Paura, inazione, stallo. La volontà dell’uomo bloccata dallo sgomento è uno dei temi portanti dell’Amleto di Shakespeare. Essere, non essere, (mal) essere. Nella più celebre opera del Bardo la progettualità tende a spegnersi nell’inazione. Preferiamo tenerci i mali che abbiamo piuttosto che rischiarne altri sconosciuti.
Il pensiero produce la paralisi. La consapevolezza della condizione dell’uomo fragile, destinato alla morte, spinge alla rinuncia. Soffoca la motivazione a compiere azioni, anche nobili e grandiose.
Certamente in “Amleto?”, andato in scena allo Spazio Tertulliano di Milano, la regista Carmen Giordano diMacelleria Ettore ha voluto rappresentare due personalità, una maschile, l’altra femminile, profondamente malinconiche e predisposte all’inerzia. Qualcosa di più intimo, sentimentale, della tormentosa ansia e dell’inquietudine diffuse nella società europea alle soglie del Seicento. Qualcosa di più attuale, se Amleto e Ofelia sono due ombre nel buio, fantasmi di un amore perduto.
Il nero caratterizza questa messinscena che ha un senso perché ognuno veste la neutralità di questo spazio stantio dei propri colori e delle proprie luci. Ammesso che ci siano.
Il palco è vuoto. Gli attori sono distanti. Quando riempiono la distanza, anche il loro abbraccio, il loro amplesso, è epifania nichilista seppellita da una risata.
Il titolo, con quel punto interrogativo in evidenza, amplifica il tanto rinomato dilemma amletico.
Buio, urla. Spettri, silenzi: i mostri sono nell’anima. Gioco teatrale e metateatrale. In scena una donna e un uomo (Maura Pettorruso e Stefano Pietro Detassis) abitano uno spazio freddo: anime nude, perplesse. Un contatto fisico di abitudine e stanchezza. Parole centellinate, scandite nella noia.
Soli con se stessi, due vite alla prova, Ofelia e Amleto provano parti della tragedia. Ma qui la tragedia è la vita reale. Con una trama da costruire. E un epilogo da inventare.
Maura e Stefano, Ofelia e Amleto: due monadi, ombre che si fanno da specchio, un’identità inconsistente. Il confronto è un dialogo al buio. Le parole affiorano come bagliori estemporanei.
La scenografia è nelle luci disegnate da Alice Colla con la solita maestria. Sono flash estemporanei, ricordi a occhi chiusi. Sono scie che disegnano croci: rimarcano il conflitto, un finale di partita senza lieto fine. Gelosia, rabbia. Chiusura, resa, impotenza.
L’originale shakespeariano vive di pochi cenni, rare suggestioni a sancire la distanza siderale tra due anime disanimate. L’alba non è mai giorno, la notte comanda. Non ci sono musiche, solo riverberi occasionali, meno che mai armonia.
Amleto non decide, lascia che il pensiero accada. Ofelia si lascia invadere lentamente dalla consapevolezza. Alla fine conta i cadaveri della coscienza. E si lascia annegare. Forse.
Carmen Giordano radicalizza l’originalissima tecnica teatrale di Shakespeare, che consiste nell’inserire nella rappresentazione altre brevi rappresentazioni, con una precisa funzione nello svolgimento della vicenda. I protagonisti avvertono i limiti della propria relazione e li esplorano. Sul piano espressivo, il dialogo lapidario si muove con l’andatura di un cieco in uno spazio sterminato. Due soliloqui duettano. L’amore, come la vita, si consuma rapidamente. Ciò che era luce e sorriso si riduce all’orrore di un teschio.
Cinquanta minuti di teatro minimalista. Cenni di un Amleto introspettivo, da gustare a occhi chiusi. Per interrogarsi, ognuno per conto proprio. Per indagare il buio della nostra anima. O sorprenderci a contemplarne il colore.
AMLETO?
uno spettacolo di Macelleria Ettore
con: Maura Pettorruso e Stefano Pietro Detassis
testo e regia: Carmen Giordano
disegno luci: Alice Colla
organizzazione: Daniele Filosi
una produzione: TrentoSpettacoli
in coproduzione con E45 Napoli Teatro Festival 2013 | Fondazione Campania dei Festival e con il sostegno di ArTè Teatro Stabile di Innovazione, Orvieto | Torre dell’Acquedotto, Cusano Milanino | La Corte Ospitale, Rubiera
durata: 50’
applausi del pubblico: 1’
Visto a Milano, Spazio Tertulliano, il 5 dicembre 2014