spettacolo dal vivo in contesti non convenzionali e all’aperto; anch’esso riconosciuto dal MIC, è attualmente nel comitato del Premio In Box.
Pur avendo il sostegno di altri partner, SlowMachine ha rifiutato le regole non negoziate del nuovo gioco, che svalutano il ruolo esercitato negli anni e impongono una piena indipendenza economica, trascurando il servizio culturale pubblico svolto per una comunità allargata e il contributo al rinnovamento di immagine offerto alla città di Belluno.
Si sarebbe potuta realizzare una rassegna più ridotta rispetto ai sei spettacoli annuali? Pensando alla cultura in termini di spot e non di consuetudine da coltivare, certamente.
Si sarebbe potuto aumentare il biglietto di ingresso? Pensando ad una cultura elitaria e non inclusiva, senz’altro. Perciò SlowMachine ha limitato la IX edizione di “Miraggi” ad un solo evento: “Infinita”, di Familie Flöz, il 6 aprile 2024. La compagnia invita il pubblico a partecipare come atto di resistenza culturale. Esserci è un dovere.