Sul volto di Marat, l’Andrea Chénier del Festival di Bregenz

André Chénier|Andrea Chénier|André Chénier|Andrea Cheniér
|||
Andrea Chénier
Il lago di Costanza al tramonto dell’André Chénier (photo: ©Bregenzer Festspiele / Karl Forster)

“Per l’ex inferno!
Ecco ancor della polvere
sulla testa di Marat!”

Giugno 1794. Parigi. In primo piano, tra i tavoli del Caffè Hottot, un ‘altare’ dedicato a Marat, il cui busto poggia su un piedistallo coperto dalle scritte dei motti della rivoluzione francese.
Il secondo atto dell’opera di Umberto Giordano, “Andrea Chénier”, si apre così: con l’immagine di un uomo che spolvera la testa di Jean-Paul Marat.
E proprio da questa immagine il regista Keith Warner e lo scenografo David Fielding prendono spunto per l’allestimento della loro versione di “Andrea Chénier” per il Festival di Bregenz.

La nuova produzione, pensata per il grande palcoscenico adagiato sulle acque del Lago di Costanza, è stata la protagonista del festival di quest’anno e verrà riproposta nella prossima estate 2012.
Un’enorme scultura del corpo di Marat, ricostruito secondo il celebre ritratto di Jacques-Louis David, emerge dall’acqua davanti ad una platea di 6800 posti. La costruzione, alta 24 metri, è costituita dal busto ferito – con tanto di coltello – dalla testa china, completamente accessibile, di 14 metri di altezza e circa 60 tonnellate di peso, e dalla mano che tiene stretta una lettera proprio come nel quadro.
Una scura scala metallica si arrampica su per il corpo di Marat, salendo dall’acqua fino all’occhio destro e fornendo lo spazio d’azione privilegiato soprattutto per i movimenti delle masse. Una piattaforma costruita come libro aperto degli scritti di Andrea Chénier e una cornice dorata completano la scenografia, utilizzata in ogni sua parte da cantanti, coro, figuranti e acrobati. In sintesi: a Bregenz paiono non esserci limiti. Ingegno, tecnologia e abilità tecnica sono le vere protagoniste.

André Chénier
Photo: ©Bregenzer Festspiele / Karl Forster

Come spiega il direttore artistico David Pountney, fin dal 1946, quando c’erano ancora solo due barconi ormeggiati sul lago, uno per le strutture del palco e uno per l’orchestra, l’intento con cui vengono allestiti gli spettacoli è quello di proporre idee interessanti in un ‘formato popolare’. Ma la caratteristica, a dir il vero sorprendente abituati a certi discorsi italiani, è che il termine ‘popolare’ non è sinonimo di bassa qualità artistica. La particolarità del luogo è che ha leggi proprie, e tutti, compreso il pubblico che lo frequenta, le conoscono e accettano.
Qui un turista neofita come un esperto (ed ecco il ‘popolare’) hanno modo di esser soddisfatti.
Qui non ci si stupisce se l’orchestra non è mai assolutamente visibile se non grazie a due schermi, non ci si accanisce contro l’uso di microfoni e amplificazioni acustiche che modificano la naturale purezza del suono dei cantanti. Perché il Festival di Bregenz ha un modo tutto suo di accostarsi al suono.

Nel 2006 l’acoustic designer Wolfgang Fritz, insieme all’intero reparto acustico, ha vinto l’Opus, un importante premio del teatro tedesco, grazie al progetto del Soundsystem BOA (Bregenz Open Acoustics). Questo sistema specifico di raccolta e amplificazione del suono diventa un elemento drammaturgico in più, che può essere utilizzato per la messa in scena di un’opera. Un elemento che il direttore d’orchestra Ulf Schirmer conosce bene e che gli ha permesso di sviluppare una vera e propria ‘opera nell’opera’ in questo allestimento di “Andrea Chénier”. In accordo col regista Keith Warner, che ha voluto raccontare i personaggi “presi sulla scia distruttiva del loro tempo”, dando corpo a quella rivoluzione tanto evocata nel libretto ma mai messa in musica da Giordano, viene operata una scelta: tra la fine del primo atto e l’inizio del secondo, così come tra il terzo e il quarto, vengono inserite delle musiche registrate che il compositore britannico David Blake ha composto per l’occasione. Un’opera nell’opera che non cerca assolutamente di simulare la musica di Giordano, ma tenta di essere vero e proprio elemento di rottura, un elemento in più, l’esplicitazione di quegli atti rivoluzionari violenti che Illica e Giordano avevano fatto semplicemente intuire senza raccontarli direttamente. E così, come in un film d’azione, ad un tratto il corpo di Marat è invaso da rivoluzionari dagli abiti insanguinati; qualcuno cade in acqua (anche con spettacolari tuffi), gli invitati della Contessa scappano, e a casa Coigny non torna l’allegria ma divampa la violenza e il terrore. Il pubblico, prevalentemente tedesco e austriaco, pare apprezzare l’aggiunta, che lecita o meno, di certo pone di fronte ad una possibilità.

Andrea Cheniér
Héctor Sandoval è André Chénier (photo: ©Bregenzer Festspiele / Karl Forster)

Nonostante cantanti e coro siano piuttosto agili nel sbucare e cantare in bilico ora da un occhio, ora dalla bocca, ora da una piccola finestrella ricavata nel manico del coltello a 20 metri d’altezza, l’azione maggiormente spettacolare è affidata al gruppo di acrobati AiRealistic, grazie ai quali spesso vengono a crearsi immagini suggestive, come quella del finale.
Sulla sinistra Chénier e Maddalena vanno sicuri incontro alla morte, muovendosi sul ‘palco-diario’ degli scritti del poeta, tra una piccola foresta di grandi lettere disposte nello spazio a creare la parola Liberté, per arrivare ad un tratto a staccarle da terra e lanciarle in acqua, ormai certi che l’unica libertà che trionferà sulla morte sarà quella del loro amore. Sulla destra invece, la condannata Legray risale dalle acque in cui era stata lanciata, attraversa l’intero corpo di Marat per arrivare in cima, dove uno strettissimo trampolino la fa avanzare verso il centro della cornice dorata, mentre una lama d’acqua le cade improvvisamente d’avanti a chiudere l’ovale del telaio. L’immagine di questa donna immobile sospesa davanti alla pioggia d’acqua, che sembra dominare l’intero lago, è davvero forte, peccato sia poi smorzata dalla proiezione di una falce insanguinata.

La morte è personificata e sempre presente durante tutta l’opera. Il pubblico entra con questa figura che si aggira per la scena, l’opera inizia al suono dei tre colpi che essa infligge al terreno con la  propria falce, e la ritroveremo sempre, anche su una piccola barca che traghetterà da un lato all’altro della scenografia i personaggi.

I costumi di Constance Hoffman, molto elaborati in forme, colori e rimandi tra Settecento e moderna alta moda, rendono il contrasto tra la vacuità delle chiacchiere della Contessa Coigny e dei suoi amici, espressa in abiti larghi, vaporosi, dai colori frivoli e dai copricapi grotteschi, e “l’intensità profonda e appassionata dei tre protagonisti” e di tutti quei personaggi che realmente fanno la rivoluzione, vestiti in modo molto più realistico e concreto.

André Chénier
Photo: ©Bregenzer Festspiele / Karl Forster

La produzione sulla Seebühne è spettacolare e, nonostante alcuni eccessi qua e là, coinvolge e rende accessibile e comprensibile l’opera di Giordano. L’onestà di una messa in scena che risponde perfettamente alle caratteristiche richieste di grandiosità e immediato coinvolgimento le rende merito.

Ma la politica del Festival di Bregenz, in cui le istituzioni austriache credono profondamente, e che arriva a creare un ritorno pari a quattro volte l’investimento iniziale, è da sempre quella di produrre un’opera popolare sul lago e un’opera sconosciuta nella Festspielhaus. E non solo. Ogni anno il festival propone nuove creazioni, nuove opere commissionate a compositori contemporanei, o opere dimenticate, allestite non solo nelle sale dello splendido e tecnologico edificio che si erge alle spalle del palco galleggiante, ma anche in piccoli teatri e piazze della città.
Ci sono i focus sulle opere di compositori contemporanei (in quest’edizione la compositrice e librettista inglese Judith Weir,) o la serie di concerti a tema, o ancora la rassegna di spettacoli di prosa, affidati quest’anno al Deutsches Theater di Berlino, con due messe in scene del regista austriaco Martin Kušej. Per non parlare della splendida sezione “Art of our Times”, in cui confluiscono performance assolutamente diverse tra loro, da quella del Complaints Choir inventato dai finlandesi Tellervo Kalleinen e Oliver Kochta-Kalleinen, al lavoro “Home Work” dell’artista François Sarhan, compositore, visual artist e regista francese che ha recentemente collaborato con William Kentridge in “Telegrams from the Nose”. E poi, ancora, la parte dedicata alle arti contemporanee, con la danza di Richard Siegal, o l’ensemble belga Ictus con “The Wayward” del compositore americano Harry Partch, famoso per la continua invenzione di nuovi strumenti. Infine un programma dedicato ai più giovani, con workshop e visite guidate, dall’azzeccato titolo Crossculture.
E mentre nella Kunsthaus, il museo d’arte contemporanea di Bregenz, è visibile la mostra di Ai Weiwei, che supporta la causa dell’artista cinese, un pensiero scorre nella testa: nella capitale del Vorarlberg attraversare la cultura è cosa buona e giusta.

André Chénier
Opera in four acts by Umberto Giordano
Music: Umberto Giordano
Libretto: Luigi Illica
Director: Keith Warner
Set designer: David Fielding
Acoustic designer: Wolfgang Fritz
Costumes: Constance Hoffman
durata: 2h

Visto al Festival di Bregenz, Austria, il 18 agosto 2011

0 replies on “Sul volto di Marat, l’Andrea Chénier del Festival di Bregenz”