Con la fine di settembre molte stagioni teatrali ripartono. Anche Milano non sfugge alla regola, e se molte sono le conferme alla guida delle direzioni artistiche, c’è anche qualche novità. Di una, quella di Corrado d’Elia alle Manifatture Teatrali Milanesi, dopo 18 anni di Teatro Libero, Klp vi ha già parlato.
Oggi tocca al Teatro Verdi, struttura gestita dal Teatro del Buratto, che ha affidato il timone della storica sala di via Pastrengo al trentasettenne Andrea Lisco, organizzatore teatrale ma anche regista, avendo firmato diversi spettacoli: da “Girotondo” di Schnitzler (2000) a “Paragrafo 175” (2005), da “Cena con Gramsci” (2007) di Davide Daolmi, sino al recente “Cielo in una pancia”, monologo comico scritto da Francesca Sangalli ed interpretato da Alessandra Faiella su commissione del Festival delle Lettere di Milano.
In ambito organizzativo anche lui è passato dal Teatro Libero di Milano (2003 – 2007), per poi proseguire con il Teatro Olmetto e il Teatro della Cooperativa (2008 – 2014).
Lo abbiamo incontrato per capire l’impianto della sua nuova, e prima, stagione al Verdi.
Innanzitutto perché il titolo “Occhiali da vicino”?
Non è una mia idea. Stavo lavorando alla nuova programmazione incentrata su piccole storie, microcosmi, storie di prossimità, come mi piace dire, e parlando con Sara Novarese e Angelo Pisani (uno dei protagonisti del cartellone), è venuta fuori l’immagine degli occhiali ‘da vicino’.
Guardare ‘da vicino’ non è meno faticoso dello sforzo che siamo chiamati a fare per guardare lontano. Focalizzare ciò che ci è vicino è altrettanto difficile, altrettanto ambizioso e importante. Perciò non possiamo affrontare la miopia sul futuro senza affrontare la presbiopia sul presente; non possiamo cogliere la complessità dei grandi problemi globali senza soffermarci su ciò che accade nelle nostre case, nella cerchia delle nostre relazioni, dall’altra parte del nostro pianerottolo o nel nostro quartiere.
Credo che l’osservazione analitica e critica del presente sia l’impresa più coraggiosa che si possa intraprendere, perché il ‘presente prossimo’ è sfocato, cronicamente soffocato fra la nostalgia del passato e l’anelito al futuro.
Il ”vicino” invece è troppo presente, impellente, pressante, esistente per limitarsi a provare buoni sentimenti da lontano. Per questo sento un profondo disagio fra la nominale adesione ai “Je suis” di turno e il crescente populismo del “Je m’en fou”. In entrambi i casi ci resta nel sangue una sorta di antistaminico dell’empatia che è, a mio parere, il vero elemento di crisi della nostra epoca. È la ragione per la quale credo nel teatro come strumento di riequilibrio, pacificazione e rivoluzione, a patto che sappia emozionare.
Come mai, però, l’immagine simbolo della stagione è rivolta ad un orizzonte che appare lontano?
Guardare lontano è l’obiettivo. Tra le parole e l’obiettivo, c’è l’inizio. L’inizio di ogni singolo fatto. Piccolo o enorme. Avevo bisogno di un’immagine che potesse sintetizzare, con la straordinaria immediatezza di un fotogramma, questo concetto: partire dal ‘vicino’ per sfondare l’orizzonte.
Così, grazie alla magia dell’incontro che il teatro sa innescare, ho scoperto il progetto Quattr’occhi sul Mondo di Max Laudadio, noto inviato di “Striscia la Notizia” e, a mia insaputa, straordinario fotografo, che ha fatto dello sguardo attraverso gli occhiali e le sue lenti un elemento di ricerca estetica originale, colorata e decisamente pop.
Quali sono le linee principali che ti hanno ispirato per organizzare questa tua prima stagione al Verdi?
La focale dei nostri ‘occhiali da vicino’ non poteva che essere la drammaturgia contemporanea, soprattutto italiana, con autori capaci di raccontare storie importanti attraverso una lente analitica e, nello stesso tempo, nitidamente pop.
Così sul palco del Verdi convergeranno le parole di autori come Edoardo Erba, Francesca Sangalli, Angela Dematté, Irene Lamponi, Rosario Palazzolo, Shi Yang Shi, Marinella Anaclerio, Angelo Pisani, Chiara Boscaro e Marco Di Stefano della Confraternita del Chianti.
Ci tenevo poi a mantenere una relazione con la vocazione principale del Teatro del Buratto, che da oltre quarant’anni parallelamente alla gestione del Verdi svolge un ruolo di primo piano nell’offerta culturale rivolta a ragazzi e famiglie. Con titoli come “La lavatrice del cuore” con Maria Amelia Monti, “Il cielo in una pancia” con Alessandra Faiella, “Tropicana” del Teatro della Tosse, la nuova produzione del Buratto “Lo sai che i papà-veri”… ho voluto inserire una filigrana sui temi della famiglia, del rapporto genitori/figli e sulle nuove genitorialità.
C’è un altro elemento che è servito da setaccio nella scelta di questi 23 spettacoli, forse il più importante: il Verdi, che fin dalla sua prima stagione del 76/77 si è caratterizzato per una continua ricerca di nuovi linguaggi e inedite espressioni artistiche, non poteva esimersi da una riflessione sul significato di ‘ricerca’ oggi. La mia risposta è parziale (ovviamente) e provocatoria: la ‘ricerca’ più impellente oggi, è quella del pubblico. Un obiettivo molto ambizioso, soprattutto se ‘ricercare il pubblico’ non vuol dire assecondarlo secondo un meccanismo di appagamento imposto dal mercato, ma ricerca di un’alleanza che presuppone il principio di mimesi e fiducia. L’alleanza sta nella ricerca di linguaggi comuni che riducano la distanza tra palco e platea. Così, per tornare al principio, il teatro può essere vicino, guardare ed essere guardato ‘da vicino’.
Ti sei interrogato sulla sua posizione a Milano, nel quartiere Isola?
Certamente. La relazione fra spazio e contesto socio-urbano è imprescindibile. Programmazione di qualità e capacità di costruire attorno al proprio spazio progettualità aperte alla cittadinanza sono, a mio parere, i binari sui quali si deve muovere il futuro dei teatri.
Oggi più che mai stiamo scoprendo quanto sia importante fare in modo che il teatro non sia percepito solo come un luogo di fruizione culturale ma anche di occasione sociale. Guardo perciò con grande interesse ed ammirazione tutte quelle progettualità, soprattutto europee, che ‘usano’ il media teatro per innescare meccanismi di osservazione e coinvolgimento diretto della comunità: penso a Rimini Protokoll, al progetto “Home visit Europe”, al Take Over Festival di York o alla più vicina esperienza del Kilowatt Festival a Sansepolcro.
Il quartiere Isola è al centro di un interessantissimo processo di cambiamento del quale, al momento, percepiamo la parte più estetica: il contrasto fra architetture in palese stile futurista e antiche case di ringhiera, fra le trasparenze degli uffici bancari e le insegne di legno delle piccole botteghe artigiane. Mi chiedo però quali mutamenti, positivi o negativi, stiano avvenendo nella percezione dell’Io sociale rispetto alla città. Usare il teatro per entrare nella vita delle persone e conoscere le loro storie lo colloco fra i progetti ambiziosi del Verdi. Poi ci sono progetti più ‘piccoli’, più a breve termine, nei quali, ancora una volta, il teatro può innescare un cambiamento concreto, questa volta urbano: sto lavorando ad un progetto di riqualificazione del sottopassaggio verso via Pepe che dal Passante di Porta Garibaldi conduce proprio in via Pastrengo e nel cuore di Isola. L’obiettivo è che le grandi pareti ora anonime e infestate di annunci erotici diventino, grazie alla collaborazione di writer e creativi, una sorta di ‘corridoio vasariano’ nel quale siano rappresentate quelle realtà culturali, associative e ricreative che è possibile incontrare pochi metri più su: le Fonderie Napoleoniche, la Stecca, Zona K, il Blue Note, il Verdi e la Sala Fontana, solo per citarne alcune.
Su questa ed altre idee abbiamo bisogno del sostegno del Municipio 9; viste le premesse del nuovo presidente, Giuseppe Lardieri, che ha dimostrato un forte legame con il Verdi e una forte sensibilità sui temi culturali, sono certo che sapremo realizzare cose sempre più importanti.
Ci sono collaborazioni con altre strutture o festival?
Si, moltissime. A partire dalla stretta progettualità con il Teatro Tieffe Menotti, che nel mese di gennaio sarà al Verdi con un corposo festival di narrazioni e contaminazioni; mentre il Teatro del Buratto, per il secondo anno, presenterà parte della propria rassegna per ragazzi e famiglie presso la sede di via Menotti: un modo per rafforzare ancora una volta il progetto Milano Città Teatro dei Bambini.
C’è poi la collaborazione con il Festival delle Lettere, che dopo dieci anni torna al Verdi, da dove era partito, e porterà sul nostro palco artisti del calibro di Vinicio Capossela, Pacifico, Levante, Gigio Alberti, Vinicio Marchioni, Milena Mancini, Maria Di Biase, Rita Pelusio e molti altri.
Con il Filodrammatici, che sento vicino per l’importante ricerca sulla drammatrurgia contemporanea e che stimo per l’impeccabile lavoro di promozione, collaboreremo sul progetto che porterà per la prima volta in Italia due testi di Annie Baker, premio Pulitzer 2014.
Ovviamente non mancherà il Festival Segnali, che da anni portiamo avanti con gli amici del Teatro Sala Fontana. Infine la rete ‘informale’ che con il Festival Incanti di Torino, le Briciole di Parma e altri importanti interlocutori stiamo cercando di costruire per rafforzare le ospitalità internazionali legate al teatro di figura.
A questo proposito, il festival IF è stato uno dei fiori all’occhiello del Verdi. Come hai intenzione di continuare?
Il teatro di figura è un linguaggio che non conoscevo così bene; grazie anche agli stimoli arrivati dall’interno (Silvio Oggioni e il direttore generale Franco Spadavecchia su tutti) me ne sono innamorato subito. IF quest’anno è alla sua decima edizione e si rafforza con una serie di workshop. La rassegna si è aperta il 7 ottobre con “Il Cavaliere Inesistente” di Italo Calvino, produzione Gioco Vita. Il Comune è stato ed è l’unico sostenitore di un festival che rappresenta un unicuum nella nostra città; l’internazionalizzazione di Milano passa anche da questi progetti e da questi investimenti culturali.
Tra le compagnie ospiti (tutte in prima nazionale) il maestro Stephen Mottram, che è appena stato a Torino a Incanti, sarà a Milano con il suo incredibile “The seas of organillo”, la Merlin Puppet Theatre con “Clown’s Houses”, oltre a “Fly Butterfly”, storica produzione del Buratto, in scena grazie a giovani animatori che hanno seguito un importante progetto nel Salento.
A maggio infine è previsto lo spettacolo “Crinkled two lives – folded, wrinkled, crumpled” della compagnia Fab Theatre di Alice Therese Gottschalk.
Come trovi la situazione della drammaturgia italiana contemporanea?
Sulla drammaturgia contemporanea italiana non posso che concordare con Elio De Capitani e Ferdinando Bruni, che nel corso dell’ultima conferenza stampa dell’Elfo Puccini hanno evidenziato una sorta di ‘primavera’ dei nostri giovani autori.
E sull’allargamento ad un pubblico più giovane?
In un momento in cui si parla moltissimo di audience development e della necessità di allargare il perimetro del pubblico, io mi sento nel posto giusto perché il lavoro che il Buratto fa sulle nuove generazioni di spettatori ha qualcosa di magico. Nella scorsa stagione la più grande emozione è stata vedere il Verdi (così come gli altri spazi gestiti dal Buratto) sempre gremito di giovani, soprattutto adolescenti che, come si sa, è la fascia di pubblico più ‘difficile’ e necessaria in un’ottica di sopravvivenza culturale. Il ‘progetto giovani’ coordinato da Renata Coluccini sulle nuove dipendenze è uno dei fiori all’occhiello che percorrerà tutta la stagione per le scuole del Verdi, con qualche divagazione serale. Spero che molte famiglie possano cogliere l’occasione di venire insieme a teatro e di condividere secondo me un’esperienza davvero unica.