Una voce femminile, sensuale e profonda sorge dal buio della sala, le cui luci si sono da poco spente. Il pubblico viene avvolto dalle tenebre e accolto dalla profondità e dai toni ammalianti di parole che recitano una sorta di poesia futuristica, frammenti che ritorneranno nel corso di “Anatomia”, secondo appuntamento di Torinodanza 2019, giunto alla sua 32^ edizione.
Nel corso degli anni il festival ha accolto nella propria programmazione artisti italiani e stranieri affermati per sensibilità, estro creativo e stile a livello mondiale, tra cui ricordiamo Maurice Béjart, che ne fu anche direttore artistico, Angelin Preljocaj, Maguy Marin, Mats Ek, sempre alternati a proposte artistiche “nostrane”. Come è il caso della danzatrice Simona Bertozzi, il cui stile coreografico, sperimentale e contemporaneo, l’ha resa una delle artiste di punta della danza contemporanea italiana.
“Anatomia” ci porta a riflettere sul corpo, le sue potenzialità comunicative e il suo legame con il mondo sonoro. Lo spettacolo, ideato con la collaborazione di Enrico Pitozzi, debutta nel 2016. Si costituisce di sette brani sonori per altrettante aree anatomiche, parti fisiche del nostro corpo che nel quotidiano difficilmente nominiamo: Auricola, Nucleo ambiguo, Assone, Tendini, Ora serrata, Mirabile, Ipoderma. Il titolo della serata, “Anatomia”, si rivela sin da subito un acronimo che invita a riflettere sulla struttura compositiva e drammaturgica anticipando un percorso didattico che esamina la struttura corporea e alcune sue parti comunemente poco considerate.
Inginocchiati al centro della scena fanno capolino, illuminati da una fievole ma calda luce, un uomo e una donna: sono il musicista Francesco Giomi e la stessa Bertozzi, due essenze di un unico organismo, dove lei rappresenta l’essere naturale e biologico, lui la forza sonora e l’energia che lo animano. “Anatomia” nasce proprio dal loro incontro e dalla loro necessità di coesistere e completarsi.
La musica cerca di superare i propri limiti, tende a disfarsi destrutturandosi in suoni metallici che si librano nell’aria. E così il corpo della donna, che catalizza su di sé l’attenzione, avanza con movenze disarticolate, quasi come se lo scheletro lo avesse abbandonato. Dalle prime azioni sceniche emerge da subito una danza controllata dal centro, dove passi e gesti trovano la loro sorgente energetica non solo dall’ambiente sonoro, prodotto dal vivo, ma anche da contrazioni interne e scariche elettriche che dall’addome della performer si irradiano in tutte le direzioni. Nessuno sguardo viene rivolto verso l’esterno, non si ricerca l’approvazione del pubblico. Le interazioni, l’incontro degli sguardi, è solo tra i due artisti in scena. Assente è una qualsiasi forma di mimesi e di coinvolgimento emotivo: gli occhi degli interpreti sono assenti e concentrati sul loro agire individuale, producendo un’invisibile barriera che li separa dagli spettatori.
I due si incontrano contaminandosi e ispirandosi reciprocamente. Sorprende come la presenza di loro corpi, agenti simultanei separati nello spazio, inducano l’osservatore esterno a credere di essere in presenza di un assolo performativo. Danza e musica si fondono per raccontare il loro rapporto relazionale.
A spiazzare l’andamento della performance, nella sezione centrale della serata, la Bertozzi scompare e lascia spazio al suo doppio, più giovane e inesperto, interpretato dalla danzatrice Matilde Stefanini, che veste abiti simili a quelli della coreografa. Si esalta, con questa inaspettata sostituzione, la differente maturità biologica e performativa. Il suo ingresso non rompe la struttura drammaturgica ma anzi ne esalta la prima parte, ripercorrendo parte di quei codici coreografici che l’hanno composta. Emerge un sentire differente, una percezione del proprio essere se vogliamo… “immatura”. Una sostituzione, questa, che percuote e porta a riflettere sull’evoluzione fisica dei corpi, sulla naturale presa di coscienza che abbiamo di noi stessi nel corso della vita e sulla dissonanza che intercorre tra l’essere e l’apparire.
Quando la coreografa riemerge di nuovo sulla scena per costituire il triangolo dialogico che ci condurrà verso il finale, la percezione visiva rimane quella di essere in presenza di un assolo. Energia sonora e le due età dell’essere si fondono in un tutt’uno.
Una poetica espressiva eclettica, uno studio rigoroso del corpo biologico e di quello sonoro. Un piccolo capolavoro dei nostri tempi che propone una struttura narrativa quasi perfetta, infrangendosi solo nel finale. Le luci infatti, che ci hanno coccolato e accompagnato per tutto lo spettacolo, diventano improvvisamente fastidiose e invasive, il suono assorda e indispone l’ascolto. Rimasta sola la Bertozzi si spoglia dei propri abiti. Il suo agire viene deframmentato da luci lampeggianti. Svanisce la struttura coreografica di cui si esaltano solo brevi istanti. Il fluire dei movimenti viene completamente fatto a pezzi. Un finale “avanguardistico” che percuote e turba.
ANATOMIA
Coreografia Simona Bertozzi
Interpreti Simona Bertozzi, Matilde Stefanini
Musiche e live electronics Francesco Giomi
Voce Mirella Mastronardi
Visione teorico-compositiva Enrico Pitozzi
Progetto luci e set spazio Antonio Rinaldi
Produzione Compagnia Simona Bertozzi / Nexus 2016
Con il contributo di Mibact e Regione Emilia-Romagna
Residenze creative Teatro Rasi Ravenna
Con il sostegno di H(ABITA)T – Rete di Spazi per la Danza/Mousiké Bologna
durata: 60’
Visto a Torino, Teatro Gobetti, il 13 settembre 2019