Arturo Cirillo, attore e regista curioso, da anni ci ha abituati a continui salti scegliendo di mettere in scena la scuola napoletana otto-novecentesca (Viviani, Petito, Ruccello), i classici (Molière), ma anche la drammaturgia contemporanea italiana (Tiziano Scarpa) e straniera (Copi). Questo approdo all’Otello, il suo primo Shakespeare, nasce sicuramente dalla voglia di misurarsi con uno dei testi fondamentali del teatro di tutti i tempi, la madre di tutte le tragedie.
Diciamolo subito: l’Otello secondo Arturo Cirillo è un piccolo capolavoro. La sua è una regia che ha personalità e osa mettere in scena uno Shakespeare moderno (complice la traduzione leggera di Patrizia Cavalli) sia nelle interpretazioni da dramma contemporaneo, sia in quei piccoli tocchi che fanno di uno spettacolo un ottimo spettacolo. I letti, regno del peccato, sono spesso sulla scena (a trasportare il doge e a svegliare Brabanzio, oltre che teatro delle paure e della morte di Desdemona). Jago/Cirillo scivola talvolta in un accento napoletano delizioso, il personaggio di Bianca è un attore ‘en travesti’, un trans (scelta molto attuale, forse non facile da digerire, ma virtuosa). Otello più che Moro sembra macchiato, a dare un’interpretazione nuova e ambigua del protagonista, sdoganando forse le accuse razziste fatte a Shakespeare, concentrando l’attenzione solo su questo antico “dramma della gelosia”.
Gli attori, molti dei quali fanno parte della scuderia storica dell’artista campano, recitano tutti su buoni livelli. Cirillo dipinge uno Jago attuale, tessitore di trame di gelosia moderna e non melodrammatica. Un’interpretazione più che convincente che porta il dramma di Otello ai giorni nostri, facendocelo toccare con mano. Questo tetro mondo al maschile è disegnato da luci e scene (due semplici e alti muri che gli attori muovono a turno) che intrappolano le parole di Jago, in un ambiente claustrofobico dove la gelosia non riesce mai a volare via e dove tutti sono colpevoli. C’è un’unica luce, destinata però a spegnersi: la Desdemona di Monica Piseddu è strabiliante, fanciulla dolce e maledetta, erotica e casta. L’attrice gioca tra gli alti e bassi della sua voce roca e passionale e un corpo elegante. Il nudo finale è una visione estatica. Una Madonna senza veli che richiama al dipinto “La morte di Marat” di Jacques-Louis David e forse, come lo stesso dipinto, intende santificare il suo soggetto. Un’interpretazione che è un ulteriore salto di qualità rispetto all’ultima prova della più recente collaborazione tra Cirillo e la Piseddu: quell’uomo in un corpo di donna de “Le cinque rose di Jennifer” di Annibale Ruccello, interpretazione che le valse un premio Ubu. Danilo Nigrelli, infine, è un Otello convincente nella prima parte ma quando sfocia nell’ira della gelosia diventa forse troppo fisico, troppo urlante, troppo invadente.
Senz’altro un Cirillo più rigoroso rispetto ai virtuosismi di spettacoli come “L’ereditiera” o “Le intellettuali”. L’artista di Castellamare di Stabia ha trovato in questo spettacolo il perfetto equilibrio fra tradizione ed innovazione. In scena fino al 24 al Teatro Eliseo di Roma.
OTELLO
di William Shakespeare
traduzione: Patrizia Cavalli
con: Salvatore Caruso, Arturo Cirillo, Michelangelo Dalisi, Rosario Giglio, Danilo Nigrelli, Monica Piseddu, Luciano Saltarelli, Sabrina Scuccimarra
scene: Dario Gessati
costumi: Gianluca Falaschi
musica: Francesco De Melis
luci: Pasquale Mari
assistente alla regia: Tonio De Nitto
regia: Arturo Cirillo
durata: 2h 07’
applausi del pubblico: 2’ 39’’
Visto a Roma, Teatro Eliseo, il 16 gennaio 2010
Caro Simone, innanzitutto grazie per la risposta. Però tutto quello che dici mi pare che cela va sans dire: non vorrei avere dato l’impressione di essere una che… per Shakespeare, o Laurence Olivier o niente, perché “dopo non è stato fatto più nulla di degno”! Grazie a dio non ho cent’anni, e figurati che il mio regista/attore preferito è Malosti, quindi direi che le “visioni diverse” dei classici le apprezzo. Il punto è che la ricerca della diversità non esenta da quella del rigore, della finezza e della qualità. Sennò, se diversità significa solo il “famolo strano” di coatta memoria verdoniana, beh, allora…
Cara Alessia, cara Paola,
mi piacciono le critiche sopratutto perchè dimostrano quanta attenzione ci sia attorno a klp. Mi permetto di fare alcune considerazioni sulle vostre affermazioni riguardo alle interpretazioni di Arturo Cirillo e di Monica Piseddu nell’Otello. Cirillo da Disney? Piseddu da soap opera? Un Otello in stile Posto al sole? E allora? Ma finiamola con gli snobismi, servono solo ad allontanare il teatro dalla gente. Personalmente non seguo le soap, ma queste affermazioni mi suonano come una conferma alle mie motivazioni: le loro sono state interpretazioni contemporanee. Un regista, un attore devono mettere in scena un testo, ognuno lo fa a suo modo. Chi sono i grandi attori? Chi lo decide? Questi due attori, con la voce ma anche col corpo (la postura gobba di Cirillo con le mani dietro la schiena, il portamento elegante della Piseddu) ci consegnano uno Shakespeare nuovo, che secondo me coinvolgeva e ci proponeva una visione diversa del dramma di Otello. Detto questo, poi ovviamente lo spettacolo può non essere piaciuto.
Saluti
sp
Ho visto lo spettacolo a dicembre, e anche io come la commentatrice precedente l’ho trovato a dir poco imbarazzante. Imbarazzante soprattutto per le interpretazioni dei protagonisti, che mi sono apparse una peggiore dell’altra, con la palma dell’infra dignitatem che va senz’altro a Danilo Nigrelli/Otello. Se, come viene molto giustamente osservato nel commento precedente, Cirillo parlava come il personaggio di un cartone animato (o come l’animatore di un programma tv per bambini, anche con gli stessi decibel), Nigrelli invece nella sua esagitazione scomposta e maldestra ricordava il personaggio di una soap opera. Da soap opera anche Desdemona. La mediocrità di alcune scelte registiche come per esempio quelle relative alle musiche quasi riesciva a non farsi più notare di fronte allo sconcerto stordente provocato dalle interpretazioni. Se proprio non potete fare a meno di andarlo a vedere, cosiglio vivamente a tutti di presentarvi muniti di un bel paio di tappi auricolari: non vi perderete una sola parole, ma salverete il vostro udito. A glossa personale del titolo della recensione “Arturo Cirillo porta l’Otello ai giorni nostri” aggiungo infine che ciò è vero perché ce ne offre una versione in stile “Un posto al sole” o fiction RAI.
Forse lo spettacolo si è nutrito in questi due mesi dal debutto, perché le mie impressioni, dopo averlo visto a novembre, sono assoutamente diverse. L’ho trovato imbarazzante. Cirillo sembrava che doppiasse un cartone della Disney, Bianca non aveva nulla del trans se non il solo fatto di essere interpretata da un uomo (mi pare più plausibile l’idea che Bianca-en travesti sia una scelta di natura economica, per non assumere un’altra attrice, dato che l’attore che la interpreta era già coinvolto nell’Otello in almeno un altro ruolo …), e lo stesso Nigrelli, che è un attore che stimo molto, nonostante facesse leva su quelle corde che per lui sono come un cavallo di battaglia, pareva assolutamente stonato, fuori dal gruppo. Anzi, che gruppo? Tutti bravi attori probabilmente, ma ognuno pareva abbandonato a se stesso, senza alcuna valorizzazione e, soprattutto, senza un codice comune… i tentaviti di autenticità della Piseddu e della Scuccimarra venivano fagocitati da tutta una serie di imbellettamenti formali – soprattutto dei toni e della voce – completamente inutili (voluti dalla regia? messi in atto dagli altri attori?).
Ma, ripeto, con oltre due mesi di rodaggio, uno spettacolo è capace di diventare davvero un’altra cosa. Meglio così! A novembre mi aveva messo una gran tristezza vedere il potenziale artistico di taluno messo alla berlina da una regia confusa, inspiegabile e probabilmente autocelebrativa.