“Can’t help falling in love”, cantava Elvis Presley sessant’anni fa adulterando la melodia di “Plaisir d’amour”, celebre romanza composta da Jean-Paul-Égide Martini nella Francia prerivoluzionaria.
La Rivoluzione Francese segnò per un breve periodo il trionfo degli umili balzati alla ribalta della storia. Essi rivendicavano il loro potere e provavano a liberarsi dalla penombra che li aveva intrappolati per secoli. Intanto le teste coronate dei nobili rovinavano nel baratro della damnatio memoriae.
Uno sguardo benevolo sugli ultimi caratterizza anche “And the colored girls say: doo da doo da doo da doo” di Elisabetta Consonni, bizzarra coreografia che ha aperto l’ultima settimana del Danae Festival. Ma qui, a differenza della Francia del 1789, non c’è nulla di animoso o cruento. Il titolo nasce dagli ultimi versi del brano di Lou Reed “Walking on the wild side”, galleria di figure emarginate la cui identità era ancora un tabù nell’America del 1972, data di uscita del disco. Si trattava di omosessuali, tossicodipendenti, travestiti, prostitute, verso cui si posava anche lo sguardo indulgente di Andy Warhol.
Elisabetta Consonni è una novità al festival curato da Teatro delle Moire. Ma uno spettacolo come il suo non poteva lasciare indifferenti i direttori artistici Alessandra De Santis e Attilio Nicoli Cristiani, da sempre avvezzi a “una passeggiata sul lato selvaggio”, sempre tesi a comprendere le realtà differenti e gli ambiti che sfuggono alle comuni regole sociali, senza risparmiare una sottile provocazione ai benpensanti.
“And the colored girls say: doo da doo da doo da doo” ha come protagonisti due coriste e un corista sullo sfondo di un concerto di Elvis Presley. “The king” qui è ridotto a una statuetta di 20 cm al centro del palco: i fari sono tutti puntati su di lui.
Sulle note della citata “Can’t help falling in love” affiorano appena nella penombra, in un angolo remoto della scena, tre figure dagli abiti neri e lustrati. Esse sono tuttavia capaci di carpire dal buio briciole di luce, residui dei riflettori puntati sulla star al centro, di bianco vestita.
La fama e l’oblio. Elisabetta Consonni, in scena con Susannah Iheme e Daniele Pennati, imposta la performance sul background dei cantanti d’accompagnamento, quelli di cui solitamente, durante un concerto o ascoltando un disco, neppure ci accorgiamo. La coreografa è attratta da queste figure secondarie. E allora “riduce a icona” la star e zooma sui comprimari. Asporta il quadro, e si focalizza sulla cornice. «È un concerto di voci non in capitolo, di seconde voci, comparse e sfondi. È uno show senza la star. Un’immagine senza l’oggetto messo a fuoco. È il bianco attorno alle parole scritte. È tutto quello che sta oltre una linea di margine e a cui non è dato entrare nella luminosa zona delle luci della ribalta»: così le note di regia.
“And the colored girls say: doo da doo da doo da doo” è elogio del margine. Baudelaire diceva che solo nella folla di una grande metropoli è possibile perdersi. Di un concerto (qui condensato in 45 minuti), del suo sfavillio di voci, strumenti, luci, colori, e pubblico festante, qui restano solo i movimenti nell’ombra dei coristi, i loro microfoni, i loro sguardi, le loro coreografie interattive, simmetriche, sgarrupate. Dei tre coristi apprezziamo i passi di danza ritmati, lo schioccare delle dita, le parole centellinate, gli acuti intermittenti, i cori a cappella avviati da musiche che non udiamo. E poi le coreografie perimetrali: gli scivolamenti, gli arti e i corpi flessi, i movimenti, a tempo come i tasti di un pianoforte. Un esercizio difficilissimo, perché per armonizzare i gesti a distanza, i performer devono tenere a mente le melodie delle canzoni di Elvis senza poterne ascoltare direttamente alcuna nota.
Ma in questo lavoro le relazioni contano più dei corpi. Elisabetta Consonni ribalta le gerarchie di potere. Offre una chance alla marginalità, che esprime il proprio carisma e talento in uno spazio periferico, dove figure isolate trovano quel po’ di centralità grazie ad alleanze, divertimento e solidarietà.
Non è vero che quando non si appare non si esiste: anzi si esiste più intensamente. È «il privilegio di poter assistere alla propria assenza» (Proust). In quest’eccentrico e divertente lavoro, Consonni (che come si legge in una sua stravagante biografia «coreografa tutto, essere umani e disumani, oggetti mobili e immobili, mappe, interstizi e gruppi vacanze spaziali. Tesse reti di relazioni, sottili e forti, come il vetro di zucchero») lancia un monito di autenticità e umiltà fondamentale nell’era dei social, dove conta l’apparire e l’essere è spesso menzogna.
AND THE COLORED GIRLS SAY: DOO DA DOO DA DOO DA DOO
idea e coreografia Elisabetta Consonni
con Daniele Pennati, Susannah Iheme / Masako Matsushita, Elisabetta Consonni
assistente alla coreografia Francesco Dalmasso
vocal coach Chiara Osella
ritmi e suoni Fabrizio Saiu
costumi Indetail_Lucia Sandrini
luci Irene Innocenti / Maria Virzì
produzione Teatro Grande di Brescia, Aiep-Ariella Vidach
col sostegno di Ilinx, theWorkRoom-Fattoria Vittadini
durata: 45’
applausi del pubblico: 2’ 30”
Visto a Milano, Teatro Out Off, il 19 ottobre 2021