L’Anima di Emanuele Soavi, un Fuori Programma al Quarticciolo

Anima di Emanuele Soavi
Anima di Emanuele Soavi

I ragazzini scendono in strada con le scarpe da ginnastica fiammanti, calciano il pallone nella terra, ma guai se a sporcargliele è un altro. I motorini segano l’aria, le macchine si inclinano parcheggiate sui marciapiedi, gli anziani si difendono dalle zanzare dandosi sui sandali frasche d’ailanto, e chiamano qualcuno rivolti alle finestre chiuse.

La rassegna romana di danza Fuori Programma si è conclusa qui dove era cominciata, per le strade del super popolare Quarticciolo, nella periferia est di Roma.
Seguendo la suggestione regalataci proprio dalla direttrice artistica Valentina Marini, è facile registrare una storia anche topografica della rassegna, un’andata e un ritorno che dalla periferia, dove aveva esordito una delle “Derivazioni” (la n°5, per la precisione) di Salvo Lombardo, si è spostata nel corso dell’estate verso il Teatro India, offrendo ai romani indifferenti alle lusinghe del mare ospiti del calibro di Balletto Civile, Spellbound Contemporary Ballet, Abbondanza/Bertoni, Sita Ostheimer ecc., in serate che hanno affollato le sale del teatro di Lungotevere Gassmann.

Ora la conclusione ha preso le piccole dimensioni di un lavoro intimo e a suo modo ambiguo, che si concede e si nega al pubblico ridotto dei pochi spettatori ammessi a ogni replica. È “Anima” di Emanuele Soavi e Meritxell Aumedes Molinero (autrice dei video e fisicamente in scena).

Si parte dal foyer del Teatro Biblioteca Quarticciolo: i due interpreti, amplificando suoni live attraverso i propri smartphone, “doppiano” un video in cui – penetrando a fatica dentro lo stesso abito – arrivano quasi a coabitare un unico corpo. («Dualità», primo tema presentato dal programma di sala). Poi escono di corsa e noi, condotti da un paio di guide, ci incamminiamo sulle loro tracce. Arrivati in uno slargo, veniamo divisi in due gruppi e, a turno, visitiamo due appartamenti.
Nel primo Molinero giace su un un letto: a prezzo di un doloroso travaglio, prende lentamente coscienza del proprio corpo; si alza e fa strada in una stanza che sa di laboratorio d’entomologo. Sotto campane di vetro stanno farfalle, altre, di carta, sono attaccate al vetro della finestra che dà sul balconcino verandato. La leggerezza delle ali si deposita sulle spalle della performer che sembra uscire dal bozzolo delle fasce che le stanno strette al seno e prepararsi a un lieve decollo tra i palazzi. (Le «farfalle», secondo tema presentato nel programma).

Nel secondo appartamento Soavi entra dopo di noi e, indossato un grembiule che pare da cucina e invece è da chirurgo, si appresta ad un’impressionante operazione: da un mini frigo cava un cuore, un cuore vero, percorso da un lungo e profondo taglio, che si appresta a suturare con ago e filo. (La «concezione egizia dell’anima», terzo tema).
Poi lo seguiamo nella stanza da letto, dove si corica e poggia il cuore “risanato” su una macchia rossa che porta stampata sul petto, frutto di spietate percosse che sanno di mea culpa. Da sotto una campana di vetro, intanto, il cellulare emette la musica.

A conclusione si ritorna in teatro, sempre nel foyer, dov’è proiettato un secondo video: i corpi dei due performer, uno sfumando nell’altro, cadono e si rialzano in un bosco, all’ingresso di una casa, su una strada.

Questo, semplificato nella sua trama, è “Anima”.
Se si può procedere, per così dire, dall’esterno verso l’interno del lavoro di Soavi, bisogna fare tre riflessioni.

La prima: credo si farebbe un errore a considerare il lavoro ‘site specific’, come recita la locandina, se per tale si intende un testo che istituisce un rapporto irripetibile con contesto e caratteristiche ambientali. “Anima” non fa parte della categoria, poiché non lavora sull’ambiente del Quarticciolo, né su quello degli spazi in cui agisce, cioè soprattutto gli appartamenti. La qualità originaria dei loro ambienti, ma soprattutto la loro realtà di case veramente abitate (ma da chi?) è ininfluente al percorso drammaturgico, che è pienamente compiuto in sé.
Le strade del quartiere, poi, assolvono solo al compito ‘di servizio’ di congiungere il teatro con le due abitazioni, le cui scene avrebbero potuto benissimo svolgersi in un ambiente ricostruito (come quello che vedemmo nel glaciale “Nachlass” di Rimini Protokoll). Quella miracolosa attivazione del contesto, quell’autentica creazione della vita che esibiscono ad esempio i molteplici esperimenti di Dom- di Sirna/Delogu qui non hanno cittadinanza.

La seconda riflessione: presente fra i corpi in scena, non bisogna dimenticare di citare la tecnologia digitale (portatile), che partecipa come un terzo attore al lavoro.
La prima scena, nel foyer, si apre con l’amplificazione tramite casse Bluetooth del respiro dei due performer; prima dell’ingresso nel secondo appartamento viene mostrata su un tablet l’anticipazione di un video che vedremo in casa; sono sempre smartphone e tablet a produrre la musica che accompagna i due episodi negli appartamenti, uno dei quali scorre sul corpo della performer simulando uno scanner a raggi x che rileva una doppia natura maschio/femmina.
È una scelta funzionale, ha lo scopo di rendere agili, economiche e autogestite le componenti tecniche del lavoro, o è solo un modo facile di produrre stupore? Quali squarci può produrre una simile categoria di ‘inatteso’, a noi abituati al pigro, distratto stupore di una nuova app, di una nuova funzionalità?
La musica diffusa dai device risulta poi sempre a un volume molto basso, al punto che spesso i passi del performer la coprono: un ascolto (volutamente?) sporco può suggerire una maggiore carnalità del gesto in scena, certo. Ma (sempre volutamente?) la visione di un video su tablet arriva a frammentare quella fruizione condivisa che il teatro ancora tendenzialmente mantiene, minandone alla radice lo statuto. Perché?

La terza riflessione: l’uso che Soavi e Molinero fanno della metafora è insieme affilato come una lama e bestiale. Esso si basa su immagini tanto didascaliche da sconfinare nel luogo comune, e proprio per questa sua caratteristica imprevedibilmente funziona o non funziona, talvolta sfonda la membrana che separa un oggetto dal suo referente emotivo, altre volte no. Quando lo fa è grazie proprio alla cruda banalità della propria faccia “al di qua”, di ciò che i performer fisicamente maneggiano: quando fallisce, pure.
Due esempi: la farfalla quale simbolo di mutazione e levità certo risaputa, se poi è di carta, dal peduncolo adesivo, di quelle che a Trastevere si regalano ai turisti, perde ogni caratteristica aerea, è proprio una cosa finta, e finto e senza ali si rivela il senso che vorrebbe incarnare. Se poi la colla si bagna di sudore, rischia di cadere a terra con un piccolo tonfo.
Ma un cuore vero (almeno a noi è sembrato tale, e tanto basta!) esposto su un tavolo di legno, nel cui muscolo si fa faticosamente la sua strada un ago da tappezziere e tra le cui fibre scorre a piccoli strattoni un filo, avvicinando i lembi già un po’ arricciati verso l’esterno, fa male, fisicamente.

Ecco perché si diceva che “Anima” accoglie e si nega. Perché questo disinteresse verso il mondo fuori, il Quarticciolo, e questo continuo bisogno di multimedialità digitale disarmano e un po’ spaventano: di certo raffreddano.
Ma soprattutto questa efficacia/inefficacia di un così disinvolto uso della metafora nella declinazione di luogo comune sa di confidenza immediata e semplice, di comunicazione davvero a cuore aperto, di sofferenza provata e restituita con le prime parole che vengono alle labbra. Ma, insieme, rifiutando un linguaggio più gelosamente personale, e con esso l’inevitabile rischio dell’ermetismo, nega a quella sofferenza una precisa individualità, una credibilità profonda, e la puntura dolorosa della rivelazione. Si accontenta di una partecipazione generica senza trovare un medium vero per una confessione unica, che sia onesta con sé stessa fin nelle più intime fibre.

ANIMA
By and with Meritxell Aumedes Molinero and Emanuele Soavi
Video: Meritxell Aumedes Molinero
Assistant: Lisa Kirsch
Project Management: Achim Conrad, Lisa Kirsch
Communication / PR: Silvia Werner
Management / PR: Alexandra Schmidt
Photos: Joris-Jan Bos
Subsidized by: City of Cologne, Kunststiftung NRW, the Ministry for Family, Children, Youth, Culture and Sports of the state North Rhine-Westphalia
Supported by: Vitlycke – centre of performing arts in Tanumshede / Sweden (rehearsal residency), The Spanish Embassy

durata: 1h
applausi del pubblico: 2’

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