Nuova produzione del Teatro Vascello di Roma: “Conservare il passato, preservando ciò che (non) è più vivo”
«In questa casa non aprire porte… non aprire le porte!» così Elettra esorta Crisotemide nell’opera di Hugo von Hofmannsthal. Sono le porte che mantengono chiuse e impenetrabili le stanze di un palazzo reale, di uno o più cuori palpitanti, di una o più menti che languono e soffrono. Di una famiglia, di così tante famiglie. “Tanta famiglia, e così poco simili” con istinti e inclinazioni feroci, una predisposizione occulta che riesce ad oltrepassare le maglie del tempo e dello spazio: Elettra viaggia attraverso i millenni, raccontando un po’ di quello che siamo noi ancora oggi.
Tutto questo è quello che sembra suggerire l’adattamento del testo di Hugo von Hofmannsthal, andato in scena al Teatro Vascello di Roma, dal 25 marzo al 3 aprile, con la regia di Andrea Baracco.
Il racconto è quello di una faida familiare ingenerata dall’uccisione del capostipite, Agamennone, figlio di Atreo, re di Micene, fratello di Menelao. Tre personaggi femminili abitano la scena, tre personalità frantumate che vivono nella doppiezza di una mortifera ambivalenza. Crisotemide vorrebbe raggiungere la serenità diventando moglie e madre, ma rappresenta la fragilità, il chiaroscuro, la zona grigia e intermedia posta tra la gioia e la morte, tra la volontà e l’inerzia. Elettra, sua sorella, incarna la sete di vendetta nel nome del suo essere figlia e orfana, fino a diventare spietata e sanguinaria. Clitennestra, donna astuta, femme fatale uxoricida, è madre e carnefice. Tre ruoli interpretati da Flaminia Cuzzoli, Carlotta Gamba e dalla superba Manuela Kustermann, inossidabile Clitennestra.
Il classicista britannico Oliver Taplin ha dichiarato che una delle funzioni di quest’ultima è quella di essere «la padrona della soglia», di regolare e permettere l’ingresso e l’uscita dei personaggi dalla reggia, avvalendosi della propria influenza per esercitare su di loro un forte potere.
Fluttuante, si manifesta Oreste, interpretato da un intenso ed espressivo Alessandro Pezzoli, il dead man walking, il fratello, il figlio che gli eventi hanno reso un killer invertebrato, un corpo nudo, freddo e spettrale, senza il dono della parola, un guscio senz’anima. Pallido, emaciato, calvo e sofferente si muove dentro e fuori la scena-reggia che Luca Brinchi e Daniele Spanò hanno concepito come uno spazio tridimensionale e trasparente, a metà tra una campana di vetro, anzi, di plastica, e un mattatoio. Non a caso Luca Ronconi con Gae Aulenti avevano concepito come una macelleria, un luogo di sangue e carne, la scenografia dell’Elektra di Strauss, presentata alla Scala di Milano negli anni Novanta, con la direzione musicale del maestro Giuseppe Sinopoli.
Il luogo che è stato costruito per la versione di Baracco ricorda un po’ anche un allestimento di realtà virtuale, dove ogni personaggio e ogni spettatore rischia di diventare l’avatar di sé stesso, un protagonista nel gioco delle parti di quella tragedia, un parente acquisito di quella famiglia.
“Tanta famiglia, e così poco simili”, nel sottotesto di questa battuta vibra un proverbio inglese che recita: “The nearer in kin, the less in kindness“. Un detto popolare che così può essere letteralmente tradotto: “Più stretta è la parentela, minore è la gentilezza”. Il gioco di parole amletico tra “kin” e “kind” accenna e rimanda ad una terza parola, “king“, un soggetto sottinteso, ovvero il re che è morto, il sovrano che è stato ammazzato.
Elettra, come Amleto, vive esclusivamente per vendicare la morte del padre, dialoga con Agamennone o meglio con il videowall, recita le poesie di Sylvia Plath, canta la sua canzone rock e disperata come una socia del “club dei 27”, come Janis Joplin, come Amy Winehouse, come Jean-Michel Basquiat.
Ma quanti spettri/paure/ombre/desideri si agitano in Elettra! Hugo von Hofmannsthal delinea il passaggio, i contorni di una realtà rinnovata mediante i quattro personaggi del suo testo. Lega insieme le dolorose memorie del passato con una forma di convivenza diversa, un disegno di comunità e di famiglia che soverchiano la tradizione; riscrive un’ipotesi di futuro esasperandola e scardina, contemporaneamente, il passato.
Distruggendo sua madre, Elettra cancellerà una parte di sé stessa per innescare una trasformazione culturale e per mettere in atto un modo diverso di concepire le relazioni, basate sulla philìa, sulle affinità elettive e su una effettiva comunanza di intenti. Nascere dallo stesso corpo o dalla stessa patria non sarà più un fattore necessario, né tantomeno sufficiente per la costruzione di una società. Scontrandosi con l’ordine sociale, la legge della natura, non piegandosi ai compromessi, per Elettra non può esserci altro epilogo che la morte. Elettra simboleggia quella stessa hýbris che aveva subito in precedenza, in un meccanismo ciclico di violenza in cui le colpe del passato si traducono in conseguenze negative sul presente. E la tragedia incarna il senso di verità profonda, “La frustrazione dell’uomo di fronte all’ambiguità del reale, dove giusto e ingiusto si confondono, e svaniscono le certezze della colpa e dell’innocenza” come scrive il grecista Dario Del Corno.
L’opera di Hofmannsthal non cede il passo all’usura del tempo e non invoca l’urgenza di un’operazione di upgrade, di innesti con i linguaggi della modernità, poiché è già attuale nella sua potenza universale. Qualunque scelta registica, dalle proiezioni in video alle citazioni o alla drammaturgia musicale, risulta essere legittima ma non indispensabile poiché Elettra è il frutto delle menti lucidissime e lungimiranti dei suoi autori (primo fra i due Sofocle, ovviamente) i quali hanno ben calibrato tutti i dettagli di un meccanismo perfetto di eternità e di scrittura per il teatro. Come una teca trasparente che custodisce in aeternum e continua a mostrare il corpo di una umanità morente, ad imperitura memoria.
ELETTRA, tanta famiglia e così poco simili
di Hugo Von Hofmannsthal
con Manuela Kustermann, Flaminia Cuzzoli, Carlotta Gamba, Alessandro Pezzali
scene Luca Brinchi e Daniele Spanò
costumi Marta Crisolini Malatesta
musiche originali Giacomo Vezzani
luci Javier Delle Monache
aiuto regia Maria Teresa Berardelli
adattamento e regia Andrea Baracco
produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello
con il patrocinio di Forum Austriaco di Roma
Visto a Roma, Teatro Vascello, il 26 marzo 2022
Prima nazionale