Ci sono esperienze che valgono il mestiere. Una di queste è avere un vis-à-vis con la carriera, la storia e l’arte di Andrei Konchalovsky. L’occasione è stata la prima mondiale del suo “Zio Vanja – scene di vita di campagna”, ospitato a fine 2009 all’interno della ricca stagione del Teatro Franco Parenti di Milano.
Il celebre regista russo lavora all’arte scenica e drammaturgica dagli anni Sessanta, e raggiunge la fama mondiale a fine anni Settanta con il cinema (“Siberiade”, 1979, vince il premio speciale della giuria a Cannes).
Dopo il trasferimento negli Usa l’anno seguente, arrivano successi mondiali come “A trenta secondi dalla fine” (1985), “Duet for One” (1986), “Tango & Cash” (1989), prima di tornare in Russia e girare nel 1991 “Il proiezionista”.
Konchalovsky ha però sempre portato avanti il doppio binario teatrale e negli ultimi anni il tempo della scena gli è parso ideale per ripensare ad alcuni maestri del teatro. L’interesse verso la mescolanza di toni realistici e dimensione onirica, con cui ha raccontato la trasformazione del suo paese in molti film (quella sorta di realismo magico con cui molti descrivono la sua poetica) ha fatto di questo artista visionario, negli anni, uno dei principali narratori della transizione della nostra epoca. E il tentativo di cui siamo stati spettatori nella bellissima sala grande del Parenti è stato proprio quello di trasferire in scena il suo modo di vedere il mondo in cambiamento.
Lo spettacolo arriva in coincidenza con alcune date importanti: i 150 anni della nascita e 105 anni della morte di Cechov. Niente di meglio, per questa ricorrenza, che tornare su “Zio Vanja”, a cui il regista aveva già dedicato una versione filmica nel 1970.
Cosa significa ripensare un testo così importante dopo quasi quarant’anni, e perché il cinema non è più adatto per questo tipo di drammaturgie, ce lo spiega nella video-intervista che proponiamo oggi: un dialogo in cui, oltre ai paradigmi dell’arte, si è discusso soprattutto dei mezzi con cui essa si propaga al giorno d’oggi, in una riflessione quasi benjaminiana sulla perdita dell’aura.
La contrapposizione fra caos della vita metropolitana e vita del teatro, fra il tempo della vita umana e quello delle macchine, fra la lentezza del lavoro dei campi e la fretta distruttrice di internet sembrano un motivo centrale sia dell’allestimento del Vanja prodotto dall’Andrei Konchalovsky Production Center e Teatro Accademico Statale Mossovet di Mosca, sia della filosofia con cui il regista, che ha superato i settant’anni, sente di dover affrontare la vita e il suo rapporto con l’arte.
“Quando mi chiedono perchè proprio Zio Vania o in che cosa consiste l’attualità di Cechov, penso con tristezza che non lontano è il tempo in cui i giornalisti chiederanno a Riccardo Muti in che cosa consiste l’attualità di Mozart o perchè Gherghiev esegue proprio la Nona Sinfonia di Shostakovich. Cechov è una sinfonia. Una sinfonia di vita. Di una vita che non è piena di avvenimenti tragici, opere grandiose o moti dell’animo, di una vita in cui gli eroi non ci sono, ma di una vita semplice, «grigia, filistea… » come diceva lui stesso. L’uomo non è in grado di guardare fissamente la luna per vedere come tramonta dietro l’orizzonte, di guardare un albero per vedere come si ingiallisce”.
La necessità di riportare nella vita dell’uomo contemporaneo i tempi di un’esistenza non votata al vacuo sembra assillare l’urgenza artistica del regista e dell’uomo. Al termine della nostra intervista, quando gli abbiamo chiesto quali siano gli elementi che stanno contaminando la possibilità di sentire profondamente i temi del teatro checoviano, non esita a rispondere che i mali sono la tv banale e internet, il modo in cui la gente li vive, sottraendo tempo ad una lettura accurata, all’addentrarsi profondo. Speriamo di mostrare a lui e a chi ci segue, che ogni mezzo ha una sua fungibilità, e che tutto dipende da come lo si usa. Per noi internet è anche il mezzo per divulgare liberamente il suo messaggio oggi.
Sono assolutamente d’accordo con voi. Finche’ i teatranti continueranno con questo mantra dei mali di Internet e della tv, mancheranno l’occasione di confrontarsi realmente e non in modo ideologico con la vita delle persone. Se i lavori di cechov fossero partiti dal desiderio di criticare i mali della contemporaneità, senza sforzarsi con tutto il cuore ci capirla, non sarebbero mai le sinfonie di vita che sono.
La sfida e’ di capire l’oggi e gli strumenti che ci offrono per creare buie sinfonie.