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Alla fine arriva l’Odin Teatret e in Salento è festa

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L'Odin Teatret a Carpignano Salentino (photo: Marco Conoci)|L'Ave Maria di Barba

L'Ave Maria di Barba
L’Ave Maria di Barba

E alla fine arriva l’Odin. E le onde dei due mari tornano finalmente a mescolarsi per onorare i 50 anni di vita della compagnia danese.

Entro come spettatrice attiva della rassegna I mari della vita: da Mediterraneo al Mare del Nord attraverso il portone di un palazzo del centro storico di Lecce. Sul fondo del cortile in pietra una nicchia è allestita per Memoria. L’arredo prevede un pannello davanti al quale sono sistemate due sedie fronte al pubblico e un tavolino da té con una lampada. Un’altra lampada ospita appeso un orsetto vestito da bambola…

Else Marie Laukvik
(co-fondatrice dell’Odin Teatret insieme a Eugenio Barba) e Frans Winther (membro della compagnia dal 1987) attraversano la piccola platea ed entrano in questo salottino tutto dedicato al rammemorare.

Uno spettacolo da ‘camera’ recita il flyer, per non più di 40 spettatori. Una camera minuta che voce e musica espandono oltre il presente nei racconti di Moshe e Stella. Prima una e poi l’altra ascoltiamo la storia di due bambini sopravvissuti alla Shoah.
Lui che resiste a Mathausen nel ricordo dei canti del suo rabbino e nella Festa delle Luci celebrata attorno ad una scarpa.
Lei che resiste per nove mesi in una botola solo per poter tornare al suo villaggio. Prima il sollievo della liberazione e poi il delirio nel rivivere con la mente l’orrore… Un’altra forma del ricordare che uccide oltre il tempo.

La narrazione è tutta affidata alla voce e al gesto ma anche a fisarmonica e violini. Il té versato in sintonia con la musica. Le braccia conserte a dire la paura e il freddo dei campi che arriva tutto e commuove. Il ditino alzato a percepirne lo stupore ma anche l’allerta e la denuncia. E ad alternare i quadri canzoni yiddish e melodie composte per la rappresentazione.
Le due anime bambine entrano in essa da un libro dedicato al peso e al dovere della ‘memoria’: “Racconti chassidici dell’Olocausto” di Yaffa Eliach. E infatti questo lavoro, del 1990, è dedicato alla memoria di Hans Meyer (al mondo noto come Jean Améry) e di Primo Levi, che da quel peso sono stati schiacciati. Le loro foto compaiono alla fine quando l’attrice (stupenda nei suoi straordinari settant’anni) volta il paravento e chiama quell’’iconismo’ che è cifra chiave (insieme a molte altre) del teatrare dell’Odin Teatret. Il che accade mentre la memoria (quella dello spettatore) sta ancora elaborando la morte per annegamento di un pelouche vestito da nazista…

Esco dal palazzo ancora emozionata per questo primo incontro ravvicinato con un frammento di storia del teatro e sono indecisa se recarmi o meno ai Cantieri Teatrali Koreja, eccellente padrone di casa per questa prima settimana di festeggiamenti.
Elaborare questo tipo di incontri infatti chiede tempo, ma non intendo sottrarmi al ‘concerto d’attrice’ che sta per andare in scena nella sala di via Dorso.

È “Bianca come il gelsomino”, con Iben Nagel Rasmussen, la prima ad essersi unita alla compagnia dopo l’arrivo a Holstebro.
Un altro tipo di narrazione, dove il biografico attorale è ancora più radicato e teso verso la tecnica, produce quella che potrebbe forse definirsi un’autobiografia in tre atti alla ricerca della voce. E in questa ricerca la storia dell’Odin dal 1966 ad ora. L’uso della voce in una sala chiusa (al servizio del ‘mondo di dentro’). L’uso della voce nel teatro di strada o di piazza (al servizio del ‘mondo di fuori’). L’uso della voce al servizio del significato.
Tre ‘epoche del teatrare’ nella relazione attrice-regista ma anche attrice-mondo e quindi attrice-vita. L’andare oltre la lingua madre – che è qui anche la lingua della madre – nella ricerca della verità attorale. L’allenamento sul mare e la rivelazione quasi casuale del baratto (non lontano da qui a Carpignano Salentino) come dimensione entro cui far maturare l’‘altro teatro’. E infine il ritorno alla parola poetica del padre con una voce che assomiglia molto a quella della madre…

Per “Ave Maria. La morte si sente sola”, con Julia Varley, è ancora un’altra dimensione ad accoglierci: non solo quella evocativa e celebrativa (quasi un requiem) ma anche quella cerimoniale. E infatti il sottotitolo di questo lavoro del 2012 è “Una cerimonia per l’attrice cilena María Cánepa”.
L’officiante di questo rito, molto quotidiano ma anche non ordinario, è la Morte in una ‘fiesta de los muertos’, che tiene insieme lo humor britannico dell’attrice (quella agente) e la fantasia creativa dell’altra attrice (quella per la quale viene celebrata): un po’ Mr Peanut – l’impertinente maschera-teschio che veste i panni di un uomo in nero e poi quelli di una massaia in rosso ancheggiante al ritmo della Penguin Café Orchestra –, un po’ dolente figura femminile vestita di rosso ma velata di nero, e finanche ‘madonna-scheletro’ con il bambino a salutare (‘ave’) l’amica perduta, in un inseguirsi di simboli che definiscono pienamente l’ecumenismo teatrale odiniano.

L’Odin Teatret a Carpignano Salentino (photo: Marco Conoci)

La prima settimana di Odin in Salento si è conclusa con il densissimo ‘baratto-concerto’ coordinato da Kai Bredholt (attore dell’Odin dal 1990), a saggiare quel ‘teatro della reciprocità’ di cui si fa qui promotore insieme a Sofía Monsalve, Elena Floris, Erika Sanchez. Un ideale che si propone come un servizio alla comunità, per fare in modo che universi anche distanti al suo interno finiscano per incontrarsi.

I numerosi spettatori raccolti nel cortile di Koreja (riaperto al pubblico dopo molti anni) hanno assistito ad alcuni frammenti narrativi portati in scena dai partecipanti al seminario Il Ponte dei Venti, che hanno condiviso lo spazio con i locali ‘tangueri’ e danzatori ma anche con il coro della chiesa e la banda musicale già coinvolti dal Banchetto di poesia e musica svoltosi a Borgo Pace durante la permanenza dell’ensemble nel quartiere. Un progetto già attivato con ‘Cercasi Poesia’ che ha registrato, nel corso dei mesi estivi, i pensieri e i racconti dei residenti. Molti di loro presenti anche in quest’occasione a riascoltare le proprie voci.

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