Apache: la riserva (teatrale) torna a Milano

White Wide Wet aprie la seocnda edizione di Apache giovedì (photo:teatrolitta.it)
White Wide Wet aprie la seocnda edizione di Apache giovedì (photo:teatrolitta.it)
White Wide Wet aprie la seocnda edizione di Apache giovedì (photo:teatrolitta.it)

Parte questa settimana la nuova edizione di Apache, la linea teatrale milanese nata nel 2014 dalla volontà del Teatro Litta e da un’idea di Matteo Torterolo, con il contributo di Fondazione Cariplo e Comune di Milano, per dare spazio a gruppi, performer, artisti che fanno della sperimentazione e della contaminazione di linguaggi il loro ideale di teatro.

Apache ha un nome evocativo, che richiama le riserve, luoghi in cui gruppi etnici o animali vivono secondo le proprie leggi ed inclinazioni naturali. E se le riserve fanno pensare ad una ghettizzazione di popoli privati delle proprie terre e confinati in spazi protetti, in questo caso l’accostamento va invece ad una parte del nostro teatro, feconda e vitale, in qualche modo relegata in pochi spazi poiché ‘troppo’ innovativa, interessata a sperimentare linguaggi che non rientrano nei canoni e nei cliché cui siamo più abituati.

Proprio per questo è nata Apache, perché per sei mesi (un appuntamento al mese) il Teatro Litta possa ospitare nuove vitalità a confronto, inserendo in un cartellone milanese riconosciuto e frequentato quello che accade intorno e sotto di noi, senza distinzioni di sorta.

La scommessa ha funzionato, almeno per la prima edizione, e tutto fa pensare che possa funzionare ancora. Ha funzionato sui giovani, sulla fascia di pubblico più malleabile e in formazione, e questo è un dato importante, perché fondamentale è l’apertura al pubblico di oggi ma soprattutto di domani, che non si domanda da che parte sta andando il teatro, ma sceglie consapevolmente la sperimentazione, il nuovo, i linguaggi diversi, la contaminazione che tanto fa parte della nostra vita di tutti i giorni.

E’ il nuovo che avanza, si potrebbe dire, e sarebbe bello che anche la generazione dei teatranti più grandi, stanchi e disillusi, provasse a mettere la testa in questa rassegna, magari per uscirne con una critica, magari costruttiva.

Si inizia quindi questa settimana, da giovedì 22 al 25, con “WHITE:WIDE:WET” di Andrea Pizzalis, performer, fotografo e artista visivo che riunisce sei artisti (tre uomini e tre donne) in uno spazio onirico per un viaggio avventuroso tra sonno e veglia, prendendo spunto da Moby Dick.
Si prosegue a febbraio, dal 12 al 15, con “Delirious New York”, di OHT – Office for a Human Theatre, ideazione e regia di Filippo Andreatta, un manifesto retroattivo di Manhattan, che prende spunto dal testo di Rem Koolhaas.
Dal 5 all’8 marzo Macelleria Ettore presenta “Sapevo esattamente cosa fosse l’amore prima di innamorarmi”, uno studio sui racconti di Cechov di Carmen Giordano, dove quattro attori in scena saranno accompagnati dalla voce e dalla musica di Renzo Rubino.

Ad aprile, dal 23 al 26, “HeartBreak Hotel”, di SnAporaz, è un progetto a tre teste (Gilda Deianira Ciao, Matteo Salimbeni e Fulvio Vanacore) in cui si riflette sul dolore e sulla necessità di attraversarlo.
Ultimi due spettacoli saranno “Overlook Hotel” del Gruppo Nanou (dal 21 al 24 maggio), sorta di omaggio a “Shining” di Stephen King, e TeatrInGestazione, dall’11 al 24 giugno, con “#2.Bestiale Copernicana”, il secondo momento di avVento, un progetto concepito come “spazio di fondazione” che raccoglie diversi artisti intorno alla scrittura di un mito di fondazione postmoderno.

In bocca al lupo allora a tutti gli artisti di Apache: che la riserva continui a essere popolata!

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