Al Teatro della Contraddizione di Milano per IN CONTRODANZA la coreografa perugina in scena con la prima e la seconda parte di “Trilogia sull’Anima”
Ogni teatro ha la sua voce, e quella del Teatro della Contraddizione, a Milano, è inconfondibile: piccoli trabiccoli poetici; la penombra come spazio meditativo, sede di un drammatico contrasto tra luce e buio; oggetti dismessi, dozzinali o di design, sviscerati nel loro potere evocativo.
Metafore, analogie. Disarmonie e contrasti, anche sul piano sonoro. Soprattutto, la sottile linea d’ombra che unisce e separa coppie d’opposti: gioia e dolore, amore e apatia, vita e morte.
Nella sala sotterranea di via della Braida per IN CONTRODANZA – rassegna curata dalla Contraddizione con Maria Carpaneto di MOWlab/Il Filo di Paglia – sono andate in scena due coreografie di Daria Menichetti, in assolo e in coppia con Francesco Manenti.
“Animula” e “Iki” sono la prima e la seconda parte di “Trilogia sull’Anima”.
Quella di Menichetti è una danza liminale, spirituale, che sembra varcare le barriere fisiche, infrangere lo spazio-tempo, sondare con circospezione e gentilezza la dimensione metafisica.
“Animula” parte dal celebre epitaffio di Adriano, imperatore filosofo del II sec. d. C., pronunciato in articulo mortis: Animula vagula blandula…: «Piccola anima smarrita e soave, / compagna e ospite del corpo, / ora ti appresti a scendere in luoghi / incolori, ardui e spogli / ove non avrai più gli svaghi consueti».
Curioso come l’Oltretomba sia spesso immaginato come un luogo immateriale, definito dalla luce e dal contrasto con l’ombra. Uno spazio impalpabile e concettuale, amorfo e aperto, intriso di una quiete che assomiglia a una solitudine sospesa e profonda.
Qui è forte l’influenza della cultura orientale. E si scorge in filigrana la formazione composita di Daria Menichetti, dal metodo Nikolais al Butoh, da Jan Fabre ad Abbondanza/Bertoni e Raffaella Giordano, da Carolyn Carlson a Masaki Iwana.
Indefinito in “Animula” è anche il linguaggio del corpo, su cui prova a posarsi l’anima dell’imperatore e quella del romanzo “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar, da cui Menichetti parte per il proprio lavoro.
Movimento ed emozioni. Questa danza è un battito d’ali sgraziato; un balbettio anchilosato, un volo interrotto. È lo sfarfallio agonizzante di un corpo racchiuso, emaciato, rattrappito. È materia glaciale che prova a sciogliersi da un ibernante rigor mortis, espresso con gesti duri, mai così naturali, anche quando lambiscono un’effimera purezza.
Solo quando è rannicchiata nella morsa di una cassetta di plastica, questa creatura elegante ed eterea, invisibile e magnetica, inizia a sprigionare sussulti vitali. E intanto con la bocca carpisce un fiore, principio di bellezza molto prossimo alla rinascita.
Le luci alimentano il mistero. Sotto le note di Bach, coagulano una danza soffusa, più morbida, evocata anche da un teatro d’ombre etereo, con figure femminili sfilacciate tra Giacometti e Picasso.
Le luci disegnate da Luca Poncetta creano bagliori soffusi e ombre frammentate. Il soffio di un ventilatore centrifuga emozioni e shakera impulsi vitali. Una mazurca è slancio risolutivo che si sedimenta in materia corporea, forgiata e levigata attraverso la danza successiva: metallica, percossa, quasi tribale.
Ancora maggiore è la consistenza tanatologica di “Iki”, performance dalle atmosfere rarefatte e dalle luci raffinate.
La scena richiama interni da pittura fiamminga. La danza è avviata proprio da un cono di luci che focalizza l’ingresso verso un altrove insondabile e ineffabile. Al centro, la coppia Daria Menichetti – Francesco Manenti avvia la giostra dei ricordi con il disegno luci di Vincent Longuemare e la musica corposa e solenne di Michele Zanni.
Perdersi, trovarsi, riconoscersi. Di nuovo smarrirsi. Infine svanire. Voci fuoricampo sopite, evanescenti, ripetute, danno consistenza al disorientamento dei protagonisti. A incontrarsi, con delicatezza maestosa, sono i loro volti e le loro mani, rilevati da fasci luminosi che perdono ogni contatto con la materia.
Intrecci e inquietudini. Coreografie e atmosfere assai affini alla poetica di Alessandro Serra. Assistiamo a una serie di quadretti intimi di due anime disorientate, che annusano uno spazio ridefinito, in attesa di una nuova collocazione. È la fragile ricerca di equilibri inediti, e di un unisono forse inattingibile. Affiora la paura dell’attraversamento. Lo spazio si tinge di un alone malinconico e nostalgico. È una sorta di Averno da cui è sì bandito il tormento, ma anche la gioia, occultata da una luce fioca.
Danza eterea, spirituale. Musica subliminale, metafisica. Gesti ampi, gravi, maestosi. Braccia che disegnano ali, archi, volute.
“Iki” è elegia di sguardi e tensioni. Nella speranza di una pace imperitura, vicina alla tranquillità dell’anima.
ANIMULA
di e con Daria Menichetti
disegno luci Luca Poncetta
esecuzione sonora e consulenza artistica Francesco Manenti
foley Michele Zanni
produzione Associazione Sosta Palmizi
con il sostegno di MiBAC, Regione Toscana/Sistema Regionale dello Spettacolo
Residenze artistiche Aldes (Lucca), Cajka Teatro d’avanguardia popolare (Modena), Centro per le Arti la Cultura e la Ricerca MACAO (Milano)
Selezione Visionari Kilowatt Festival 2017
durata: 45’
applausi del pubblico: 2’
IKI
di e con Daria Menichetti e Francesco Manenti
disegno luci Vincent Longuemare
musica Michele Zanni
costumi Aldo Ferretti
coproduzione DanceMe (Perypezye Urbane) e Associazione Sosta Palmizi
con il contributo di MiBAC, Ministero per i Beni e le Attività Culturali Direzione generale per lo spettacolo dal vivo, Regione Toscana Sistema Regionale dello Spettacolo
con il sostegno di C.U.R.A. Centro Umbro Residenze Artistiche e il supporto di Corsia Of
selezionato da Visionari Kilowatt Festival 2019
si ringraziano Carolina Balucani per la partecipazione al processo creativo e Cajka Teatro d’Avanguardia Popolare (Modena) per aver ospitato il progetto ai Teatri del Cimone 2018
durata: 30’
applausi del pubblico: 2’ 30”
Visti a Milano, Teatro della Contraddizione, il 19 gennaio 2023