Another Sleepy Dusty Delta Day. Jan Fabre e la morte come arma finale

Artemis Stavridi (photo: fabbricaeuropa.it)
Artemis Stavridi (photo: fabbricaeuropa.it)

Una ragazza vestita di giallo su una sedia a dondolo, indolente sotto la luce calda. Un fruscio monotono, ritmo sonnolento dell’afa. Una lettera d’amore, scritta nella notte, di ora in ora, prima del salto da un ponte: in “Another Sleepy Dusty Delta Day” di Jan Fabre i protagonisti sono due, il giovane suicida e la sua ragazza, ma un’unica performer dà corpo e voce a entrambi.
Nella nuova edizione dello spettacolo andata in scena a Fabbrica Europa 2010, la greca Artemis Stavridi ha preso il posto di Ivana Jozi, interprete della prima versione (presentata a Napoli Teatro Festival Italia 2008).

Le polemiche degli animalisti sulla presenza di canarini in scena e una mozione del Consiglio Comunale piombano su Fabre e su Fabbrica Europa in occasione di questo debutto fiorentino, che la direzione artistica del festival opportunamente sceglie di mantenere, con un gesto che tutela l’autonomia della manifestazione e la libertà d’espressione dell’artista. Polemiche paradossali, se si considerano il tema affrontato dallo spettacolo e il parallelismo che vi si instaura tra condizione umana e sofferenza animale.
La morte come rifiuto di piegarsi alla perdita di senso, come rivendicazione estrema di umanità: il suicidio è qui una disperata dichiarazione d’amore per l’esistenza, libera scelta rivendicata per sottrarsi all’alienazione sociale e psicologica, «perché l’insonnia crescente fa di me un animale solitario, nervoso, ingabbiato», come ci raccontano le parole dense della lettera.
Artemis Stavridi le legge in piedi al microfono, con intensità, senza retorica, e poi intona i primi versi di “Ode to Billy Joe”. Il blues del ’67 della cantante Bobby Gentry, che ha ispirato Fabre, costituisce anche la colonna portante dello spettacolo, grazie alla potenza della sua struttura melodica e alla forza dell’arrangiamento di Tom Tiest. La musica si fonde con il fruscio dei trenini elettrici che scorrono su montagne in miniatura sparse sul palco, e pervade lo spazio, mentre la danza si fa ossessiva ripetizione di gesti meccanici – quelli del lavoro in miniera – o oscillazione sull’orlo del precipizio prima del salto. Il movimento è teso, rigido, convulso; la giovane assume posture maschili, con l’attributo straniante di una bottiglia di birra infilata nelle mutande; seminuda si insapona con il carbone delle montagne. Corpo e volto nero trasformano ora Stavridi in una maschera primordiale: è un animale dagli occhi sbarrati che spiccano nel viso scuro, il giallo della gonna sono le sue piume; un animale in gabbia, come quelle sospese sul palco.

Salti e urli selvaggi sono disperati tentativi di volo che finiscono in caduta al suolo, alla ricerca di una libertà impossibile per ali che non possono aprirsi: volano le gabbie oscillanti nell’aria, ma agli uccellini non è permesso uscire. La fine di questa danza è la morte, quella del canarino (finto), che l’attrice colpisce e poi lascia infilato nel collo di una bottiglia. Un gesto violento come la scelta del suicida, cui segue una scena intima, raccolta: sulla sedia a dondolo, la donna bacia il foglio che ha tenuto stretto al suo corpo sotto il vestito, e legge.
Credere nell’amore fino alla morte è l’ultima, estrema dichiarazione. Parole potenti, che però non imprimono un’impressione profonda. Tutto è riflesso su una superficie estremamente pulita, curata, grazie a perfetti giochi di controluce, sostenuto dalle note della canzone, mentre nella partitura coreografica le immagini più forti finiscono sopraffatte da passaggi didascalici e dal gusto per un’estetica di forme che poco si sporcano con le emozioni. Come se Fabre avesse trovato nella bellezza il rifugio dai rischi del tema prescelto, dalla sovversione angosciosa che qui attanaglia la natura umana. E anziché farci alzare col groppo in gola, ci ispira al massimo una consolatoria lacrimuccia.

ANOTHER SLEEPY DUSTY DELTA DAY
testo, scenografia e regia:  Jan Fabre
coreografia: Jan Fabre, Ivana Jozic
drammaturgia: Miet Martens
performer: Artemis Stavridi
compositore: Tom Tiest (canzone: ‘Ode to Billy Joe’ di Bobby Gentry (C/A) – Northridge Music Co / Universal- MCA Music Holland BV)
costumi: Louise Assomo
disegno luci: Jan Fabre, Harry Cole
produzione: Troubleyn/Jan Fabre, Antwerp; co-produzione: Festival d’Avignon, Philadelphia Live Arts Festival, Napoli Teatro Festival Italia, Zagreb Youth Theatre & Theatre Festival

durata: 1h 30’
applausi del pubblico: 3’ 50’’

Visto a Firenze, Stazione Leopolda, il 12 maggio 2010
Fabbrica Europa 2010

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