Dopo aver raccontato Arrivano dal mare, festival di teatro di figura che da poco si è concluso a Ravenna, cerchiamo oggi di immaginarne un altro, Incanti, che si svolgerà a Torino, in modalità assai particolari, ad ottobre.
Incanti da 27 anni propone non solo il meglio del teatro di figura italiano ma compie escursioni importanti in tutto il mondo.
Ne parliamo con il suo direttore artistico, Alberto Jona, della compagnia Controluce, una delle poche compagini che in Italia si esprime con la tecnica particolarissima delle ombre.
Incanti ad ottobre compie 27 anni. Raccontaci gli inizi.
Il festival è nato nel 1994 quasi come una scommessa e un gioco; era da poco nata Controluce, la nostra compagnia di teatro d’ombre, e ci siamo buttati con l’ardore dei trentenni in questa avventura: un festival per adulti di teatro di figura. Furono tre serate con quattro spettacoli in tutto, al Teatrino del Castello di Rivoli. Ebbe un’eco sulla stampa favoloso, intere pagine, interviste, recensioni. L’allora direttore del Museo del Cinema fu il nostro pigmalione!
Dopo due anni ci spostammo al Teatro Juvarra, grazie a Sergio Martin che ne era il visionario direttore, e lì furono anni molto intensi, lo spazio era bello e agile, lavorammo in modo entusiasmante inventando e creando. Era una fucina: nel 2000 ad esempio ospitammo uno spettacolo di wayang kulit, il teatro d’ombre balinese, con tanto di orchestra Gamelan. Ricreammo la stessa situazione di Bali, il pubblico in piedi che poteva muoversi e vedere il Dalang (il maestro di cerimonia/narratore-cantante/manipolatore delle meravigliose sagome di pelle dipinta) da una parte o dall’altra dello schermo. E la fonte luminosa era proprio una grande lampada ad olio di cocco che ardeva in mezzo al teatro.
Ora sarebbe impossibile, come anche quell’eco sulla stampa…
In seguito il festival iniziò ad essere itinerante nella città, allo Juvarra, alla Cavallerizza, al Gobetti, si estendeva nel tessuto culturale di Torino. Sempre più grandi artisti internazionali arrivavano: Hoichi Okamoto, Neville Tranter, Frank Soehnle, Prasanna Rao, Stephen Mottram, Duda Paiva.
Nel 2006 la stagione dello Juvarra si concluse e ci spostammo al Teatro Vittoria come sede centrale per due anni e nel 2008 finalmente approdò alla Casa del Teatro Ragazzi, dove risiede ancora oggi.
Incanti ha sempre mantenuto negli anni un’attenzione particolare al teatro internazionale di ricerca con un occhio al mondo orientale, cercando di portare spettacoli che, diversamente, non si sarebbero visti in Italia. L’idea è stata quella di mostrare come il teatro di figura, che in Italia è stato per lungo tempo “relegato” a teatro per l’infanzia, avesse potenzialità immense e potesse affrontare qualsiasi tema con un potere immaginifico straordinario.
Come si è evoluto il festival negli anni?
Negli anni Incanti ha creato sempre più sinergie con altri festival italiani ed esteri così come con istituzioni torinesi, in primis il Museo Nazionale del Cinema, poi la Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani e il Teatro Stabile di Torino, e sempre di più ha sviluppato anche un altro aspetto importante per un festival: quello formativo. Laboratori, conferenze, workshop di teatro d’ombre dal 2000, e poi nel 2008 il Progetto Incanti Produce, un progetto formativo e produttivo di altissimo livello con registi di fama internazionale che lavorano con un piccolo gruppo di giovani artisti selezionati attraverso un bando internazionale, cui offriamo completa ospitalità a Torino, che preparano uno spettacolo che poi debutterà ad Incanti: tra i maestri ospiti del PIP ci sono stati Neville Tranter, Frank Soehnle, Agnes Limbos, Giulio Molnar, Ines Pasic, Anna Ivanova… per fare solo qualche nome.
Altro progetto formativo da sottolineare è il Progetto Cantiere, diventato un percorso di accompagnamento e formazione per giovani compagnie emergenti di teatro di figura, che ha costituito una rete con altri festival e realtà italiane, come il Teatro del Buratto, il Teatro delle Briciole, il Teatro del Drago, il CTA di Gorizia, Is Mascareddas di Cagliari e il Teatro del Lavoro di Pinerolo.
Verso quali direzioni andate adesso?
Da alcuni anni Incanti ha scelto dei temi per ogni edizione con l’obiettivo di legarsi sempre di più alla contemporaneità, pur non abbandonando la tradizione. Nel triennio 2018-2020 il tema è stato il viaggio in senso lato, inteso come viaggio reale e fisico e immateriale, dal viaggio di Ulisse al viaggio dei migranti d’oggi.
Come vedi la situazione del teatro di figura in Italia rispetto anche ai molti stimoli che vengono dall’estero? Quali sono le personalità che ti sembrano più interessanti nel nostro Paese?
Credo che negli anni il teatro di figura italiano diventi sempre più sperimentale anche grazie a festival come Incanti, che hanno portato in Italia grandi maestri. Le nuove generazioni si stanno mettendo in gioco, ma anche alcuni maestri stanno lavorando in questa direzione. Fare nomi è sempre difficile, finisce che ci si accorge di aver dimenticato qualcuno.
Ricorderei comunque Marta Cuscunà, I Sacchi di Sabbia, il Teatro delle Apparizioni, Unterwasser, Zaches, Irene Vecchia per esempio, e se penso a maestri che sanno mettersi in discussione, il mio cuore batte per Gigio Brunello, Is Mascareddas e poi il “padre” del teatro di oggetti Giulio Molnar…
In che modo la tradizione si può confrontare con la contemporaneità?
E’ un tema che abbiamo dibattuto proprio in questi giorni grazie a UNIMA Italia, che ha organizzato una serie di incontri online per confrontarsi su tematiche varie tra cui proprio questa.
Si diceva che il teatro è metafora e mito, e non può non raccontare giocoforza la contemporaneità.
Come? A mio avviso, non è mettendo una mascherina in volto a Fagiolino che possiamo dirci contemporanei. Credo che legarsi al tempo presente voglia dire “giocare” con attenzione, parsimonia, forza e leggerezza la carta della metafora. Il teatro di figura può alludere, suggerire anche con ironia.
Posso fare un esempio che non viene dal mondo delle figure ma che mi sembra molto eclatante? Penso alla scena dell’Autodafé del Don Carlo di Verdi, con la regia di Robert Carsen, regista canadese a mio avviso per molti aspetti geniale, che ha aperto la stagione del Teatro La Fenice di Venezia l’anno scorso.
È un momento centrale dell’opera, gli eretici che vengono portati al rogo, lo scontro Filippo II e Don Carlo, padre e figlio, il tutto dominato dalla presenza ingombrante e asfissiante del potere religioso.
Premesso che Carsen sposta l’opera in un tempo contemporaneo ma senza connotati storici specifici, alla fine della scena – quando sembra ricompattarsi il tutto – protagonisti e coro si dirigono allo spettacolo atroce dell’Autodofè, Carsen fa inginocchiare gli eretici, incappucciati, mentre un gruppo di uomini in abito talare nero toglie loro i cappucci e punta una pistola alla nuca.
Ecco, quella immagine fulminea, perché l’atto si chiude repentinamente con questa scena, ha una forza dirompente perché produce a catena nella nostra mente una serie di associazioni di idee e rimanda a immagini che abbiamo visto su giornali, televisione e social.
Questo per me è un esempio di come il teatro possa suggerire, alludere, confrontarsi con la contemporaneità.
Non c’è bisogno quindi di mettere il Covid in scena, ma c’è bisogno di aprire file nella mente del pubblico per farlo pensare, anche ridendo. I temi della tradizione sono attuali: l’amore, la morte, la paura, il denaro, il tradimento, la diversità… quei miti della tradizione possono essere raccontati in modo diverso per farci scoprire altri punti di vista, un po’ come i personaggi bidimesionali del romanzo “Flatlandia” di Abbot, quando vengono sollevati in aria e scoprono l’esistenza di una terza dimensione.
Come vedi il rapporto fra teatro di figura e web?
Di primo acchito sembra difficile far dialogare linguaggi così lontani: il teatro da una parte, dove empatia, condivisione, vicinanza, fisicità sono elementi fondanti, e dall’altra il web, cioè il virtuale, la distanza, la dimensione asettica e il game.
Tuttavia credo che si debba imparare a confrontarsi con il web, e provare a usare i nuovi strumenti nel modo migliore. Come, non lo so. Stiamo vivendo un cambiamento radicale e abbiamo bisogno di metabolizzare e di tempo per rielaborare. Ma, come in altre occasioni, sono sicuro che il teatro alla fine fa i conti con il presente e quindi lo farà anche con il web. Forse si devono analizzare e capire i meccanismi fondanti di questo linguaggio, la struttura sottesa, e con questi fare i conti. Certamente questo rapporto non può limitarsi solo a mandare in streaming degli spettacoli di teatro di figura.
Quali sono i Paesi che ti sembrano più all’avanguardia nel teatro di figura?
All’estero il teatro di figura è da tantissimi anni un teatro di ricerca e sperimentazione. Incanti è nato nel 1994 come un festival essenzialmente per adulti, e quindi ha sempre guardato con grande interesse a tutto quello che accade oltralpe. Trovo interessante in questo momento la Spagna, ad esempio, per il coraggio nell’affrontare tematiche forti e attuali, ma in genere trovo il teatro di figura estero molto libero e stimolante, con una grande diversità di caratteri: quello tedesco sembra discendere come immaginario da un momento primigenio fortemente espressionista, mentre i paesi mediterranei hanno introiettato e fanno tuttora i conti con il classicismo.
Quest’anno Incanti avrebbe dovuto essere assai vario geograficamente, con compagnie giovani ma molto interessanti da Spagna, Polonia, Bulgaria, Croazia, Belgio, Giappone e ovviamente Italia. Vedremo…
Come ipotizzate la prossima edizione?
Abbiamo deciso comunque di realizzarla, almeno tentare di farla con tutte le nostre forze. Per quest’anno “speciale” ipotizziamo un festival ridotto ma costruito su un periodo più lungo, una sorta di mini-stagione, grazie all’appoggio della Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani che ci ospita da 12 anni: un momento iniziale e una serie di appuntamenti mensili.
Ma questa è una ipotesi, intanto abbiamo deciso di lanciare una “call” sui social, Incontra Incanti, rivolta a pubblico ed artisti, per provare a discutere insieme come immaginare quest’edizione. Credo che in questo momento sia fondamentale un rapporto stretto con il pubblico da una parte e le compagnie dall’altra; tutto sta cambiando, e continuo a pensare che sarà un cambiamento in qualche modo strutturale.
Il teatro di figura ha potenzialità inesauribili anche solo tecniche. Credo che le limitazioni con cui dobbiamo confrontarci debbano diventare un elemento propulsivo e non uno stop invalicabile; uno stimolo da aggirare per reinventarsi. Pensiamo anche solo banalmente come il teatro di figura in qualche modo abbia già una serie di espedienti e regole che rispettano il distanziamento sociale (termine che non amo però utilizzare) o ricordano la scomoda mascherina: l’artista solo in baracca o sulla scena; il costume dei marionettisti del teatro bunraku, per fare due esempi banali.
Non voglio dire che adesso tutti gli spettacoli devono essere per un solo animatore o con tutti vestiti di nero con sotto la mascherina, o ancora dietro un telo per le ombre che funge da mascherina gigante, per carità… ma che il teatro di figura, molto più di quello di parola, convive da sempre con problematiche tecniche complesse e talvolta anche faticose (ad esempio il teatro nero), e quindi ha tutta la capacità e la potenzialità per metabolizzare e rielaborare le sfide che arrivano.
Negli appuntamenti online con pubblico ed artisti di giugno si parla di tutto questo e di altro ancora, della possibilità e senso delle attività online (workshop, laboratori, incontri) a partire dall’esperienza e dai punti di vista di tutti. Anche perché talvolta si ha la sensazione che noi ci mettiamo con passione online, cantiamo, recitiamo, leggiamo e lanciamo appelli, ma dobbiamo chiederci se dall’altra parte c’è qualcuno ad ascoltarci…
Con Incontra Incanti si vuole provare a capire queste nuove circostanze e trovare sinergie per ripensare il festival in questo periodo “speciale”.
Controluce è una delle poche formazioni che, in Italia, si esprime con le ombre. Quali sono le qualità di questa particolare forma d’arte?
Controluce è nato poco prima di Incanti, ed è stato fondato da Corallina De Maria, Jenaro Melendrez Chas e il sottoscritto; dopo tanti anni il gruppo è ancora coeso e produce. Amiamo il mondo dell’ombra che per noi ha a che fare con il profondo, l’onirico e l’inconscio. Per Controluce l’ombra non parla: effimera e volatile si sposa con la musica e con i sogni, di cui ha la stessa natura.
Avete in mente nuovi spettacoli?
Sì, certo. In campo operistico (dal 2013 ci dedichiamo anche alla regia d’opera che utilizza cantanti e ombre sul palco in dialogo perenne) è in “pentola” un debutto verdiano a cui teniamo molto. Nuove produzioni? C’è lo spettacolo per bambini “I canti dell’albero”, che ha debuttato a MITO Settembre Musica nel settembre 2019 e, per cause di forza maggiore, si è fermato; e poi un nuovo lavoro che parte da un romanzo molto intrigante di uno scrittore torinese che ci è particolarmente caro, e che sta lentamente nascendo e speriamo si possa realizzare presto, ma di più non dico per scaramanzia!