La luce blu di A. J. Weissbard di tanto in tanto tiepidamente si riscalda o si raffredda. Notte o giorno che sia, il tempo resta immobile, come lei, conficcata nella terra, ferma, a squadrare parole senza senso in un vivere statico e consumato.
Il volto di Winnie, bianco cadavere quasi, o maschera di teatro giapponese, con un trucco che comunque la aliena dall’umano. Ma lo spettacolo è tutto lì. Su quel volto. Che è quello di Adriana Asti.
L’attrice torna a “Giorni felici” di Samuel Beckett (1961) dopo quasi 25 anni, visto che nel 1985 la sua Winnie, infilata in una gigantesca clessidra e in lotta con il tempo e la sabbia che le sfuggivano sotto i piedi, fu diretta da Mario Missiroli. Questa versione del testo porta invece la firma di Bob Wilson, per una produzione della Change Performing Arts commissionata dal 52° Festival dei Due Mondi di Spoleto e Grand Théâtre de Luxembourg, e prodotto da CRT Artificio.
In uno dei primi interventi a commento dello spettacolo, l’attrice aveva dichiarato che in Winnie rivedeva sua madre “una signora interrata nel parquet del suo salotto. Parla incessantemente con un marito che invece legge il giornale e non l’ascolta. Di queste Winnie è pieno il mondo occidentale… sono lì, sepolte nel loro vuoto esistenziale e, per trovarle, non è necessario andare tanto lontano”.
Lei, invece, forse per reazione familiare o chissà, ha frequentato tutt’altro salotto, quello del teatro e del cinema mondiale, in perenne movimento. La sua grande passione per la recitazione l’ha portata a fianco di grandissimi, da Bernardo Bertolucci (di cui è stata anche moglie) a Strehler, da Visconti a Buñuel. E per la tv, tra gli altri, con Marco Tullio Giordana qualche anno fa ne “La meglio gioventù”.
Ha dato voce come doppiatrice a numerose attrici, anche italiane, per celebri pellicole. In verità è uno di quei personaggi che sono la storia della scena italiana dagli anni Sessanta ad oggi: difficile, quindi, aggiungere qualcosa ad un’opera senza tempo. Come senza tempo, di età indefinita, l’esatto opposto di quella di Missiroli, è la Winnie di Wilson. Un archetipo universale che la Asti interpreta con dedizione straordinaria. Gli occhi del pubblico sono tutti fissi sul suo volto, sui suoi occhi sgranati, sulle sue labbra truccate quasi da clown, Pierrot dell’incomunicabilità femminile.
Sul palco del Donizetti di Bergamo, teatro storico della scena nazionale, la intervistiamo al centro del palcoscenico, subito dopo lo spettacolo. Lei è seduta su una sedia, minuta, dopo esserci sembrata gigante in cima al vulcano che occupa la scena per tutto lo spettacolo. Sgrana gli occhi e celebra una storia di cui lei è protagonista. Infaticabile ed eterea, elegante signora del teatro, come sempre meno ce ne sono.