Lo sguardo di Andrea Pennacchi si allunga davanti a sé, lontano, verso l’orizzonte, mentre ci accompagna tra le pieghe di “Da qui alla luna”, dello scrittore padovano Matteo Righetto – già autore di romanzi come “La pelle dell’orso”, da cui è stato tratto l’omonimo film con Marco Paolini e altri titoli di successo come “La trilogia della Patria”, tradotto in diversi Paesi.
I suoi occhi sembrano raggiungere la cima di una montagna e poi ancora su, nel cielo, da dove poco più di un anno fa è sopraggiunta Vaia, la tempesta che ha colpito con violenza e senza pietà la montagna nord orientale, “madre di tutte le pianure”. La tempesta che, nell’arco di poche ore, ha fatto schiantare a terra abeti rossi, pini e larici che erano rimasti in piedi per secoli: 16 milioni di alberi. Un numero impressionante, difficile da immaginare. Per rendere l’idea, i giornali hanno raccontato che, mettendo in fila uno dietro l’altro ogni albero abbattuto, si potrebbe coprire grossomodo la distanza dalla terra alla luna.
Succede tutto alla fine di ottobre 2018. È un crescendo di pioggia, vento, frane, fiumi fuori controllo, smottamenti. In soli due giorni cadono 715 millimetri di acqua. Il peggio arriva il 29 ottobre, quando si alza un vento eccezionale che colpisce ancora e ancora l’Agordino e l’Altopiano di Asiago, ferendo la montagna per chilometri e chilometri. Gli alberi vengono spezzati, sradicati, disseminati a terra. Mentre prosegue il suo corso, Vaia lascia la montagna livida, dolorante, e tanta disperazione tra gli abitanti. Un lutto ecologico e sociale enorme, visibile ancora oggi nei grandi vuoti neri che macchiano la montagna.
Righetto scrive “Da qui alla luna” pensando subito al teatro come mezzo più efficace per raccontare questa vicenda e far risuonare la gravità di un collasso ecologico e culturale globale che sta sempre più accelerando il passo.
Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile del Veneto, con la regia di Giorgio Sangati, ha debuttato a Padova lo scorso novembre aprendo la stagione del teatro Verdi e sarà nuovamente in scena questa domenica, 26 gennaio, al Teatro Quirino de Giorgio di Vigonza, sempre in provincia di Padova.
La narrazione e l’interpretazione degli avvenimenti sono affidate ad Andrea Pennacchi, attore padovano di lunga data e molto amato dal pubblico locale, che ultimamente si è fatto conoscere al grande pubblico grazie al personaggio del Poiana ospitato in tv, nel programma Propaganda Live.
Ad affiancare Pennacchi sul palco c’è Andrea Gobbo, cantante e compositore, e autore insieme a Carlo Carcano delle musiche originali e della drammaturgia musicale, non ultima l’orchestra di Padova e del Veneto diretta da Lorenzo Pagliei.
La drammaturgia è infatti un racconto corale costruito su una partitura di parole e musica, potente e originale. Un intreccio che avvolge, e che in un attimo scaraventa dentro la tragedia.
La parola neutra, asciutta, impersonale e dettagliata della cronaca – alla Paolini all’epoca del Vajont – narra fedelmente i fatti meteorologici, scandendo i giorni e le ore del disastro: il caldo e l’afa eccezionali, l’incendio, la pioggia, l’allerta meteo, la tempesta.
Tra la narrazione degli avvenimenti si inserisce il dialetto veneto, che disegna il primo paesaggio sonoro di questo lavoro. È la lingua schietta, pittoresca, vivace – che Pennacchi calza a pennello – dei tre personaggi della vicenda, che hanno fissato la loro dimora e radicato le loro esistenze su quella montagna: c’è Paolo, un ragazzino di 12 anni che odia la matematica e sogna di diventare un campione di biathlon. Silvestro è invece un uomo dalla tempra forgiata dalla montagna che fa il stagionale alle sciovie del Civetta; è burbero, brontola, sembra avercela con il mondo, specie con quello di “Roma” e di certo non le manda a dire, ma sarà pronto a rimboccarsi le maniche per spalare il fango, ripulire i boschi e riparare i tetti delle case che sono volati via. Infine Agata, la vecia, rimasta vedova già da tempo, con il fazzoletto in testa e il cuore, come lo sguardo, pieno di timori, presentimenti, malinconie e qualche speranza. Tre personaggi letterari ma verosimili con cui il pubblico entra facilmente in empatia. Tre monologhi che attingono dalla vita quotidiana di piccole comunità montane che stanno via via scomparendo.
La musica è l’altra grande interprete e il segno distintivo di questo spettacolo, il luogo d’incontro con la natura. Da un lato le canzoni e le melodie originali cantate e suonate da Giorgio Gobbo con la chitarra creano una confidenza stretta con il paesaggio, il “tono familiare”. La canzone accoglie aghi di pino e fiori, legna e camini, pane e resina, volpi e notti chiare. Pennella di colore e poesia la lingua dei personaggi, vestendola di tradizioni e memoria, di miti e leggende, di sentimenti e sogni. Dall’altro, nella semioscurità nel fondo del palco, arriva l’orchestra con la sua grande forza evocativa. Un’orchestra di soli archi che dà voce ai sentimenti e agli umori della natura. Violini e viole, violoncelli e contrabbassi danno la parola al bosco, agli alberi spezzati, alla tempesta e alla montagna conferendo a ognuno un’identità. I suoni e i rumori si inseguono e si confondono narrando un paesaggio forte, “un intero mondo” allo stesso tempo fragile. Quella fragilità che è anche nostra, e di cui ci dimentichiamo credendo di essere invincibili. Ma se non lo è la montagna come potrebbe esserlo l’uomo, sembra volerci dire Righetto.
La scena di Alberto Nonnato, pressoché spoglia, esprime tutta la sua forza narrativa nella sola presenza di ceppi d’abete provenienti dai boschi devastati dalla tempesta che, sparsi sul palco qui e là, diventano la traccia eloquente di una tragedia che sembra appena accaduta.
La volontà del progetto è infatti mantenere viva la memoria di quel che è successo e portare a riflettere sul nostro rapporto con l’ambiente e la natura, un legame sempre più lacerato, che dobbiamo prenderci il compito di riparare.
Da qui alla luna
di Matteo Righetto
con Andrea Pennacchi e Giorgio Gobbo
e con l’Orchestra di Padova e del Veneto diretta da Lorenzo Pagliei
regia Giorgio Sangati
musiche originali e drammaturgia musicale di Carlo Carcano e Giorgio Gobbo
musiche orchestrali di Carlo Carcano
assistente alla regia Nicolò Sordo
scene Alberto Nonnato
luci Paolo Pollo Rodighiero
collaborazioni costumi Barbara Odorizzi
produzione Teatro Stabile del Veneto
durata: 1h 10
Visto a Padova, Teatro Verdi, l’8 novembre 2019