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Amelia Rosselli torna alla ribalta nel teatro di ricerca

Elena Bucci in Se resistere dipende dal cuore (ph: Luca Concas)

Elena Bucci in Se resistere dipende dal cuore (ph: Luca Concas)

Da Silvia Costa a Elena Bucci le performance che indagano la figura della poetessa e musicista

E’ all’incirca il 1961 quando Amelia Rosselli, grazie a Sylvano Bussotti, entra in contatto con Carmelo Bene. All’epoca non era ancora nota nella veste di poetessa ma in quella di musicista sperimentale, brillante organicista, interessata all’etnomusicologia e avviata nell’alveo della musica dodecafonica. Comincia in questi termini la collaborazione con Bene, prima nel “Pinocchio”, poi nella seconda edizione dello “Spettacolo-concerto Majakovskij”.
Rispetto a quest’ultima, la Rosselli descrive così la sua partecipazione: «Lui declamerà, e io suonerò, mi muoverò in continuazione e reciterò cambiando costume quasi venti volte per serata. Pianoforte, tamburi, gong, buffi strumenti di legno, chitarra ecc» (dall’epistolario a John Rosselli, 21 giugno 1962, ora in S. De March – S. Giovannuzzi, “Cronologia”, in A. Rosselli, “L’opera poetica”, Milano, Mondadori, 2012, p. LXXX).

L’approccio della Rosselli alla scena teatrale passa quindi attraverso l’avanguardia più esposta. Tuttavia gli omaggi a lei dedicati, isolati fino alla sua collocazione tra i Meridiani Mondadori nel 2012 e più diffusi in seguito, si attenevano a codici più convenzionali, capaci ad ogni modo di una meritata divulgazione: sulla soglia del nostro millennio è stato forse il lucano Ulderico Pesce il primo a consegnare un ritratto della Nostra in “Contadini del Sud”, interpolando la biografia e l’opera della donna con quelle del suo più importante amore, Rocco Scotellaro; nel 2021 si è arrivati ad un prodotto mainstream come “Un’ultima cosa”, di e con Concita Di Gregorio, diretta da Teresa Ludovico e accompagnata dalle musica di Erica Mou. Negli ultimi anni, tuttavia, qualcosa di allineato ai linguaggi espressivi prediletti dalla Rosselli è apparso.

Nel 2019 a Bologna Xing/Raum ha ospitato e prodotto “Midnight Snack”, azione performativa di Silvia Costa, consegnata alla sua ultima riproduzione proprio quest’anno a Metz all’interno del Festival Passages e tuttavia oggi ancora visibile su Vimeo. Gli spettatori venivano invitati, a mezzanotte, ad entrare in una stanza, affollando l’ambiente in cui Silvia Costa, in un grottesco abito borghese di carta, apparentemente solido ma in realtà fragilissimo, si sarebbe mossa tra le varie presenze, a distanza ravvicinata. Un cartello stradale decapitato a terra, indicante via F.lli Rosselli, suggeriva l’oblio e la vanificazione del sacrificio dei due martiri antifascisti. Nella stanza, anche le sagome di una cucina: una sedia, una tv catodica e forno e fornelli con cui prepararsi lo snack del titolo. Presente anche la consolle di Claudio Rocchetti, che dal vivo curava l’ambientazione musicale, passando da note di pianoforte a suoni più industriali e tesi. L’azione performativa intendeva riprodurre «un’intensificazione di azioni e trame che si accendono quando tutto intorno tace e dovrebbe riposare», rievocando l’insonnia che attanagliava Amelia e che diventa emblema di quell’inquietudine impaziente che agita la sensibilità artistica.

In un’intervista rilasciata ad Exibart, Silvia Costa dichiarava di entrare in relazione con la materia letteraria scelta come spunto per i suoi processi creativi «tradendola e dimenticandola»; e definiva “Midnight snack” «un’affamata pulsione adolescenziale che si nutre saccheggiando selvaggiamente la cattedrale poetica eretta da Amelia Rosselli».
Ci si può quindi sentire autorizzati a leggere in quest’opera una rielaborazione tridimensionale del sostrato poetico di partenza in un’allegoria dell’attività creativa tout court: sembra, infatti, che Silvia Costa abbia guardato alla vicenda e alla scrittura della Rosselli mettendo forse in rilievo delle affinità con l’indole e la sensibilità del proprio essere artista. Nella performance si percepiva di essere di fronte ad un personaggio scosso dai segnali e dagli urti del mondo, impossibili da ignorare e necessariamente tradotti in suoni ed immagini. Lo “snack di mezzanotte”, a cui rinvia il titolo, si concretizzava in un pesce, fresco e crudo, con cui la Costa aspergeva il pubblico oppure che cullava o che finiva con il calpestare: il simbolo cristologico per eccellenza era al tempo stesso il traslato più appropriato della poesia e di ogni risultato creativo, nutrimento personale offerto in una condivisione che possa schiudere spiragli di consapevolezza anche ad altri.

Ma non c’è salvezza risolutiva in questo fare. La performer alternava posture di concentrazione e preghiera a gesti di violenza ed escandescenza, persino simulando di schiantarsi contro il muro. L’ansia che sta alla base della composizione artistica si rivela un rovello che non tace, nemmeno dopo la creazione, soprattutto se generata dalle contraddizioni irrazionali ed insolubili che caratterizzano anche il nostro periodo storico in una misura forse più somigliante di altri al contesto storico della Rosselli.
Le frizioni che ci circondano, mescolando timori e delusioni, impotenza e frustrazione, esulano talmente tanto dalle magnifiche sorti e progressive o dalla soglia minima del rispetto di ciò che in noi è umano da mettere in discussione la supposta razionalità che governa le logiche del mondo e lo statuto di chi non riesce ad accettarle, spesso etichettato come malato o disadattato o eversivo. La figura interpretata da Silvia Costa era l’esempio perfetto di questo violento schematismo e la follia indotta o assimilata dalla realtà doveva essere fronteggiata con delle pillole.
Un merito da riconoscere all’interprete e regista è quindi quello di aver accennato alla natura di sintomo della malattia mentale che ha connotato la figura della Rosselli in termini a volte mitizzanti, a volte commiseranti.
Verso la conclusione dell’azione, prevalentemente performativa, si inserivano le parole della Rosselli: dapprima si innestava la sua stessa voce attraverso gli estratti di alcune registrazioni, mentre la performer mimava l’interpretazione in playback, poi la Costa concludeva lo spettacolo e la sua stessa identificazione dando essa voce ad una lirica; in entrambi i casi, i versi si ripetevano a loop, perseguendo un effetto paranoico.

La scelta dei testi concorreva in modo originale a mettere a fuoco alcune evocazioni: una sequenza di “Se sinistramente ti vidi” da “Documento” insiste sul carattere apparentemente adolescenziale di un’impossibile resa all’adattamento, nutrita invece da una fedeltà incoercibile ad un nucleo valoriale profondo e coerente; alcune immagini tratte da “Note che sorgono abissali dalle frange” di “Serie ospedaliera” alludevano alla convergenza tra impulso creativo e insonnia e alla corrispondenza tra l’opera artistica e un nutrimento da preparare; infine, E accomodandosi tutto lei piangeva, disperatina, di nuovo da Serie ospedaliera, con un marcato accento surreale, metteva in rilievo una volta in più la vocazione metamorfica della scrittura della Rosselli e quindi del processo artistico, ispirato dall’ansia di tradurre in forme altre il reale, anche a costo della propria estromissione dal mondo.

Restando nell’ambito del teatro di ricerca, chi preferisse approfondire la figura dell’autrice in modo più ampio e aderente alla sua biografia e alla produzione letteraria, può trarre soddisfazione da “Se resistere dipende dal cuore, ascoltando Amelia Rosselli”, di e con Elena Bucci e Luigi Ceccarelli.
Si tratta di una produzione di Nuova Consonanza, Edison Studio, Le Belle Bandiere, che aveva già debuttato nel dicembre 2022 nel contesto del 59° Festival di Nuova Consonanza, musica e movimento al Mattatoio di Roma, e che è stato riproposto nel cartellone del Ravenna Festival di quest’anno, dove lo abbiamo visto.

Rispetto a “Midnight snack”, lo spettacolo ha un impianto ben diverso e una differente cifra sperimentale, applicata più miratamente alla resa acustica in una misura che annulla ogni altra esigenza scenografica.
In scena, Elena Bucci attraversa una scrittura magmatica declinata prevalentemente in prima persona, in cui si interpolano elementi biografici, sequenze di versi estratti da più di una raccolta, considerazioni estetiche ed esistenziali: un lavoro che è evidentemente il frutto di una documentazione ampia e meticolosa, che non ha trascurato nessun territorio della vicenda dell’autrice.

La Bucci dà prova delle sue note doti attraverso un excursus di volumi, toni e timbri molto variegato ed estremo, che da una parte rinvia all’interesse musicale della Rosselli e alla qualità musicale della sua scrittura, dall’altra ricorda proprio la ricerca espressiva di Carmelo Bene.

Accanto a lei Ceccarelli, nella sua consolle digitale, processa la voce e altri suoni elettronici in diretta, componendo una partitura in cui suono e dettato si condizionano vicendevolmente. Alla voce della Bucci, capace anche di simulare la ‘r’ moscia della Nostra, si sovrappone quella della Rosselli, riprodotta attraverso registrazioni raccolte dallo stesso Ceccarelli, quando nel 1984 collaborava con la coreografa Lucia Latour per uno spettacolo di danza la cui colonna sonora era costituita dalle letture dei testi della poetessa, conosciuta personalmente in questa circostanza.

Il ritratto è a tutto tondo, a nostro avviso eccessivamente puntuale, come se gli autori intendessero sfidare un pubblico di rossellisti (così vengono definiti gli studiosi che se ne occupano); ne consegue un effetto di ridondanza che, sforata l’ora di durata, comincia a disturbare e limita le potenzialità liriche, evocative e provocatorie dell’universo rosselliano.

Inoltre, l’asse narrativo non procede in ordine cronologico e, per chi non è un cultore della poetessa, la mancanza di linearità rende un po’ difficile la tenuta complessiva del quadro. E’ un percorso che in ogni caso coinvolge, sia per la densa e mobile atmosfera sonora, sia perché si è chiamati in causa in alcuni passaggi in cui il discorso assume le forme di un dialogo e pare che quel “tu” a cui sono poste domande indichi proprio noi.
Non mancano infatti, nel complesso, diverse sollecitazioni allo spettatore di riflessione sulla propria identità, sul presente e sul proprio sguardo su di esso: balza in rilievo, ad esempio, la caratterizzazione di una donna che, pur cercando disperatamente una qualche corrispondenza dei propri sentimenti, non intese ricadere nei doveri e nella routine del matrimonio per non dover sacrificare le proprie ambizioni artistiche.

Se il fascino della Rosselli è una tentazione irresistibile, schiaccianti possono apparire le sfide superlative che esso pone; chi le affronta si confronta col rischio di risultare non all’altezza della vibratilità dell’autrice. Eppure è importante che ciò non scoraggi e si trovi una prospettiva, magari circoscritta, attraverso la quale proporre un’approssimazione in consonanza con l’alterità che la Rosselli ha rappresentato e cercato. In linea con questo, si attende un nuovo debutto il 6 ottobre prossimo alla Fabbrica del Vapore di Milano: Irene Curto proporrà una interpretazione performativa di alcune sequenze del poemetto “La Libellula. Panegirico della Libertà”.

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