Andres Neumann. Il teatro? Una meravigliosa metafora della condizione umana

Giorni Felici di Peter Brook|Andres Neumann
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Andres Neumann racconta a Klp la sua lunga esperienza nel mondo teatrale in occasione della mostra in corso al Funaro di Pistoia

Andres Neumann
Andres Neumann (photo: andresneumann.com)

Abbiamo intervistato Andres Neumann in occasione della mostra “Dall’archivio di Andres Neumann. Scene del teatro contemporaneo”, curata da Renzo Guardenti e Maria Fedi – con il patrocinio del Dipartimento di Storia delle Arti e dello Spettacolo dell’ Università degli Studi di Firenze – ed allestita in questo fine settimana al Centro Culturale Il Funaro di Pistoia.
La mostra si basa sui materiali custoditi nella biblioteca de Il Funaro che costituiscono il Fondo Andres Neumann, composto dall’archivio professionale (rassegna stampa, fotografie, progetti, dossier di compagnie, contratti, corrispondenza, manifesti, riviste, raccolti dal 1972, anno dell’arrivo in Europa di Neumann) e da disegni, caricature, lettere autografe originali degli artisti, assieme a copioni, testi, appunti, materiali audiovisivi, rare testimonianze dei rapporti tra il conduttore dell’agenzia e i suoi artisti.
Documenti che raccontano la genesi, la programmazione e i viaggi per il mondo di spettacoli che hanno lasciato un’impronta nella storia del teatro, di registi ed interpreti come Kantor, Peter Brook, Bob Wilson, Bread and Puppet, The Living Theatre, Meredith Monk, Pina Bausch, Dario Fo, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassmann, Enrique Vargas e tanti altri.

Come nasce il suo rapporto con Il Funaro?
Nasce molti anni fa, otto per l’esattezza. Ho incontrato queste meravigliose persone di Pistoia che avevano intenzione di sviluppare un’attività nel campo della formazione e della ricerca teatrale e che già facevano un lavoro importante sul territorio. Però volevano aprire questa attività anche a un rapporto internazionale e renderla di livello professionale. Così nel tempo abbiamo sviluppato questo progetto, abbiamo trovato una sede, che è poi stata ristrutturata, e adesso c’è questo centro culturale che è un modello per tutti noi.

Ho letto la sua nota biografica e sono rimasto impressionato dalla quantità di esperienze biografiche e lavorative. A tutto questo ha sempre accompagnato una ricerca su sé, dapprima con dieci anni di analisi freudiana e poi seguendo “sentieri di ricerca personale”. In tutto questo quanto e come ha contato il teatro?
Il teatro è una meravigliosa metafora della condizione umana. Noi nasciamo e si apre il sipario, e moriamo e si chiude il sipario; nel mentre c’è una vita che, in realtà, somiglia molto a un palcoscenico.

La sua è una storia particolare. La storia di un esule, in continuo movimento, dalla Bolivia all’Uruguay, poi dalla Francia fino a Firenze. L’Uruguay è il luogo in cui lei si è avvicinato ‘praticamente’ al teatro, da un punto di vista tecnico e lavorativo. Nancy invece rappresenta il primo approccio a un tipo di teatro diverso, che poi sarà molto importante per quanto riguarda la sua esperienza fiorentina.
La formazione nel mestiere l’ho ricevuta a Montevideo, dove c’era una attività teatrale intensa e dove ho potuto sperimentare tutta una serie di attività legate allo spettacolo. Così sono arrivato in Francia con una formazione pratica molto nutrita. Certo, arrivare a Nancy nel 1972 e incontrare Jack Lang (futuro Ministro della Cultura) è stata una grande fortuna. Sono arrivato nel posto giusto al momento giusto.

Giorni Felici di Peter Brook
La locandina del ‘Giorni felici’ di Beckett per la regia di Peter Brook (photo: andresneumann.com)

L’esperienza di Firenze, il Rondò di Bacco, ha fatto di lei un trait d’union fra vari mondi. Leggendo la sua biografia emerge anche un forte rapporto con la politica del tempo, diciamo che il suo lavoro si è incrociato molto con la politica. È una cosa, questa, che vista con gli occhi di oggi può sembrare per certi versi “negativa”; ma credo che la temperie del periodo fosse invece ben diversa.
Diciamo così: politica nel senso che, chi fa cultura, fa anche politica sociale. Tutto è politico, così come tutto è culturale. Il mio ruolo era quello di rappresentare l’importanza che poteva avere anche una trasformazione culturale, cercare di sensibilizzare chi aveva il potere dell’importanza della cultura, in questo senso sì.

Ne “Lo spettatore addormentato”, volume che raccoglie recensioni di Ennio Flaiano, l’autore ipotizza che sarebbe interessante poter recensire anche il pubblico. Mi piaceva rilanciarle questa domanda. A tale proposito, visto che lei è uno dei massimi esperti in materia, come vede il pubblico del teatro contemporaneo?
È difficile generalizzare. Sicuramente in Italia il pubblico, che siamo tutti noi, è stato gravemente danneggiato da un sistema legato da vent’anni a una televisione molto aggressiva e insensata. Diciamo che il pubblico in Italia è stato abbastanza rovinato da quello che viviamo in tutti questi anni. In altri posti, come può essere la Francia, la Germania oppure la Spagna, il pubblico è meno rovinato, quindi c’è in realtà, forse, un interesse maggiore. Basta andare a vedere un film o andare a teatro, per esempio a Parigi, per accorgersene. Quando si entra in sala ci si accorge subito che il pubblico è diverso. Tuttavia anche in Italia, ultimamente, vedo dei fenomeni interessanti, come quello del Teatro Valle. Quindi, prima o poi, qualcuno si sveglierà, anzi, sembra che qualcuno si stia svegliando.

A tal proposito, come vede il fenomeno del Valle, che da alcuni è stato accolto con grande entusiasmo mentre da altri con poco, poiché sembra un replicare di una certa protesta sterile, di cui si fanno portavoce personaggi che in realtà non sono così in linea con lo spirito iniziale di questa occupazione.
Ma, è difficile rispondere… Direi così: qualsiasi cosa è meglio del profondo sonno ipnotico in cui ci troviamo tutti.

In questo il teatro ha delle responsabilità?
Non credo che si possa dire che il teatro abbia delle responsabilità. Siamo sempre tutti pronti a flagellarci. Sono altri che hanno la responsabilità, e sappiamo di chi stiamo parlando.

Sono molti gli artisti di rilievo con i quali lei ha lavorato. Nel suo scritto autobiografico sembra emergere una particolare predilezione per Pina Bausch, sia a livello umano che professionale.
Sicuramente Pina Bausch è stato qualcuno di molto importante nella mia vita, ma ce ne sono stati altri di incontri importanti, come quelli con Tadeusz Kantor o Peter Brook… Però, delle relazione professionali e umane avute, sicuramente quello con lei è ai primi posti.

Perché?
Pina Bausch era una vera maestra in tutti i sensi. Il suo percorso lo spiega bene. Questa compagnia internazionale con 30, 40, 50 persone, che lei ha portato avanti per trent’anni, è qualcosa di abbastanza unico, un vero modello alternativo, perché una compagnia con elementi di diciassette nazionalità è un gruppo umano molto atipico, intenso e interessante.

Come è nata la Andres Neumann International, che tutt’oggi è un modello di riferimento per molti?
Grazie a molto coraggio e molta intuizione. Negli anni ‘70 l’idea di fare un attività privata, un’iniziativa commerciale in campo culturale in Italia sembrava una bestemmia. All’epoca, l’assessore alla cultura di Firenze Camarlinghi, dopo l’esperienza del Rondò di Bacco, mi propose di fare la mia professione in questo modo. È stato lui a suggerirlo, e gliene ne sono ancora grato.

Vede qualcosa di interessante nel panorama contemporaneo teatrale?
Ho una esperienza recente, perché a teatro non vado quasi mai se non per rivedere gli spettacoli di Pina Bausch… Ho visto il lavoro di Fabrizio Gifuni e trovo il suo percorso interessante. I suoi progetti, uno su Gadda e uno su Pisolini, li trovo interessanti. Penso che questa sia una via da seguire.

Negli ultimi anni, dopo un’esperienza di analisi freudiana, lei continua il suo percorso di ricerca personale, meno sull’inconscio e più sul corpo, come se dopo tante esperienze si fosse raccolto in sé alla ricerca di qualcosa di più intimo… Questo riporta a sant’Agostino, che sottolineava come il vero viaggio è quello interiore.
Il mistero è grande, quindi alla domanda che ci riguarda tutti: “chi sono io?”, non c’è una risposta pronta, forse non c’è neanche una risposta. Sicuramente siamo tutti ricercatori, qualcuno (probabilmente anch’io) lo è in modo più ossessivo di altri…

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