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Another round for five. Cristiana Morganti apre Palcoscenico Danza 2020

Another round for five (photo: Salvatore Pastore)

Another round for five (photo: Salvatore Pastore)

Per la serata di inaugurazione della dodicesima edizione di Palcoscenico Danza (che prosegue con altri sette spettacoli fino al 3 maggio), il direttore artistico Paolo Mohovich ha deciso di presentare a Torino la solista e coreografa “indipendente” del Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch, Cristiana Morganti, di cui il pubblico aveva già potuto apprezzare l’estro creativo negli scorsi anni, prima con l’esilarante interpretazione del solo “Jessica and Me”, poi con il duetto “Fury Tale”.

Giunge ora la sua quinta produzione, “Another round for five”. La coreografa rimarca con orgoglio il personale traguardo nella propria carriera, rimarcando con veemenza il numero cinque, tanto da costruire per l’occasione uno spettacolo per un eterogeneo quintetto di danzatori, tre donne e due uomini di diverse nazionalità.

Come sempre la partitura coreografica scaturisce e trova spunto compositivo dalle diversità degli interpreti coinvolti, di cui si rielaborano le personali esperienze. I performer mettono in gioco le proprie vite e le differenti fisicità, che diventano per la Morganti “materie prime” da riscrivere attraverso il personalissimo gusto di stampo cinematografico che la contraddistingue.
Torna nuovamente la scelta per uno spazio vuoto. Solo pochi oggetti fanno la loro fugace comparsa, portati dai danzatori stessi a supporto dei rispettivi racconti: sedie, hula-hoop, microfoni, una palla, un ventilatore.

Il susseguirsi di immagini, sequenze e situazioni conducono la nostra immaginazione, sin dall’inizio dello spettacolo, a leggere questa scena nuda come un suggestivo club dei lontani anni Trenta, un circolo privato che rievoca il grande cineasta Frank Capra, in cui è possibile fare incontri, discutere e confrontarsi, ma dove soprattutto si balla. È un luogo distante da sguardi indiscreti, in cui potersi ritrovare a condividere movimenti e gestualità che tuttavia mantengono sempre uno “stile” individuale.

La narrazione non è lineare. Ci sono istanti dedicati alle confessioni, riconoscibili dall’insistito uso di una formazione a cerchio, che spezzano il fruire del racconto e l’uso della parola. I recitati emergono in diverse lingue, e gli aneddoti raccontati, sempre facilmente comprensibili, vanno ad arricchire il contesto immaginario che ci siamo creati. Il tempo è quindi scandito da flussi di ricordi in flashback e da anticipazioni coreografiche. I danzatori si rivelano a poco a poco, sempre più nitidi, attraverso una narrazione che emana genuina sincerità e producendo una mescolanza tra vita reale e finzione.

Quello che si presenta agli occhi degli spettatori sembra essere una sorta di varietà, un concatenarsi di scene e numeri che tornano a più riprese: tutto è giocato sulla ripetizione, con le dovute variazione di ritmo e di intenzione. I racconti si disfano, si arrestano in prolungati primi piani dei singoli danzatori, restano sospesi come se non si sapesse più come continuare per poi ricominciare e dilungarsi in una sorta di lunghi piani sequenza.

Le situazioni e le tematiche sono tante: dalla vita familiare ed affettiva, al mondo illusorio e di pura apparenza della televisione di oggi, fino all’analisi delle tecniche di regia. I discorsi si mescolano con suggestivi effetti di dissolvenza visiva, e a volte sonora, trovando una perfetta organicità. Nella coreografia si alternano gestualità taglienti, marcate con forza e prodotte da impeti di pura rabbia, che non di rado danno inizio a veri e propri duelli danzati, alternati a sequenze più morbide, fluide e discorsive, spesso eseguite lungo tracciati rettilinei. I momenti corali si tingono di un interessante gusto per il gesto pop che contrastano con l’atmosfera del club privato. Una sigaretta fumata in compagnia viene passata di mano in mano in un moto perpetuo senza mai fermarsi; da risse e scontri non si formano mai danze di gruppo, che al contrario evidenziano come il contrasto non permetta mai di trovare una risoluzione armonica tra le parti; i ricordi fanno capolino in veri e propri fotogrammi in soggettiva, eseguiti in solitudine e patinati di una tenue luce che rimanda a vecchie fotografie ingiallite.

Tutta la costruzione drammaturgica si lega al cinema: la sapiente scelta delle musiche, che rievocano in alcuni casi celebri film, si alternano al tecno industrial tedesco di Florian Kupfer o alla musica sacra di Pergolesi; i racconti che si attardano sul ricordo di scadenti produzioni di horror; e un invisibile regista sul fondo della sala che sembra suggerire le emozioni che devono essere interpretate…

E quando si giunge all’epilogo, le immagini e le situazioni studiate nella prima parte danno finalmente origine al prodotto finale: il film, come la coreografia, può essere presentato. Assemblati i risultati e rimossi gli errori, i pianti e le liti, tutto il materiale coreografico, anche quello che ci appariva casuale e inorganico, viene ora organizzato secondo una precisa logica del racconto, e sparisce anche la forte connotazione soggettiva degli interpreti da cui tutto aveva avuto origine: ciò che rimane è l’artistico lavoro di regia.

Another round for five
regia e coreografia Cristiana Morganti
interpreti Maria Giovanna Delle Donne, Anna Fingerhuth, Justine Lebas, Antonio Montanile, Damiaan Veens
collaborazione artistica Kenji Takagi
disegno luci Jacopo Pantani
assistenti di prova Anna Wehsarg / Elena Copelli
editing musiche Bernd Kirchhoefer
direttore tecnico Simone Mancini
produzione il Funaro Pistoia con Fondazione Campania dei Festival, in coproduzione con TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro Metastasio di Prato, Associazione Teatrale Pistoiese, Teatro Stabile del Veneto Carlo Goldoni e MA scène nationale – Pays de Montbéliard

durata: 1h 30′
applausi del pubblico: 2′

Visto a Torino, Teatro Astra, il 23 gennaio 2020

 

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