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Angelica è viva! Amarilli Nizza nel corpo del grande ruolo pucciniano

Suor Angelica (photo: operadifirenze.it)

Suor Angelica (photo: operadifirenze.it)

Nel presente racconto si contravverrà volontariamente a due delle regole capitali per una buona recensione. La prima è di evitare la peggiore fra le ingenuità, che è lo scambiare un commento per un gusto proprio – insistendo, solitamente, a chiamarlo oggettiva verità. Uno sguardo dovrebbe essere al contrario quanto più possibile aderente alle regole riconosciute e generalmente accettate dal pubblico, regole tecniche che parlano di fatti tecnici, considerati per comodità di intesa incontrovertibili.

La seconda regola, che oltre ad essere uno strumento dell’arte è segno di buon gusto, è mantenere i piedi per terra, evitare intellettualizzazioni, semplificazioni, collegamenti e associazioni inconsulte.

Ma liberiamoci subito delle formalità: il Teatro dell’Opera di Firenze ha messo in programma una “Suor Angelica” pucciniana (in replica ancora il 5 febbraio), accoppiata alla “Voix Humaine” di Poulenc su testo di Cocteau, quest’ultima in versione da concerto e affidata alla voce di Annick Massis. E’ però della prima che parleremo oggi.

“Suor Angelica” è uno dei più intensi capolavori di Puccini; secondo pannello del Trittico, è opera molto amata dal lucchese che, si racconta, l’avrebbe eseguita al pianoforte nel convento di Vicopelago, dove aveva una sorella.
Alla prima, nel 1918 a New York, fu fischiata.

La regia dell’opera è quasi trascurabile. Non illuminante, anzi. Nel filone dei registi che intervengono nella trama che ci ha regalato capolavori come il “Giulio Cesare” di Peter Sellars e provocazioni alla Tcherniakov, questa non occupa uno spazio memorabile in nessuno dei due estremi. I mutamenti sono inessenziali, e non per principio ma alla prova dei fatti.

La protagonista, da libretto forzata all’ingresso nel convento per aver ceduto alla licenza di un amore clandestino, emerso nella nascita di un figlio, è per il regista Andrea De Rosa reclusa sì, ma come malata mentale, in compagnia di altre malate, accudita da suore che, tra camicie di forza e altri trattamenti, la chiamano comunque “suora” (è quel genere di imprudenze che potrebbero disturbare chi sa l’italiano).

L’ambiente è un indefinito interno/esterno, separato dal mondo da una lunga cancellata quasi in proscenio, dietro la quale si svolge gran parte dell’opera, ma rischiarato da un lampadario di lacca ambulatoriale che pende sulla sinistra del palco.
Due finestroni a destra danno su un esterno – o su un interno. Figuranti di matti riempiono e disturbano le scene, arrivando a ridicolizzare persino lo stentoreo ingresso della durissima zia Principessa, arcinoto esordio di bronzea inflessibilità. E sconsacrano anche la solitaria, disperata “Senza mamma”, aria della protagonista, di quelle da nient’altro in scena, che introduce la semantizzazione della piccola frase musicale sui quattro accordi-marchio dell’opera con le parole «la grazia è discesa dal cielo», come commiato di Angelica dal mondo dei vivi.

Ma occorre dimenticarsi anche di questo, dimenticarsi persino dell’ambigua ambientazione, perché quella che una critica anzianotta potrebbe chiamare con sottomessa piaggeria “la regina della serata” è stata Amarilli Nizza, nel ruolo di Angelica. Un’Angelica ancor bella, che ha i lunghi capelli biondi, la persona fragile ma adulta di colei, la Nizza, che è ormai quasi identificabile con il ruolo, tanto lo ha portato in ogni teatro del mondo.

La sofferenza della madre privata prima della libertà, poi dell’amore del figlio, e infine persino della speranza di recuperare in un futuro sia pur indistintamente lontano l’una e l’altro non è tradotta in termini esteriori, anzi è contenuta vocalmente, talvolta persino leggermente sfocata, e si costruisce tutta e soltanto dall’unione di ciò che non si dovrebbe nemmeno immaginare disgiunto: scena e vocalità, piedi, mani, suoni, tempi, colori.

Fin dalla prima nota, essa è l’Angelica forte e ferita che tiene, nel suo corpo di reclusa, recluso il dolore, eloquente negli scatti, simili a quelli di un condannato che, alla fessura di un muro, bagna il volto a una goccia di luce, e nei lampi imprevisti e densi della sua vita scenica, la faccia incorniciata dalle sbarre di ferro nero, le ginocchia abbracciate. Non chiede «Sei qui, sei qui» al bambino morto, glielo dice, testimonia ciò che tutti vediamo, che si sente aleggiare chiaro attorno al suo volto, con certezza.

Angelica fa piangere il pubblico sentimentale copiosamente, senza risparmio, senza nemmeno troppa vergogna, in una catarsi un po’ patetica nel veramente terribile mondo post-tragico, dove c’è solo il melodramma. E solo il melodramma crea, ancora, un piccolo mondo di vita collettiva nelle note conosciute com’erano conosciute le invettive di Capaneo, nelle svolte attese, nelle conclusioni inevitabili, com’era inevitabile l’atto di Edipo di cavarsi gli occhi.

Dovrebbe esserci, infine, anche una terza buona regola nello scrivere di uno spettacolo: darsi un po’ di tempo per riflettere su quanto si è visto, riconsiderando tutto con la giusta distanza, evitando di intorbidare la pagina con umori troppo vivi. Si è contravvenuto anche a questa.

Suor Angelica
Opera lirica in un atto
Musica di Giacomo Puccini
Libretto di Giovacchino Forzano
Direttore: Xǔ Zhōng
Regia e scene: Andrea De Rosa
Costumi: Alessandro Ciammarughi
Luci: Pasquale Mari
Maestro del Coro: Lorenzo Fratini
Orchestra, Coro e Coro delle voci bianche del Maggio Musicale Fiorentino

Suor Angelica: Amarilli Nizza
La zia Principessa: Anna Maria Chiuri
La suora infermiera: Valeria Tornatore
La suora zelatrice: Silvia Beltrami
Suor Genovieffa: Patrizia Cigna
La maestra delle novizie: Claudia Marchi
La badessa: Romina Tomasoni
Suor Dolcina: Marta Calcaterra
Suor Osmina: Elisabetta Ermini
Prima sorella cercatrice: Irene Molinari
Seconda sorella cercatrice: Tonia Langella
Prima Conversa: Simona Di Capua
Seconda Conversa: Silvia Mazzoni
Una novizia: Paola Leggeri

In coproduzione con il Teatro Regio di Torino e il Teatro San Carlo di Napoli

durata: 60′

Visto a Firenze, Teatro dell’Opera, il 22 gennaio 2016

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