In prima nazionale al Litta di Milano, il dramma dell’invidia di Salieri per Mozart, in un monologo liberamente ispirato a Shaffer
Inchiodato a una sedia. Con l’impossibilità di alzarsi. Condannato al silenzio e alla solitudine. Mai più protagonista: solo eterno spettatore immobile di uno spettacolo cancellato. Dev’essere questo il contrappasso per un artista malato d’egolatria e narcisismo, talento dimezzato e inespresso consumato da gelosia e livore.
“Amadeus”, monologo di e con Corrado d’Elia, di scena in prima nazionale al Teatro Litta di Milano, s’ispira al testo del 1978 del drammaturgo inglese Peter Shaffer. A sua volta ispirato a un dramma di Puškin del 1830, “Amadeus” è la storia della feroce rivalità del compositore italiano Antonio Salieri (1750-1825), maestro di cappella presso la corte asburgica, verso il genio in erba di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791).
Un’invidia al contempo tragica e farsesca, che d’Elia racconta in flashback attraverso Salieri, in un resoconto privo di riferimenti storici, eppure di una verità sconcertante per quella che è la dimensione stessa dell’arte, fatta di riferimenti, confronti, gerarchie. Con selezioni che possono determinare fortune e rovine.
Antonio Salieri, compositore di origini venete, ottenne un discreto successo a Vienna alla corte di Giuseppe II, imperatore d’Austria. Dedicò la sua vita e i suoi talenti a Dio per ottenere fama, reputazione e il favore del monarca. La sua compostezza fu scossa quando Mozart, enfant prodige di Salisburgo, giunse nella capitale austriaca a rubargli la scena. Salieri non avrebbe mai messo in dubbio il talento di Mozart. Tuttavia, ne sarebbe diventato follemente geloso. Secondo una leggenda rielaborata da Shaffer, egli avrebbe progettato di rovinare la carriera di Mozart, di cui avrebbe causato la morte per avvelenamento.
Il Salieri di d’Elia è una figura satanica e orgogliosa umiliata da Mozart. È protagonista e narratore di una parabola che illustra il peccato dell’invidia nella sua molteplicità. Ma la sua atrocità morale non ne cancella l’onestà intellettuale. Egli non può evitare di mettersi a nudo, riconoscendo i propri limiti. Non può negare tuttavia il talento di Mozart, da cui si confessa affascinato. Ma forse ammettere la propria colpa è solo l’altra parte del contrappasso.
Davanti a Salieri c’è Mozart, compositore geniale, qui presentato in un gioco di specchi come giovane rozzo e volgare. Questo Mozart cesellato con tecnica a sbalzo, è solo vittima della perfidia umana, smarrito nel subdolo mondo della politica di corte, troppo candido per riconoscere in Salieri il nemico più pericoloso. D’Elia ne disegna la vita e ne rappresenta l’arte, in un trasporto lucidamente onirico. Vita e arte sono sublimazione in cui le note musicali si mescolano ai giochi, i virtuosismi ai lazzi infantili preservati fino all’età adulta. Di Mozart, questo Salieri-d’Elia indaga il genio, gli enigmi e le contraddizioni. Ne dipinge la versatilità, capace di trasfigurare in capolavoro ogni genere musicale del passato.
La scena disegnata da Chiara Salvucci è una camera anecoica. È una sorta di bunker rivestito di 168 cunei, che creano lo spazio per il silenzio. Anche questa è la nemesi cui è condannato Salieri, dolorosissima per chi ha vissuto una vita interamente consacrata alla musica. Quei cunei sembrano aculei, i denti di un pescecane. Sono letto di Procuste e supplizio di chiodi. Tale è lo squarcio nell’anima di Salieri, che racconta nella sua livrea settecentesca, come settecentesca è la poltrona su cui siede, da cui in nessun modo riesce a sollevarsi.
La narrazione è avvolgente. È un aviatore, d’Elia. Pochissimi come lui sono capaci di condurre lo spettatore in uno spazio tridimensionale, semplicemente restando seduto.
Qui l’attore rende magnificamente l’humus spirituale di un’epoca, le atmosfere sontuose della Vienna di fine Settecento, quell’ambiente nobiliare e colto. E poi le pieghe di due anime artistiche diversamente in pena: l’eclettismo solitario di Mozart, in perenne crisi economica; l’ipocondria di Salieri, condannato a negare il talento del rivale nell’atto stesso in cui ne resta annichilito.
Ripercorriamo la parabola di Mozart attraverso i ricordi in analessi di Salieri, dai primi componimenti infantili al “Ratto dal serraglio”. E ancora, “Le nozze di Figaro”, “Don Giovanni”, “Il flauto magico”. Fino al tragico “Requiem”, capolavoro (e supplizio) rimasto incompiuto.
Niente orpelli per questo spettacolo. Solo poche arie musicali sfumate, tracce evanescenti di un’arte visionaria in perenne metamorfosi. E poi le luci tenui diffuse sullo sfondo da Francesca Brancaccio, varie tonalità di bianco, di grigio e di rosso. Sono i colori della narrazione. Sono, prima di tutto, le gradazioni del teatro e di un’epoca lontana e mitologica.
Le luci scolpiscono anche il protagonista in scena, i suoi occhi pervasi dal sacro furore dell’arte, la gamma variegata dei suoi sentimenti.
Questo Salieri è somma di tutti gli ossimori: il talento e la follia; la salvezza e l’agonia; la devozione e l’astio; l’allegria e l’empietà.
L’intimo desiderio dell’estasi stigmatizza un senso di vuoto e inanità. L’impotenza degenera in delirio. Più Salieri detesta il successo di Mozart, più rimane incatenato alla sua arte, architettura impalpabile tracciata da cori celesti.
Inebriato, pervaso dal fuoco del teatro, d’Elia ci restituisce l’eco di una storia consumata dal tempo. Il monologo è mix di sentimenti contrastanti. La narrazione è febbrile. La parrucca non nasconde le ombre e le luci del viso. La biacca non maschera rughe e smorfie. La musica è il sottofondo di risate puerili e isteriche, di guaiti e sproloqui, di spasimi e torpori, che fanno da contrappunto a minuziose analisi di critica musicale.
Le parole sono snocciolate come in trance. Il bene e il male sono shakerati in un miscuglio in cui, senza travestimenti o trucchi, il protagonista è simultaneamente Jekyll e Hyde.
Anche per questo gli applausi finali si moltiplicano. L’omaggio coinvolge l’attore in scena e l’artista narrato, la drammaturgia e la grandezza imponderabile del genio, il deliquio dell’arte e della bellezza. E infine, lo smarrimento con cui misuriamo la distanza tra ciò che siamo e ciò che avremmo desiderato essere.
AMADEUS
Liberamente ispirato all’opera teatrale “Amadeus” di Peter Shaffer
con Corrado d’Elia
drammaturgia e regia Corrado d’Elia
scene e grafica Chiara Salvucci
assistente alla regia Marco Rodio
tecnico luci Francesca Brancaccio
tecnico audio Stefano Mancini
produzione Compagnia Corrado d’Elia
organizzazione Afra de Santi
Prima nazionale
durata: 1h 15’
applausi del pubblico: 4’
Visto a Milano, Teatro Litta, il 14 dicembre 2023
Prima nazionale