“Ammaliata”, spettacolo vincitore del bando di produzione ETI – I Teatri del Sacro 2009, è un concerto di parole e di espressioni, di incubi e passioni.
Si inizia con tre vecchie megere, interpretate da uomini: pezzuole in testa e vestiti neri. Non è il Medioevo, non è l’Islam, è solo la nostra Italia di pochi anni fa. Oppure anche di oggi.
Le donne più giovani sono “ammaliate”, hanno il malocchio, sono colpite da avvenenza. Devono essere curate, guarite. Bisogna placare il loro fascino. E c’è anche l’uomo nero a completare il quadretto di credenze popolari.
Sei attori attingono dal loro bagaglio meridionale diventando un coro orchestrato da un regista, Giuseppe L. Bonifati, e accompagnato da un percussionista.
Queste figure si muovono negli spazi del Teatro Quirino di Roma, dove lo spettacolo è ospite della rassegna Autogestito. Spazi molto ampi, difficili da gestire, ma ben dominati da un impianto luci affascinante, che accentua le posture e le mosse dei protagonisti. Gli attori scavano nel proprio interno e lo buttano fuori, cantano in versi, urlano e si indignano.
La lingua del sud diventa musica. Musica dal mondo e da uno dei suoi ombelichi. La drammaturgia meridionale si mischia allora con l’antropologia culturale: analisi sulle credenze pagane, sul malocchio, sulla condizione della donna, su credenze ancora tanto diffuse, su un’Italia così lontana eppure così vicina.
“Fra le credulità greche ereditate dalla nostra società agricola e pastorale del passato, riconducibili al malocchio, vi è una forma particolare, molto diffusa nel meridione d’Italia, un po’ come tutte le pratiche superstiziose: il fàscino (dal latino fàscinum, malìa), dovuto allo sguardo involontario che colpisce una persona con una lode eccessiva o desiderosa – raccontano le note di regia – “Ammaliata” è l’appellativo col quale viene designata una persona che è stata colta dal fascino a motivo della sua avvenenza o semplicemente per invidia. Ciò è solitamente causa di malessere diffuso, spossatezza, inappetenza e alle volte febbre. Esistono formule di scongiuro in grado di placare tutto ciò. Queste consistono fondamentalmente nel recitare alcuni versi seguiti dal segno della croce e alcune preghiere, solitamente il padre nostro, l’avemaria e il gloria al padre”.
L’orchestra messa in scena dalla compagnia Divano Occidentale Orientale ha quei tempi giusti che esaltano la bravura degli attori. Per un Luigi Tabita grottesco, appassionato e tetro fanno da contraltare Fabio Pappacena e Maurizio Semeraro, che si muovono all’unisono. Calcano la scena a volte con astuzia, altre con goffaggine. E se da un lato donna Adele Tirante dona tocchi di femminilità, dall’altro l’ingenuità della giovane Roberta De Stefano ispira dolcezza. Ad ammaliare ci pensano i bicipiti neri di Neilson De Abreu Bispo Dos Santos.
Il sacro e la religione si mescolano alle credenze popolari. La lingua, un calabrese molto vicino alle sonorità dell’Alto Ionio, e quindi anche della Puglia, della Campania e della Basilicata, risuona fluida. Non si comprende tutto ma quasi.
Canti e litanie da tradizionali diventano hip hop, attraverso il ritmo della tammorra e delle congas. Ma se i suoni confondono, i canti rimangono popolari, ed è in questi canti che lo spettacolo trova la sua originalità e la sua crudele delicatezza, di poetico spaccato del Sud.
Ammaliata
drammaturgia e regia: Giuseppe L. Bonifati
con: Luigi Tabita, Fabio Pappacena, Maurizio Semeraro, Roberta De Stefano, Adele Tirante, Cheikh Tidiane Ndyae
percussioni: Antonio Merola
canzoni: Giuseppe L. Bonifati
disegno luci: Luca Migliaccio
tecnico: Giuseppe Falcone
durata: 47’
applausi del pubblico: 3’ 26’’
Visto a Roma, Teatro Quirino, il 30 maggio 2011